Il Giappone avanza sul mercato sovietico di Paolo Garimberti

Il Giappone avanza sul mercato sovietico HA SUPERATO L'INGHILTERRA PER VOLUME DI SCAMBI Il Giappone avanza sul mercato sovietico L'Urss nel commercio estero offre ancora aspetti da paese sottosviluppato: esporta soprattutto materie prime (Dal nostro corrispondente) Mosca, 29 luglio. I nuovi mandarini dell'impero industriale giapponese, i grandi mercanti delle « Japan Co. Ltd. », hanno conquistato il mercato sovietico, una terra quasi vergine che fa gola a molte potenze industriali. La « Raccolta di statistiche sul commercio estero dell'Urss », apparsa in questi giorni nelle librerie (un elegante volume, che i sovietici hanno fatto stampare in Fin-1 landia in ottomila esemplari), rivela che, nsl 1970, il Giappone è passato al primo posto tra i partners commerciali dell'Unione Sovietica, superando la Gran Bretagna. L'interscambio tra i due Paesi è stato di 652 milioni di rubli l'anno scorso (contro 558 nel 1969) e il Giappone dovrebbe aver già recuperato quest'anno il lieve saldo passivo della bilancia: nei primi tre mesi del 1971, infatti, le esportazioni giapponesi in Urss sono aumentate del 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 1970. La strategia capillare dei giapponesi — al contrario degli europei, non cercano un unico grande affare, ma « mille e poi mille piccoli affari » — si adatta bene alla struttura industriale sovietica, il cui tessuto connettivo sono le piccole e medie imprese (la metà delle industrie sovietiche occupa meno di duecento operai). Al tempo stesso, gli affari di piccola dimensione sono finanziariamente meno complessi: i so¬ vietici sono in grado di liquidare immediatamente i loro debiti e i giapponesi evitano di addentrarsi nel labirinto dei crediti. Dopo il Giappone, la Gran Bretagna è il Paese « capitalista » che ha la maggiore corrente di traffici con l'Unione Sovietica (641 milioni di rubli nel 1970), ma con una bilancia nettamente passiva. Seguono la Germania Federale (544 milioni, con un incremento di appena 48 rispetto al 1969), la Finlandia, l'Italia (471 milioni, con una bilancia a favore dell'Italia per 90 milioni di rubli) e la Francia. Contrariamente agli altri quattro Paesi, Italia e Francia hanno visto diminuire l'anno scorso il volume degli affari con l'Unione Sovietica, rispettivamente di 22 e 5 milioni di rubli. Offensiva francese Nel caso della Francia, la diminuzione dell'interscambio è la conferma di una parabola negativa, che dura ormai da tre anni: da primo fornitore dell'Unione Sovietica nel 1968, la Francia èjSpassata al sesto posto nel lJpO e sembra destinata a pJrdere ancora terreno questmnno. Ma, dopo i lavori deL'^ « grande commissione », inclusisi a Mosca una sett/nana fa, alle industrie francesi si aprono nuove prospettive sul mercato sovietico, soprattutto nel settore automobilistico attraverso la forte partecipazione della « Règie Renault » alla co¬ struzione dello stabilimento sulla Kama. Il primato dei giapponesi nella « partnership » commerciale con i sovietici potrebbe essere insidiato, nel prossimo decennio, dagli Stati Uniti, se il recente viaggio in America del viceministro del Commercio Estero Komarov avrà un concreto seguito di affari. Oltre che della partecipazione della « Mack Trucks » al progetto di Kama, Komarov ha discusso con i dirigenti di varie società americane della possibilità di acquistare macchinari e brevetti per un valore di circa 900 milioni di rubli. Attualmente, l'interscambio tra i due Paesi non supera i 160 milioni di rubli, appena 119 in più dell'interscambio tra l'Unione Sovietica e la Cina. Complessivamente, l'incidenza dei Paesi « capitalisti » nel commercio estero sovietico è ancora modesta, poco più di un terzo del totale (7,6 miliardi di rubli su 22,1). Ciò è dovuto soprattutto al retaggio delle idee politiche staliniane e krusceviane, in parte sconfessate dall'attuale governo. Samuel Pisar, consulente legale di molte società occidentali che commerciano con i Paesi dell'Est, ha scritto, in un libro intitolato Commercio e coesistenza: « Dalla metà degli Anni Trenta in poi, Stalin impose un'assoluta autarchia sovietica e una completa separazione del merca¬ to capitalista da quello comunista. Kruscev, sebbene abbia acquistato alcuni impianti industriali in Occidente, si proponeva di dimostrare la superiorità del comunismo sul capitalismo attraverso una serie di primati economici da realizzare senza l'aiuto di altri Paesi. I settori decisivi «Breznev e Kossighin (prosegue) sono stati costretti ad ammettere che. nonostante gli spettacolari traguardi raggiunti in campo spaziale e militare, l'Unione Sovietica resta un Paese sottosviluppato, nettamente arretrato rispetto all'Occidente nel campo della petrolchimica, nei computers e in altri settori, che saranno decisivi per lo sviluppo economico nell'ultima parte di questo secolo ». La struttura del commercio estero sovietico conferma la diagnosi di Pisar: l'Unione Sovietica, nonostante le apparenze, è un Paese sottosviluppato economicamente, o — come dice un esperto occidentale — è un Paese malato di « infantilismo economico ». Il 75 per cento delle esportazioni sovietiche è costituito da materie prime e semilavorati, mentre i macchinari, gli equipaggiamenti industriali e i manufatti rappresentano il 60 per cento delle importazioni (tra le singole voci, l'importazione di abiti rappresenta la maggiore spesa: 699 milioni in un armo). L'Unione Sovietica, ad e- sempio, è un forte importatore di computers: nel 1970 ne ha acquistati cinque dalla Gran Bretagna e sedici dalla Polonia. Quelli inglesi sono probabilmente più sofisticati, come si può dedurre dal fatto che il loro valore complessivo (circa 77 milioni di rubli) supera di cinque volte il costo dei sedici calcolatori polacchi. A quanto si sa, quasi tutti i computers importati dalla Gran Bretagna appartengono alla « terza generazione » a circuiti integrati, dei quali i sovietici hanno finora costruito pochi esemplari. L'analisi delle statistiche sul commercio estero rivela anche particolari curiosi o conferma l'esistenza di certe difficoltà in alcuni settori produttivi. L'Unione Sovietica ha esportato nel 1970 mille tonnellate di caviale (200 in meno rispetto al 1969), ma ne ha importate per la prima volta 40 dall'Iran. La produzione di caviale nell'Urss continua a diminuire, in gran parte, a causa dell'inquinamento dei fiumi che uccide gli storioni o li spinge verso le coste iraniane del Mar Caspio. Così, per far fronte alle richieste dei mercati esteri, l'Unione Sovietica esporta quasi tutta la propria produzione di caviale e distribuisce sul mercato interno, spesso assai male rifornito, il caviale iraniano, in genere di qualità scadente. Paolo Garimberti

Persone citate: Breznev, Komarov, Kossighin, Kruscev, Mack Trucks, Stalin