Fanfani, l'uomo da battere di Vittorio Gorresio

Fanfani, l'uomo da battere COME SI FA UN PRESIDENTE: LA CORSA AL QUIRINALE Fanfani, l'uomo da battere Può vincere, se nella de passa la paura suscitata dal suo imprevedibile attivismo - In parecchi non hanno dimenticato i sussulti che provocò nei sei mesi passati all'Interno - « Se me Io tengo sempre come ministro, un giorno me lo trovo al mio posto », diceva De Gasperi - In Vaticano lo definirono «polvere pirica»; ed egli stesso così spiegò una sua uscita improvvisa dalla vita politica: «Mi sentivo l'unico gallo in un pollaio di capponi» Roma, luglio. Per lutti i partecipanti alla corsa al Quirinale 1971 l'uomo da battere è Amintore Fanfani. l'Eddy Merckx della de. Nessuno ne misconosce le doti, ma egli è temuto da molti per l'imprevedibilità delle sue mosse che, talvolta fulminee, possono sconvolgere equilibri esistenti. E' ritenuto — forse a torto — propenso e adatto a una Repubblica di tipo presidenziale, pronto magari anche a servirsi di forze politiche eterogenee: « Lo accusano di intransigenza ovattata da un'enorme capacità manovriera; sostengono che è diffioile che possa venire eletto, ma nessuno è disposto a giurare che non lo sarà; e in tutto questo parlare e sparlare non è facile cogliere il confine tra l'ammirazione e la paura », ha scritto per esempio Domenico Panetta su Idea («Chi sarà il nuovo presidente? ») del marzo 1971. "Millimetternich" E' un uomo di breve statura che il corrispondente da Roma di Le Monde Jacques Nobecourt non ha esitato (nel suo bel libro L'Italie à vif ) a chiamare « Millimetternich » rifacendosi al nomignolo già dato al Cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss, un cattolico autoritario che nel 1934 prima represse a cannonate una rivolta socialista a Vienna, poi sciolse i partiti politici ed infine, nel luglio, fu assassinato dai nazisti. Il Millimetternich nostrano è forse anch'egli un cattolico autoritario, ma certo non incline all'uso del cannone, e Dio disperda dal suo capo la minaccia di un putsch. Dicono che abbia i nervi a fior di pelle, che sia di carattere aspro, qualche volta irruente, e che il cervello gli bollisca dal momento in cui si desta a quello in cui gli accade di addormentarsi. Nel quotidiano intervallo fra questi due momenti mulina iniziative, idee, proposte, spin' to da un attivismo che lo porta a sconfinare spesso dal suo campo. La prima volta che fu ministro (del Lavoro e della Previdenza sociale dal 31 maggio 1947 al 14 gennaio 1950), per dare corso a un suo progetto di edilizia popolare — detto il « Fanfani-case » — finì con il riuscire a impadronirsi di mezzo ministero dei Lavori pubblici, suscitando il risentimento del legittimo titolare che era Umberto Tupini. Poi si era dato alla creazione di cantieri di rimboschimento invadendo le competenze del dicastero dell'Agricoltura e Foreste, e così attirandosi lo sdegno del ministro in carica Antonio Segni. Fu messo fuori dal governo per un anno perché De Gasperi diceva: « Se me lo tengo sempre ministro ci fa una tale abitudine, ci prende talmente la mano che un giorno o l'altro aprendo la porta del mio ufficio sono certo di trovarlo seduto al mio posto ». Giuseppe Fella lo fece ministro dell'Interno e probabilmente ebbe a pentirsene nel giro del primo trimestre, poiché in ottobre del 1953 Fanfani gli procurò la più grossa grana che un governo di centro abbia mai avuto con i grandi signori della Confindustria. C'era a Firenze uno sciopero generale di protesta contro la Snia-Viscosa che aveva licenziato in massa tutti i dipendenti delle Fonderie Pignone, ed a Roma Fanfani non trovò di meglio che ritirare il passaporto al cavaliere del lavoro Franco Marinoni, presidente e consigliere delegato della Snia, come se ciò potesse contribuire a risolvere il problema della piena occupazione in Italia. Tutte le forze della destra economica furono pertanto mobilitate contro Fanfani, definito un visionario inadatto a tenere posti di responsabilità. Anche in Vaticano erano perplessi sul suo conto: « Noi che non siamo conoscitori di esplosivi non ci azzardiamo a dire che egli sia proprio la dinamite, ma di sicuro è per lo meno polvere pirica », ed appunto nei limiti di effetto della polvere pirica qualche altro sconquasso Fanfani riuscì a farlo durante il suo semestre al ministero dell'Interno. Racconta Piero Ottone nel suo Fanfani (Milano 1966, p. 94 e seg.) che Giorgio La Pira ed un certo padre gesuita Dall'Olio gli indirizzarono un giorno una strana ragazza, Annamaria Moneta Caglio, che raccontava in giro di orge straordinarie consumate nella tenuta di Capocotta e dava una spiegazione truce a proposito del cadavere di una Wilma Montesi trovato in riva al mare. « Nel racconto — ricorda Piero Ottone— era implicato il figlio di uno degli ultimi notabili influenti, Attilio Piccioni. Fanfani ordinò subito ai carabinieri di svolgere un'indagine, e sul loro rapporto si fondò la successiva vicenda giudiziaria, il processo Montesi, che suscitò scalpore in Italia ed all'estero (...). Anche quella volta (Fanfani) agì con precipitazione, senza riflettere che le accuse provenivano da una ragazza mitomane, circondata da persone poco serie. Gli avversari di Fanfani vollero però vedere nella sua azione il proposito di liquidare, in Piccioni, un candidato alla successione di De Gasperi ». Eredità contesa Può darsi che Fanfani meriti l'allegro rimprovero di Nenni che dice di lui: « Quando ritiene che qualcosa gli convenga è convinto che sia nell'interesse di tutta l'Italia ». Aggiunge Malagodi: « Per Fan¬ fani può valere la famosa candida ingenuità di Eisenhower: "What is good for General Motors it's good for U.S." ». Significa: « Quel che va bene per la General Motors va bene anche per gli Stati Uniti ». Appunto una persuasione del genere — di essere cioè una specie di General Motors — è quella che ha reso Fanfani sicuro di dover raccogliere, nell'agosto del 1954, l'eredità di De Gasperi. Altri possibili concorrenti erano sulla scena, come Giovanni Gronchi, che era stato sempre considerato l'altra faccia della luna democristiana in contrapposto a De Gasperi, oppure Mario Sceiba, nella sua qualità di restauratore — dopo alcuni esperimenti di governi monocolore — della pristina formula degasperiana per la concentrazione di tutte le forze democratiche, ma fu appunto Fanfani, allora segretario della de. il più pronto allo scatto. De Gasperi non era stato ancora composto nella bara che già tutta la stampa era sommersa da rivelazioni concernenti le ultime pagine di un epistolario De GasperiFanfani, e gli stralci diffusi essenzialmente consistevano in espressioni augurali del presidente defunto per il segretario in carica: « Guai se il tuo sforzo fallisse! », vi si leggeva per esempio. Mentre cosi si accreditava la notizia, o l'idea, di un testamento politico meditato. Fanfani provvedeva ad avvalorare le impressioni facendosi organizzatore della più grande cerimonia funeraria di cui dal tempo della traslazione della salma del Milite ignoto da Aquileia a Roma si avesse ricordo nel nostro paese. Sceiba risponde Era lui che piangendo si affacciava al finestrino del treno in sosta davanti allo schieramento di folle sinceramente reverenti; lui che, in funzione, per così dire, di padrone di casa, riceveva il Capo dello Stato, i membri del governo, i rappresentanti dei partiti: e sempre lui che infine si incamminava dietro il feretro, immediatamente alle spalle dei familiari e precedendo di un buon tratto il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, i ministri e tutti gli altri eminentissimi civili, militari e religiosi. La speculazione sui morti non è un espediente inconsueto in Italia dov'essa è considerata politicamente proficua, sicché nel tentativo di Fanfani nessuno può vedere un motivo di scandalo speciale. La sua fu intraprendenza nell'ambito e nel solco della tradizione del paese, e nello stesso senso è da apprezzare l'immediata reazione di uno dei grandi concorrenti. Mario Sceiba. Costui difatti, in mancanza, di lettere di De Gasperi da esibire, ne fece pubblicare una che a suo. tempo gli aveva indirizzato Don Luigi Sturzo. nella quale il fondatore del partito popolare italiano gli diceva tra l'altro: « Ho scelto te come anello fra il partito popolare italiano e la democrazia cristiana, fra la generazione che sparisce e quella che sorge ». A sentire parlare di questioni generazionali, Fanfani si eccitò. Difatti nel discorso pronunciato il 23 agosto 1954 davanti ai consiglieri nazionali della de non d'altro si occupò che dei rapporti fra le diverse generazioni democristiane, affermando che De Gasperi come esponente della prima si era affidato a lui, come esponente della seconda, per esortarlo ad occuparsi della terza. Fu naturale che Gronchi, quale grande avanzo della prima — e nella prima sacrificato da De Gasperi — si risentisse, e mi hanno infatti raccontalo che egli lasciò l'adunanza del Consiglio nazionale pieno d'ira e di sdegno mal repressi. Fanfani, d'altra parte, non era uomo da lasciarsi togliere il controllo dell'apparato di cui disponeva e lo tenne difatti saldamente, anche perché sua convinzione prima sembra sia quella di dover guardarsi dagli amici de. Probabilmente la ritrae dallo stesso suo nome di battesimo, dato che Amintore si chiamava il marito di una delle Danaidi dalla quale fu ucciso la prima notte di noz¬ ze, secondo l'usanza delle mantidi religiose. Considerando propria sposa la de. quando egli si trova alle soglie del potere — ovverossia del talamo — è innanzitutto con la de che deve fare i conti. Deve farli anche adesso che punta al Quirinale, ma li ha sperimentati fin da quando era installato in Palazzo Chigi, presidente del Consiglio del suo primo governo di apertura discreta in direzione di sinistra, fra il '58 e il '59. Fu una notte di nozze che durò un semestre (quanto il suo rapido passaggio al Viminale da ministro dell'Interno di Pellai, poiché già prima di Capodanno del 1959 egli dava ai giornali un'intervista per far sapere il suo esaurimento: « Sei mesi di attività di un governo formato con la più larga maggioranza resa possibile dalla situazione, ma notoriamente limitata, non passano senza affaticare. I segni della fatica riguardano sia il governo, sia i suoi membri, sia anche i suoi sostenitori... », eccetera. Si parlò quindi del governo Fanfani come di un governo bambino di costituzione gracile, o di un governo vecchio nato stanco; ma a parte queste ed altre simili amenità, trascorso ancora un mese, la mattina di sabato 31 gennaio 1959 si venne a sapere che Amintore Fanfani aveva dato le dimissioni non solo da presidente del Consiglio e da ministro degli Esteri, ma pure da segretario politico della de. Disse di preferire far ritorno alla vita privata, ai « prediletti » studi, alla passione per la pittura; ed anche pensò forse — fu immaginato da taluni — ad un ritiro conventuale, sul grande esempio del suo maestro Giuseppe Dossetti. Il colpo doroteo Per qualche giorno, in ogni modo, fu impossibile trovarlo a casa sua né altrove, come un fuggiasco. Si circondava di mistero ed ai compagni di partito sconcertati faceva giungere messaggi sibillini («Se mi passa davanti un cavallo sellato potrei anche salirci n) od ingiuriosi f « Mi sentivo l'unico gallo in un pollaio di capponi »). Probabilmente era per tentare una prova di forza incominciando con lo spaventare i concorrenti, ma nel braccio di ferro perdette: nacquero i « dorotei » in un convento di suore sul Gianicolo, ed il 16 marzo 1959 nel Consiglio nazionale democristiano che doveva decidere se accettare o respingere le dimissioni di Fanfani da segretario del partito i contrari al suo ritorno furono 54, i favorevoli 37, gli astenuti 9; 12, infine, e notabili, gli assenti. In buoni termini, lo fecero fuori, probabilmente proprio per paura dell'imprevedibilità delle sue mosse, delle sue improvvisazioni e dei suoi scarti che sono i modi in cui Fanfani suole esercitare il potere. E' la dc-Danaide sua sposa la prima a spaventarsene, ed anche oggi che Fanfani dopo molte vicende è ritornato impavido sulla cresta dell'onda (« Il Rieccolo » lo ha definito un giorno Indro Montanelli, vedendolo risorto tante volte mentre tutti lo davano spacciato) le sue probabilità di vincere la corsa al Quirinale sono condizionate da uno stato d'animo democristiano, che sia cioè definitivamente passata la paura. Vittorio Gorresio (I precedenti articoli della quarta parte dell'inchiesta sono apparsi il 6, 8, 13 e 15 luglio). Roma. Moro, Fanfani e il ministro dell'Interno, Restivo, a un ricevimento ufficiale (Foto Team)