Tra Giolitti e i cattolici di Luigi Salvatorelli

Tra Giolitti e i cattolici Tra Giolitti e i cattolici (Polemiche sul «Patto Gentiloni») Nino Valeri, con il suo recentissimo Giovanni Giolitti ( nella collezione Utct « La vita sociale della nuova Italia », diretta dal Valeri stesso), ha adempiuto, senza saperlo, un voto quasi testamentario di Alfredo Frassati, formulato negli ultimi mesi della sua lunga vita. Il voto frassatiano, per verità, fu diretto a chi scrive queste righe, quasi supplichevolmente: io, però, non presi impegno, di fronte ad altri più gravosi c precisi; ma me ne rimase un vago malcontento, dissipato ora, per l'appunto, dal libro del Valeri. I lettori italiani non ci hanno perso nulla, nel cambio di autore: l'opera del Valeri c già abbastanza nota per la sua felice, sobria compiutezza. C'è un punto, tuttavia, su cui non posso dichiararmi interamente d'accordo con il Valeri; quello della relazione ira Giolitti c il Patto Gentiloni: punto importante che si integra nel tema più vasto della concezione giolittiana circa l'apporto cattolico alla nuova situazione politica derivata dalle elezioni del 26 ottobre 1913, a suffragio (maschile) quasi universale. Conviene dirne qualche cosa, il più brevemente possibile. * * Il Valeri, esponendo lo «scandalo» suscitato dalla rivelazione del Patto Gentiloni, ha fatto sua la relazione scritta in proposito dal Bergamini nell'Osservatore politico e letterario del luglio 1958 (interamente dedicato a « Giolitti trentanni dopo»). «Duecento e più deputati — dice il Bergamini — per assicurarsi la rielezione, fatta dubbia dal cresciuto mimerò dei votami, fumarono una dichiarazione con la quale sì impegnavano "a combattere in ogni senso e con ogni mezzo, fortemente, tu massoneria": che allora, mollo attiva, era una spina ut cuore del Vaticano ». Ora, il Bergamini, scrivendo a memoria, fornì un testo che non si trova nel Patto Gentiloni. Si potrà dire che la formula bergaminiana riassume lo spirito degli impegni reali: scile punti, che possiamo indicare nei termini usati più avanti dallo stesso Valeri: «Essi si erano impegnati ad opporsi al divorzio, a combattere la discriminazione delle scuole confessionali, a difendere il diritto delle famiglie a ottenere l'istruzione religiosa per i loro ragazzi nelle scuole statali, ad appoggiare un trattamento da parte dello Stato ai movimenti economico-sociali promossi dai cattolici pari a quello die esso riservava alle istituzioni non cattoliche » ( il lesto compiuto, alquanto più ricco, si può leggere nella Storia parlamentare d'Italia del Cilibrizzi, voi. IV. p. 291). Non c'era nulla di anticostituzionale, c potremmo dire nulla di propriamente antiliberale, in questi impegni: la anormalità consisteva nell'impegno segreto preventivo per ottenere il voto; c da questo punto di vista Cìiolitti, quando lo «scandalo» fu portato in Parlamento, disse che non potevano dirsi liberali i firmatari. Questa dichiarazione — latta in tono molto reciso — basai a provare che Cìiolitti non aveva avuto nessuna parte nel Fatto Gentiloni, anche se è presumibile clic l'abbia conosciuto: c io ho potuto scrivere {Miti e storni, p. 455), inconlulato lino ad oggi, clic « il fatto nuovo, per sé fisiologico, del concorso dei cattolici alla vita politico-parlamentare non fu da lui provocato, né patteggiato, né ricompensato ». Il Valeri, conte lo Spadolini di Gioititi e i cattolici ( abbiamo adesso di lui II mondo di Giolitti, con ricchissima documentazione), pur non affermando una complicità espressa di Giolitti, vede nella tolleranza di lui per il Patto un elemento del calcolo di compensare la perdila dell'Estrema, tornata intransigente c osteggiatile ia conquista libica. Ci sarebbe stalo, con le elezioni del '13, da parte di Cìiolitti. una specie di cambiamento di spalla del lucile, da sinistra a destra: e il l'alto Gentiloni avrebbe integralo la manovra. Valeri e Spadolini — mi setodstscmc ntenntecosevmlicovnsnnzdsccdgsfpcflccatastcccptlc«ogdc o a e l ù l e a r o o n n el è oe nl sembra — non hanno riflettuto sul fatto che, quando i radicali si aggiunsero ai socialisti nell'opposizione, Cìiolitli lasciò il governo, indicando come successore prima Sonnino, c dopo il rifiuto di questo (che non se la sentiva di fare un terzo ministero di cento giorni) Salandra, c alla formazione del ministero di questo dette ampio appoggio. Una tale condotta non avrebbe avuto senso, se davvero egli avesse voluto operare quel cambiamento di maggioranza (cattolico-liberali al posto dei radico-socialisti). Egli avrebbe invece dovuto cogliere l'occasione per un rifacimento ministeriale sul tipo del lungo ministero 1906-1909, pur mantenendo (come allora) l'indirizzo sociale progressista seguito dal 1901 in poi. Invece egli subì, in un primo tempo, secondo il suo metodo empirico, il Patto Gentiloni, ritraendosi poi in attesa di tempi migliori, cioè di un ritorno possibilista dell'Estrema. Giolitti insomma, anche di fronte al Patto Gentiloni c dopo questo, rimase, in fatto di concorso politico di cattolici, fedele al regime delle « parallele », e non pose quel concorso sullo stesso piano di un concorso dell'Estrema. Questo aveva per lui carattere di partito; l'altro, invece, rimaneva affare individuale, c sotto questo aspetto anche il Patto Gentiloni poteva servire. Nessun cambiamento di spalla del lucile. Dovette poi subire l'incontro con il nuovo partito popolare, per il suo quinto c ultimo ministero; ma anche allora non cercò Don Sturzo (a cui fu ostile fin dal principio: «il prctuccolo »), ma cercò e ottenne il concorso di Meda, già in precedenza acquisito individualmente alla vita politica italiana. Prima dell'esclusione Sturzo a Giolitti ci fu, insomma, una esclusione Giolitti a Sturzo. Sia ricordato qui, en passavi, che al momento della prima crisi Facta La Stampa — e più precisamente il sottoscritto — chiese un gabinetto Ci iolitli - Turati - Mussolini (invece di Turati, sarebbe potuto andare Baldcsi, della Confederazione, la cui collaborazione fu vagheggiata, all'indomani della Marcia su Roma, da Mussolini stesso). Il numero di La Stampa, con la proposta nel titolo di prima pagina su sci colonne, fu recapitato a Cìiolitti hll'estcro, ove egli si era recato dopo la caduta di Facta; ma egli non ne tenne nessun conto, in conformità di tutto il suo atteggiamento di allora. E tuttavia, ancora al momento della Marcia su Roma, se il re avesse accolto il consiglio di De Nicola di offrire il mandato a Cìiolitti (anziché a Salandra). Mussolini, con novanta probabilità su cento, avrebbe accettato di andare con lui al governo. Ma questo è tutto un altro discorso, che non è qui il caso di svolgere: mi limiterò ad aggiungere, a chiusura, che ancora alla fine del dicembre 1924 — quando le dimissioni ilei membri liberali (Casati lu il maggiore) offersero al re l'« appiccagnolo costituzionale » per aprire la crisi — se il re avesse chiamato Giolitti, non ci sarebbe stato il discorso del 3 gennaio. Luigi Salvatorelli

Luoghi citati: Cìiolitti, Italia, Roma