Scarsi i capitali per Venezia e quei pochi sono inutilizzati di Marziano Bernardi

Scarsi i capitali per Venezia e quei pochi sono inutilizzati Salvare la città: si parla molto, si conclude poco Scarsi i capitali per Venezia e quei pochi sono inutilizzati Secondo l'Unesco sono necessari 60 miliardi in cinque anni per la salvaguardia dei monumenti - Ma, mentre la città si sgretola, lo Stato elargisce solo 130 milioni l'anno e non si usano i contributi privati -I 131 milioni raccolti da «La Stampa» per salvare i cavalli di San Marco sono in banca da più d'un anno, e la quadriga è ancora sulla facciata della basilica (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 10 agosto. Dei mali di Venezia, della urgenza di combattere e vincere le alte maree, la subsidenza, l'inquinamento atmosferico, lo squilibrio del regime lagunare, lo spopolamento, il degradamene edilizio (monumenti e tessuto urbanistico) e socio-economico della città, la progressiva rovina del suo patrimonio artistico immobile e mobile, si parla e si scrive quotidianamente soprattutto dopo la tragica inondazione del 4 novembre 1966. Se ne parla e se ne scrive non soltanto in Italia ma in ogni paese civile, sì che le citazioni — dal memorabile articolo su Le Monde, due anni fa, dell'illustre studioso André Chastel, La mort de Venise, al dibattito, poche sere or sono, alla tv italiana — riescono superflue. Ma in qual misura e con quali mezzi si agisce, si lotta contro la catastrofe imminente? Tristi presagi Abbiamo sott'occhio, fresco di stampa, il testo della relazione presentata all'* Istituto veneto di scienze, lettere ed arti » dal più autorevole storico dell'arte veneziana, Rodolfo Pallucchini, succeduto sulla cattedra di Padova al venerando e sempre attivo Giuseppe Fiocco. Dal gigantesco problema della reintegrazione « globale » di Venezia in una vita florida sotto ogni punto di vista, problema alla cui soluzione dovrebbero esser destinati i famosi 250 miliardi del prestito internazionale previsto dal disegno di legge FerrariAggradi, che tarda ad essere approvato per la richiesta avanzata dalla Regione e dal Comune veneziano di amministrare l'enorme somma (mentre il partito più saggio sarebbe d'affidarla a un apposito « Ente Laguna Veneta »), egli isola quello minore (ma minore soltanto nei confronti del costo) della tutela del suddetto patrimonio artistico, almeno per la parte di esso non irrimediabilmente già perduta. Giustamente osserva il Pallucchini che se non ha senso il restauro di un palazzo, di un dipinto, d'una scultura ove non si provveda alla sopravvivenza fisica della città, non ha neppur senso tentar l'impresa di tale sopravvivenza qualora più nulla o quasi rimanesse integro di ciò che fa della città stessa un unicum in tutto il mondo. E il quadro ch'egli ci dà in proposito è terribile. Non si tratta di presagi più o meno tenebrosi, bensì di calcoli scientificamente controllati. Risale al '67 la denuncia ufficiale di Francesco Valcanover, soprintendente alle Gallerie di Venezia: « Il processo di degradazione delle opere d'arte a Venezia si accelera con geometrica progressione, comportando perdite annuali di immagine che vanno dal 6"'o per le pietre e i marmi, al 5 "o per gli affreschi e gli arredi, al 3"» per i dipinti su tela, al 2 "ò per i dipinti su tavola ». Ciò significa che, se non si interviene prontamente e radicalmente, nel giro di pochi decenni da oggi il patrimonio artistico veneziano si ridurrà al documento illeggibile di una « civiltà sepolta ». Orbene, se non si può pre scindere da scelte politiche e da una dialettica partitica per una soluzione del prò blema « globale » di Vene zia, nel provvedimento per arrestare la rovina d'un affresco, d'un quadro, d'una statua, la politica e i partiti non c'entrano. Data la pre parazione degli specialisti in materia e dei mezzi scientifici e tecnici di cui ormai si dispone (e ne è prova la magnifica attività che da anni vanno svolgendo il Valcanover e i suoi collaboratori nei laboratori veneziani di restauro), c'entrano unicamente il denaro e un adeguato organico di esperti. E' questo il tasto su cui batte il Pallucchini riferendo dei dati che lasciano sbalorditi. In cinque esercizi finanziari (dal 1966 al 1970) lo Stato italiano, per la salvaguardia del patrimonio artistico veneziano affidato alla soprintendenza alle Gallerie, ha elargito 635 milioni: circa 130 milioni l'anno, raddoppiando il contributo annuale. Il fabbisogno per una « bonifica » urgente del patrimonio mobile delle chiese e delle confraternite di Venezia si valuta, secondo il « Rapporto del governo italiano » all'Unesco nel 1970, sui 3 miliardi e 750 milioni. « Di questo passo — scrive il Pallucchini — ci vorranno altri trentacinque anni! Seicento milioni in cinque anni costituiscono poco più del controvalore di un chilometro di autostrada in pianura, di mezzo chilometro in montagna! ». Ma per le autostrade i sol¬ dsczipre19liqsufovppcsg« cti«nneddd3artqmdltèdszNcpcpecctezetptrvircpSptctcss di si trovano; per evitare la scomparsa dell'arte a Venezia, no. E si noti che l'apporto economico delle correnti turistiche a Venezia nel 1970 ha fruttato oltre 50 miliardi. Se Venezia non fosse quella che è, col fascino dei suoi tesori artistici, si crede forse che questi turisti la visiterebbero soltanto per una passeggiata in gondola e i piccioni di piazza San Marco? Giusto dire che la città si mangia il capitale. Ad evitare una simile sciagurata operazione il citato « Rapporto » prevedeva la necessità di 60 miliardi ripartiti in cinque anni (1971-1975) « per la salvaguardia dei monumenti, per la valorizzazione dei musei e delle gallerie e per il restauro delle opere d'arte danneggiate dalle condizioni naturali ed artificiali dell'ambiente veneziano ». Il 30 ottobre 1970 il ministro ai Lavori Pubblici, on. Lauricella, pronunziava al Senato il ben noto discorso nel quale si preventivavano 254 miliardi per la salvaguardia di Venezia. Riferisce il Pallucchini: «Non ha fatto seguito nessun atto concreto, non è stato preso nessun provvedimento legislativo, che si sperava fosse portato dinanzi alle Camere entro il 1970 ». Nemmeno nel « Libro Bianco », redatto dal governo sul principio di quest'anno, si fa cenno ad impegni finanziari per Venezia. Così si va avanti a pezzi e bocconi, cioè facendo miracoli con quei pochi quattrini, con pochissimi uomini volonterosi che si prodigano con entusiasmo pari all'intelligenza; e con l'appoggio, morale e pratico, d'una solidarietà internazionale ammirevole. Dopo l'alta marea del '66 i contributi stranieri hanno superato i 400 milioni, quelli privati italiani quasi raggiunto i 200. E tra questi vogliamo ricordare i 131 milioni raccolti a Torino da La Stampa per la salvezza dei cavalli di San Marco, sui quali dall'aprile dell'anno scorso si continua a discutere senza procedere al loro già approntato ricovero nel Museo Marciano; da" tutte "lè autorità responsabili, deciso come indispensabile e urgente. Lo riconosce anche il Pallucchini nella' sua relazione; e l'episodio (incredibile: non ci stanchiamo di ripeterlo) è indicativo della sollecitudine con cui si provvede, nelle alte sfere, ai problemi dell'arte a Venezia. Per i restauri Concludendo: non meno del 65 t"o dei beni artistici mobili veneziani attende di essere restaurato, e così « giorno per giorno — parole del Valcanover — l'immensa ricchezza artistica di Venezia è sottoposta a un disastroso processo di impoverimento ». A parte il risanamento « globale » cui si darà principio chissà quando, occorre che il ministero della Pubblica Istruzione « quintuplichi gli stanziamenti annuali alle soprintendenze di Venezia: che da 200 milioni li porti ad un miliardo ». E' il minimo che chiede il Pallucchini; ed è un « minimo » davvero. Siamo all'agosto 1971. Da un anno e tre mesi i 131 milioni di Torino sono depositati in banca; ed ibc i cavalli son sempre immobili sulla facciata di San Marco. Nell'agosto 1972 toccherà al lettore giudicare se la stessa immobilità è condizione permanente dei nostri governanti nei riguardi del patrimonio artistico veneziano. Marziano Bernardi *

Persone citate: André Chastel, Lauricella, Pallucchini, Rodolfo Pallucchini