Amici ed emuli di Al Fatah di Carlo Casalegno

Amici ed emuli di Al Fatah Il nostro Stato Amici ed emuli di Al Fatah Avevano cominciato gli intellettuali di avanguardia, i gruppetti di estrema sinistra, i pionieri della contestazione studentesca a presentarci i movimenti nazionalrivoluzionari del Terzo Mondo, soprattutto dei Paesi arabi, come gli inventori d'un neo-socialismo meritevole d'essere importato in Occidente al posto della disprezzata socialdemocrazia scandinava. Poi, dopo la guerra dei sci giorni, fu un'alluvione: cattolici di sinistra, socialisti, comunisti, gruppuscoli, intellettuali progressisti, editori alla moda — magari discordi in tutto — trovarono l'unanimità per condurre un'opera massiccia di propaganda a favore della rivoluzione araba, fino ad identificarsi nei suoi settori di punta. « Al Fatali vincerà » non è slato soltanto il grido ingenuo dei gaucliistes; abbiamo visto notabili de intervenire ad un convegno di solidarietà con i guerriglieri palestinesi, scrittori di gran nome dissertare gravemente sul socialismo yemenita o sudanese, diplomatici circondare Nasser di un autentico culto della personalità, agenti di compagnie petrolifere accompagnarsi a cristiani di sicura fede nel giustificare i dirottamenti aerei e dissociarsi da Israele come bastione dell'imperialismo. E' stata una crociata in cui gli interessi di alcuni si univano all'ingenuità ed allo snobismo di molti, la deformazione ideologica s'incontrava con l'abile campagna comunista di appoggio all'espansionismo russo, e l'antistorico complesso di colpa degli europei per il passato coloniale si univa alla paura di restar bloccati nei ranghi dei conservatori od a calcoli di politica interna. Ma non è stato soltanto un innocuo sbandamento intellettuale: ha influito in certa misura sulla posizione internazionale del nostro e di altri Paesi occidentali. Possiamo sperare che i fatti delle ultime settimane dalla Si- - ria — o dal Pakistan — al Marocco ispirino un più serio giudizio critico agli apologeti del « terzomondismo »? La revisione di certi entusiasmi non autorizza, ovviamente, né orgogli razzisti, né complessi di superiorità dell'uomo bianco (basta tornare indietro di trent'anni per trovare in Europa orrori altrettanto atroci), né nostalgie coloniali, né facili condanne non meno antistoriche delle apologie: l'universo afroasiatico vive un tormentato processo di trasformazione, che merita il rispetto e invoca at-. tenuanti agli errori ed anche ai delitti. Ma è necessario non applicare a quel mondo in ebollizione gli schemi ideologici e le etichette politiche validi nel nostro, non rifiutarsi di vedere la realtà dei fatti, e non costruire castelli di carta politici. Il governo del Pakistan ripete nel Bengala, in un ambiente da disastro biblico, le violenze oppressive che gli zar esercitarono in Polonia (e la Cina di Mao approva, in nome della ragion di Stato). Le giunte militari nazional-socialiste di Damasco e di Bagdad hanno unito sinora l'instabilità delle repubbliche sudamericane all'oppressione poliziesca. I « progressisti » arabi fanno del nazionalismo xenofobo piuttosto che del socialismo, e non un solo regime è riuscito sinora a realizzare una seria riforma agraria. Numeiri, preso il potere nel Sudan alla testa di un'alleanza populista, rivela in questi giorni la sua vocazione; e continua, come i suoi predecessori reazionari, il genocidio dei nubiani. Il libico Gheddafi cerca la leadership del mondo arabo con metodi che lo nicitono fuori della legge internazionale. Gli infelici guerriglieri palestinesi, pretesa avanguardia rivoluzionaria, hanno rivelato il loro isolamento e la loro impotenza. E il quadro non è completo. Ma forse è ingenuo pensare che la realtà prevalga sul pregiudizio ideologico, sul compiacimento autopunitivo degli europei (paradossalmente sorto proprio quando ci stiamo liberando dalle follie del pasl ato) e sui calcoli di politica interna. viptsicsrnhtgasg voluzionari arabi: il verbalismo incendiario che maschera l'impotenza, la fuga dalla realtà, i traguardi sconfinati ed utopistici, la tendenza alla rissa con i compagni di battaglia, ed anche l'inquietante possibilità di sfruttare per il loro «ottobre rosso » rancori ed esasperazioni d'autentiche masse. Quelli di « Lotta continua» hanno confermato il loro settarismo cronico dichiarando guerra non solo « ai borghesi e ai fascisti», ma «i/i modi diversi » ai comunisti ed agli altri gruppuscoli, e ribadito il loro irrealismo proponendosi « l'articolazione organica delle masse popolari » con un'attività che infiammi fabbriche e scuole, carceri e caserme. Ma hanno deciso anche di compiere il massimo sforzo nel Mezzogiorno, sfruttando e contendendo ai neofascisti quell'enorme riserva di protesta e di rivolta: e questa è una scelta accorta. La manovra fallita tra i proletari del Nord potrebbe trovare qualche successo tra i sottoproletari ed i laureati senza lavoro del Sud. Finché la lotta continua con le parole e gli scritti, la propaganda e gli slogan, pensiamo che debba essere consentita: la libertà non è divisibile, la Carta costituzionale non conosce i reati d'opinione. Ma è reato passare alla rivolta, scatenare la guerriglia, sabotare la produzione per « rendere permanente la crisi »: ed in questo caso ci auguriamo che la magistratura applichi il codice con prontezza e con imparziale rigore, senza discriminazioni né prò, né contro i gauchistes. Sulla bilancia della Giustizia non dovrebbe mai pesare il colore della violenza. Carlo Casalegno IMII]l11llli;illIlEII]ll[llEilt!l1IIIMIIIllllIE]llirjli

Persone citate: Bengala, Fatah, Gheddafi, Mao, Nasser

Luoghi citati: Bagdad, Cina, Damasco, Europa, Israele, Marocco, Pakistan, Polonia, Sudan