I motivi che hanno portato alla condanna dei sei carabinieri del gruppo Bergamo di Guido Guidi

I motivi che hanno portato alla condanna dei sei carabinieri del gruppo Bergamo La sentenza è stata depositata in cancelleria a Roma I motivi che hanno portato alla condanna dei sei carabinieri del gruppo Bergamo Avevano estorto la confessione a ventisei arrestati innocenti - Le pene variano dai 9 mesi ai 3 anni - Il processo passa ora in Corte d'appello perché imputati e p. m. hanno presentato ricorso - Gli episodi, che hanno dato origine al dibattimento, avvennero nel gennaio 1964, durante le indagini per rapine compiute in alcune banche nell'Italia del Nord ; . o a l i (Nostro servizio particolare) Roma, 3 agosto. La pena alla quale, nel giugno scorso, sono stati condannati i sei carabinieri di Bergamo, che hanno estorto la confessione a 26 arrestati assolutamente innocenti, non fu severa anche perché senza conseguenze pratiche rilevanti per effetto del condono: 3 anni e 6 mesi al comandante maggiore Mario Siani e al tenente Vincenzo Sportiello; 1 anno e 1 mese al capitano Vittorio Rotellini e al maresciallo Francesco Montelli; 9 mesi al brigadiere Salvatore Guerrieri e al militare Carmine Puglia. Molto più grave, invece, ed in un certo senso molto più severo il giudizio espresso dal tribunale per motivare quella sua decisione. «Il maggiore Siani — hanno sottolineato i giudici nella sentenza depositata oggi in cancelleria — non soltanto ha reiteratamente tradito la fiducia che i vari magistrati avevano riposto in lui quale rappresentante di un'arma che ha sempre dato preziosa collaborazione per l'ordine e la giustizia ed i cui meriti sono indiscussi: ha ottenuto prima l'autorizzazione a fermare numerosi cittadini pur senza essere in possesso di alcun elemento concreto ed obiettivo a loro carico e poi la convalida di questi fermi sulla base di confessioni estorte con la violenza. Il maggiore Siani ha addirittura tentato di coinvolgere nella propria responsabilità anche quella dei magistrati. Qualsiasi commento al riguardo appare addirittura superfluo». Una serie di episodi allucinanti ha dato origine al processo che, concluso in tribunale, attende ora il controllo della corte d'appello perché contro la sentenza hanno prò testato i condannati, i quali sostengono di essere innocenti, ed il pubblico ministero, il quale ritiene non giusta l'assoluzione di altri cinque imputati, anch'essi coinvolti nelle medesime accuse. Nel gennaio 1964, il comando dei carabinieri di Bergamo realizzò una vasta operazione arrestando un gruppo di persone, alle quali attribuiva la responsabilità di numerose rapine compiute nelle banche di Caravaggio, Gallarate, Vimodrone, Cornaredo ed infine a Torino dove, tra l'altro, fu gravemente ferita una ragazza, Giovanna Freccino, che aveva cercato di opporsi ai banditi. Tutti gli arrestati cercarono di difendersi sostenendo di essere innocenti, ma alla fine confessarono. Soltanto quando un paio di mesi dopo vennero interrogati dal giudice istruttore (l'indagine fu spostata a Torino per motivi di competenza territoriale) ritrattarono la confessione, spiegando di essere stati costretti ad ammettere la propria responsabilità perché sottoposti ad una serie di torture. Assolti in istruttoria, il loro posto di imputati fu assunto dai carabinieri che avevano estorto le confessioni. «Il sadismo, la mortificazione di ogni sentimento umano — hanno posto in rilievo i giudici che hanno condannato i sei carabinieri — sono le espressioni più salienti di quello che è stato il comportamento posto in essere da gran parte degli imputati: rifiuto dì cibo e bevande per diversi giorni, frequenti interruzioni di brevi periodi di riposo, estenuanti interrogatori, ingiurie irripetibili, percosse della più varia natura, spinte violente, sofferenze fisiche indescrivibili consistite, fra l'altro, per alcuni, in una serie di pressioni con le dita sul collo, sul pomo d'Adamo e sulla regione occipitale (il tutto mentre gli arrestati venivano tenuti in piedi, senza indumenti e senza scarpe, con gli indici appoggiati al muro e il corpo arcuato); sono stati i mezzi con i quali gli imputati hanno indotto, anzi costretto, gli inquisiti, che per le intimidazioni subite versavano ormai in condizioni psichiche tali da non potersi sottrarre allo srcpnftmddplnec—cfllpq stato di soggezione, a dichiararsi autori di crimini mai commessi». Il maggiore responsabile per i giudici è senz'attro il tenente Vincenzo Sportiello definito nella sentenza non soltanto come «il più violento», ma «addirittura senza ombra di retorica, uno specialista delle torture». L'ufficiale, dopo la prima udienza, si è allontanato dall'aula del tribunale, rinunciando persino ad essere interrogato. «Il suo comportamento processuale — hanno commentato i giudici nella loro sentenza — ha fornito, seppure ve ne fosse stato bisogno, una ulteriore conferma di attendibilità a tutta l'impressionante antologia di violenze, soprusi e sevizie». Il ruolo però avuto dal maggiore Mario Siani in questa triste vicenda è senz'altro quello, fra tutti, il più importante. «La sua posizione — è stato sottolineato nella sentenza — per la specifica carica di comandante del gruppo carabinieri di Bergamo si aggrava ulteriormente ove si consideri che la sua cooperazione si è indubbiamente manifestata in tutta la interezza e soprattutto nella fase idea- Uva dei reati. La sua condotta è di certo valsa a determinare o, quantomeno, a rafforzare negli altri carabinieri il proposito criminoso. Essa, infatti, ha costituito per tutti coloro che partecipavano alle indagini di polizia giudiziaria sicuro incentivo ad operare». In sostanza, secondo il tribunale, la responsabilità del maggiore Siani consiste nell'avere fornito con la sua presenza «un senso di sicurezza e nel contempo di protezione e di immunità» ai carabinieri che con la violenza interrogavano gli arrestati, Guido Guidi