Breznev in visita a Belgrado forse prima del 15 settembre di Paolo Garimberti

Breznev in visita a Belgrado forse prima del 15 settembre Un messaggio di Tito al segretario del Pcus Breznev in visita a Belgrado forse prima del 15 settembre Il viaggio rappresenterebbe una svolta nei rapporti tra Jugoslavia e Urss, tesi sia in campo politico che ideologico - Aperte critiche sovietiche ai «neutralisti» romeni (Dal nostro corrispondente) Mosca, 11 agosto. La notizia dell'incontro tra Leonid Breznev e l'ambasciatore jugoslavo a Mosca, Velko Micunovic, pubblicata stamane dalla Pravda in prima pagina, sembra dare credito alle voci di un prossimo viaggio del segretario generale del pcus a Belgrado. Micunovic, il cui colloquio con Breznev si è svolto «in un'atmosfera calda ed amichevole», ha consegnato al leader sovietico i un messaggio personale di Tito, sul contenuto del quale la Pravda non aà indicazioni. Secondo fonti comuniste, il 24 luglio, pochi giorni dopo l'annuncio del viaggio di Nixon in Cina, Breznev informò Tito che avrebbe accettato l'invito a recarsi a Belgrado, rivoltogli dal capo dello Stato jugoslavo oltre sei mesi prima (il 4 febbraio, infatti, la Pravda pubblicò la notizia di un primo incontro tra il segretario del pcus e l'ambasciatore Micunovic). Ora, riferiscono le fonti, Tito lia risposto, esprimendo la propria soddisfazione per la decisione di Breznev e fissando, come data di massima per la visita, la seconda metà di settembre. Il viaggio di Breznev a Belgrado rappresenterebbe una svolta improvvisa e spettacolare nei rapporti tra la Jugoslavia e l'Unione Sovietica, e confermerebbe che Mosca sta tentando precipitosamente di parare il colpo dell'annuncio del viaggio di Nixon a Pechino, ricostituendo amicizie ormai quasi perdute. E' dal 1963 — quando Kruscev visitò la Jugoslavia tra il 20 agosto e il 3 settembre — che il anumero uno» del partito comunista sovietico non si reca a Belgrado. E l'intensa attività diplomatica svoltasi tra i due Paesi negli ultimi dodici mesi (visite di Ribicic e Tepavac a Mosca, e di Gròmiko a Belgrado) non ha cancellato la sensazione di una persistente freddezza a livello di partiti. Al tempo stesso, recandosi in un paese non aderente al Patto di Varsavia per la prima volta dopo l'assunzione della carica di segretario generale del pcus (1964), Breznev contribuirebbe a dar consistenza ai segni che il potere reale, nel partito e nello Stato sovietici, si è ormai concentrato nelle mani di una sola persona. Nonostante la convergenza delle informazioni ufficiali e delle voci di corridoio, molti osservatori moscoviti sono ancora poco propensi a credere che Breznev vada davvero in Jugoslavia. Il loro scetticismo si fonda sull'osservazione che, mai come in questi ultimi mesi, i rapporti politici ed ideologici jugo-sovietici sono stati così tesi. Vi sono mille segni di malessere, il più scoperto dei quali è la «resurrezione» di vecchi uomini del Cominform, rifugiatisi a Mosca dopo la rottura tra Tito e Stalin. Costoro, certo con l'autorizzazione (se non addirittura dietro sollecitazione) del Cremlino, hanno cominciato a tenere conferenze nelle scuole moscovite sul «revisionismo» di Belgrado e sui sintomi di totale sfacelo che incombono sull'economia jugoslava. L'ambasciatore jugoslavo a Mosca ha presentato una formale protesta per l'attività di questi fuorusciti, dopo che il ministro degli Esteri Tepavac aveva invano tentato di ottenere spiegazioni dal collega Gromiko. I jugoslavi poi cominciano ad essere irritati perché il governo sovietico impedisce loro di aprire centri culturali nell'Urss, mentre simili centri sovietici esistono ed operano liberamente in Jugosla¬ vvtvcbpapsdLpu via. Ancori, Belgrado è convinta che Mosca agisca sotterraneamente per tenere viva la «questione macedone» che oppone i jugoslavi ai bulgari e, dicono a Belgrado, potrebbe un giorno servire addirittura come pretesto per un'invasione della Jugoslavia da parie delle truppe del patto di Varsavia. D'altra parte, anche oggi la Literaturnaja Gazeta — riprendendo un articolo del po¬ lacco Trybuna Ludu sui rapporti Usa-Cina — rivolge una critica aperta ai fautori del «neutralismo» tra Mosca e Pechino, cioè ai romeni e, in misura minore, agli stessi jugoslavi. «L'atteggiamento verso il pcus e l'Urss — scrive il settimanale — è la pietra di paragone... In tale situazione ogni arrendevolezza di fronte alla politica scissionista di Pechino non può essere valutata se non come un danno all'unità della comunità socialista e all'internazionalismo proletario. Tale arrendevolezza viene valutata in maniera univoca in tutto il mondo come il desiderio di crearsi un alibi e rendere un servizio alla politica dei dirigenti cinesi, intesa a provocare una scissione fra i paesi socialisti e ad istigarli gli uni contro gli altri ». Paolo Garimberti iimmimmimmimi iiimiimmiimimmi