Chiaves e Gozzano di Lorenzo Mondo

Chiaves e Gozzano Un appartato poeta crepuscolare Chiaves e Gozzano Carlo Chiaves: «Tutte le poesie edite e inedite », a cura di Giuseppe Farinelli, Ed. Ipl, pag. 329, lire 3500. Tre furono i nomi che, nel primo decennio del secolo, parvero al Borgesc rappresentare il « utile e lunghissimo crepuscolo » della poesia italiana: Moretti, Martini e Chiaves: ma quest'ultimo meno godette i vantaggi di una simpatia critica che è andata crescendo negli anni intorno ai crepuscolari maggiori e minori, autentici o spurii; la proposta di una rilettura avanzata nel 1956 da Aldo Camerino venne per lo più lasciata cadere. Sembrava verificarsi la situazione descritta dallo stesso Chiaves: Nel secolo duemilatrecento, sulla prospettiva d'una catastrofe cosmica, un bambino trova un libro mangiato dai tarli, lo lega ad uno spago e ne fa trastullo per il gatto; altrove l'immagine del poeta sopravvive, sfocata, soltanto nelle malinconiche fantasticherie d'una cortigiana: « Giù, il Tale dei Tali... Ma il nome f suo primo? Comincia per C... f Clemente?... Costanzo?... Ma come I ho fatto a scordarlo così?». Oggi però sembra arrivata anche l'ora di Chiaves, l'edizione di tutte le sue poesie edite e inedite, oltre cento, finirà con l'imporsi, attraverso lo spessore e la suggestione di un'esperienza completa, agli studiosi e, c'è da augurarselo, ai lettori più disinteressati. Coetaneo del Gozzano, di cui fu amicissimo, anch'egli laureato in legge senza esercitare l'avvocatura, apprezzato nei salotti perché spirito bizzarro e fine dicitore di poesia, Chiaves era figlio d'un ministro del Regno nel gabinetto Lamarmora, nipote di Davide ed Edoardo Calandra. Vecchio Piemonte, dunque, agiato e colto, con radici ancora provinciali, la casa avita a Monale d'Asti. Nel 1910 pubblica, a cavallo della Via del rifugio e dei Colloqui, la sua esile raccolta di versi, 'Sogno e ironia, qualche altra poesia e prosa su giornali e riviste. Successo di stima per una commedia, Martina, interpretata da Tina De Lorenzo e Armando Falconi, soggetti per film nei leggendari, patetici anni degli esordi. Poi, nel 1919, la morte per un attacco al cuore. Un'esperienza che corre parallela a quella del Gozzano e sembrerebbe svaporare nella sua ombra. Ed invero non ci sarebbe possibile immaginare Chiaves senza l'autore di Nonna Speranza, anche se un sicuro temperamento poetico lascia spazio alla sua originalità. Fu lui ad offuscarla, in parte, con il titolo del suo libro, che non sopporta d'essere Biviso equamente tra sogno ed ironia, certo rappresenta l'omaggio del poeta al fratello maggiore, ad un clima ormai diffuso. Non c'è in Chiaves la seduzione della stampa. 11 passato, che per Gozzano sfumerà dalla Torino risorgimentale e settecentesca nelle luci di Golconda, sprofonderà nelle ere geologiche tra dinosauri e farfalle, in lui conosce soltanto la dimensione dell'infanzia e dell'adolescenza. Non c'è opposizione duratura, in l'ondo, ma complementarità tra il salotto cittadino e il decoro agreste di Monale, la casa antica potrebbe sopportare tranquillamente, non fosse il disagio delle strade polverose o innevate, presenze profanatrici. Al Chiaves è precluso lo sbocco estremo di Gozzano nella poesia metafisica e quel sofisticato gioco di specchi e schermi attraverso i quali egli, confessandosi, giudica il proprio tempo. Gli manca quella che, con un termine divulgalo dal Mathiesscn, potremmo chiamare Vindirection, e l'assiduo esercizio stilistico che essa sembra comportare, qui l'arte espertissima della granulazione e della tarsia. E forse questo si spiega anche con l'ascendenza earducciano-pascoliana del Chiaves, la tenue attenzione prestata al D'Annunzio. C'è sì il tema dell'aridità sentimentale (il cuore romantico è sempre presente, ma ipostatizzato, trasformato in giocattolo, spesso rotto e vuoto), la consapevolezza, tutta scontala, di vi vere in un'età diseroica, dove tutti i valori sono messi in gio co, compresi quelli poetici. Ma l'infanzia e la memoria, che di venteranno vizio impunito de Novecento, non costituiscono per Chiaves un vero, anche se provvisorio rifugio, come in Gozzano. Intorno alla Pietra corrosa di una tavola il suo fantasma d bambino può essere-oppresso da un'oscura pena: « Oh! prima ch'io, cauto e zitto, f cuti mille più mille slenti, I con mani, con piedi, con denti f mi arrampicassi su, dritto, I quante nel piccolo chiosco, j sotto le le foglie di vile I vergine, quante altre vite I trascorsero, che zadegiraltconinitapigopemnasovitrounpovodimtetàcol'anetumleincotàtevciricharoriplaCrlv1rplrptrvsd{.n io non conosco ». L'adolescenza, pur vagheggiata come l'età della spensieratezza, può sfuggire all'intenerimento: « E gli altri, ove sono? I cinquanta j compagni, i cinquanta campioni I che dormivano a le lezioni I con la costanza più santa? ». In Carnevale, due tra i più accreditati e ambigui eroi gozzaniani sono maschere tristi per le vie della città: « esclamerà forse Picrrot: — Che pena! I Paolo e Virginia a spasso! Si rispetti I l'amore e la virtù che vanno a cena ». Ecco, non si pretende qui di trovare nelle poesie del Chiaves un tono compatto che esse non possiedono, una direzione univoca, ma indicare certe lince di l'orza, certi esiti particolarmente genuini e vitali. In altri termini, meno sogno e più realtà, affrontata senza mediazioni, come in alcune poesie dove l'arsura d'amore può attenuarsi nell'arietta melastasiana («Così tu vai, sicura. I entro una fiamma accesa, f barbaramente illesa, I ferocemente pura») ma inasprirsi anche in una sorta di conliomadrigale come La vanità del perdono, con quei versi tesi, amari, corsi da un funebre vento: « tu, fra le inerti braccia I non troverai che il duolo». Ma più spesso la realtà autorizza l'intervenlo di un'ironia che. per essere crepitante e allegra, non risulta meno feroce. Ne sono investiti gli amori, le amicizie e la sua stessa poesia. Restano soprattutto nella memoria certe figure di don¬ na (come sanno graffiare le piume e i fiori, l'arabesco puro del Liberty), come la cortigiana di Tra i veli della memoria o Lolita, la popolana diventata chanteuse, protagonista ideale di un feuilleton rovesciato. E' una traccia di lettura vantaggiosa, e lo confermano le poesie sparse o inedite, raccolte attraverso una diligente ricerca da Giuseppe Farinelli (già curatore di tutte le poesie di Fausto Maria Martini). Non farci gran conto, infatti, dei giovanili Canti rusticani così sconsolatamente pascoliani. Valgono piuttosto composizioni come La bella e la bestia. Cenerentola, Cappuccetto rosso («era pur sempre il tocco I d'un bel vermiglio intenso, I ma lo guarniva' un denso I niveo fluente fiocco ») dove con moderna sensibilità la favola viene reinterpretata e dissolta entro le lince della maldicenza borghese. E si legga, tra le inedite, Divagazione al tramonto, dove Chiaves fa ammenda di qualche suo passalo « verso singhiozzante e pio » e quasi arriva ad una dichiarazione di poetica: « Candida luna, anch'io son stufo un poco, I ma pure non lo dico, f perché lagnarsi è un vizio troppo antico, I troppi lo fan per gioco ». E' il segno di una' risentita coscienza critica, forse d'un vivace distacco dal Gozzano che, olire i risultali raggiunti, rende più nitida la figura del Chiaves sul medaglione svanito. Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Gozzano, Monale, Monale D'asti, Piemonte, Virginia