Macbeth rinascimentale con la regia di Enriquez

Macbeth rinascimentale con la regia di Enriquez La "prima,, al Teatro Romano di Verona I Macbeth rinascimentale con la regia di Enriquez Lo spettacolo cerca di liberare la tragedia dall'antica impostazione "barbarica" - L'interpretazione di Valeria Monconi e Glauco Mauri (Dal nostro inviato speciale) Verona, 9 luglio. Subito il sangue. Dopo la rapida apparizione delle streghe, le prime parole pronunciate in Macbeth da un essere umano sono: « Chi è quell'uomo insanguinato? ». Nello spettacolo che Franco Enriquez ha allestito al Teatro Romano per il tradizionale festival estivo scespiriano, la battuta del buon re Duncan e la scena del campo di battaglia — ancora sangue e morte: corpi trafitti giacciono qua e là — addirittura precedono l'incontro delle tre « fatali sorelle ». Felice intuizione, se è vero che il sangue è la parola chiave della tragedia, ricorre continuamente nelle immagini e imbratta realmente le mani le vesti e le armature, scorre come fiumi, inonda la scena. La carneficina è già cominciata. Dal guerriero vermiglio il re di Scozia apprende che Macbeth ha fatto strage di ribelli e tributa al suo generale titoli e onori. Macbeth non lo sa, glielo annunciano le streghe. Ma l'azione incalza, i piani inclinati metallici che s'intersecano nello spazio scenico ideato da Emanuele Luzzati (ingegnoso e funzionale: ma perché quella tomba-portale che ricorda, curiosamente, l'ultimo atto di Aida?) impediscono ogni soluzione di continuità. Siamo già nel castello di Macbeth, all'uccisione del re e poi di Banquo, il cui spettro di sangue riappare, ma giustamente non viene mostrato, durante il famoso banchetto. Il secondo tempo si apre con un gran colpo di teatro. Altissimi neri fantasmi incoronati — è il corteo dei re scozzesi che discenderanno da Banquo — stringono Macbeth in una morsa. E, nonostante sia stato soppresso il quadro del macello della moglie e dei figli di Macduff, tutta l'ultima parte dello spettacolo è più mossa, cinematograficamente movimentata dalle scene di combattimenti e dai duelli: che ad eccezione di quello estenuantemente mortale di Macbeth, forse converrebbe « girare » tutti al rallentatore. Essi riscattano la loro esteriorità da , grande schermo figurando come proiezioni liberatorie, e i dunque necessarie, dell'ira e della disperazione a stènto sli no ad allora represse dai furibondi sarcasmi di cui Glauco Mauri ha ammirevolmente acceso il suo personaggio. È Lady Macbeth? Per Enriquez, questa tragedia dell'ambizione e dell'orgoglio è anche una grande storia d'ambre. Può darsi, ma l'amore, anche se reso più possessivo ed esclusivo dalla mancata maternità di lei, non è la molla della vicenda, e non bastano le appassionate effusioni che si scambiano i due protagonisti per dimostrarlo. D'altronde Valeria Moriconi, con quel suo trucco marcato e quel continuo feroce digrignare di denti, lascia intendere di aver colto, prima di ogni altro tratto, la diabolica crudeltà che impasta e sorregge la debolezza femminile di Lady Macbeth e della quale si vedono ancora i barbagli nell'impressionante scena del sonnambulismo dove l'attrice, quando non indulge agli effettismi di una follia da melodramma, ha tocchi veramente efficaci. Ma, continua Enriquez in polemica con l'impostazione « barbarica » che viene solitamente data a questa tragedia della maturità scespiriana (quasi sicuramente è del 1606, subito dopo Otello e Re Lear), « il mio Macbeth è assolutamente "rinascimentale" ». Si può dubitare che « senza II principe e I discorsi di Machiavelli, Shakespeare forse non avrebbe scritto Macbeth, ma si può consentire che il trapasso violento del potere da Macbeth a Malcolm possa in qualche modo simboleggiare il passaggio dal Medioevo al Rinascimento. Tutto questo dalla rappresentazione non risulta molto, ma per fortuna importa poco, anzi non sovraccarica lo spettacolo di troppi significati. Rimangono i costumi, di sapore rinascimentale, che tuttavia contraddicono l'impianto scenico ancora « barbarico » nella sua essenzialità, e resta l'astuto rilievo dato dalla figura dell'impetuoso e lascivo Malcolm, acutamente interpretata dal giovane Gianni Giuliano, ma nella quale s'intravede più un tranello ipocrita e altrettanto spietato di Macbeth che un giusto e illuminato signore cinquecentesco. Senza dire che sia il linguaggio scabro ed ellittico del testo, al quale rende pienamente giustizia la calzante traduzione di Elio Chinol, sia la disarmonia e la violenza della sua tematica e delle sue immagini suggerirebbero di scavalcare il Rinascimento per arrivare dal primitivismo medievale ad atmosfere quasi protoromantiche. Sono le prime impressioni di uno spettacolo che sarebbe ingeneroso definire estivo tanto più che è destinato a durare oltre il breve arco di un mese. A Torino infatti pinSrilascbil cllibgsespdsoasavl'lom per ora non verrà, ma sarà incluso nel cartellone dello Stabile del quale Franco Enriquez ha assunto da poco la direzione artistica. La scelta, come quella di Isabella comica gelosa con cui il 4 settembre si aprirà il ciclo di rappresentazioni all'Olimpico di Vicenza e che probabilmente inaugurerà la stagione torinese, è in un certo senso forzata: entrambi gli spettacoli sono nati prima della nomina di Enriquez e sotto altri segni, il Macbeth ad esempio per un interessante confronto con l'opera verdiana che verrà data all'Arena veronese. Lo ammette, onestamente, lo stesso Enriquez. Ma non mi sentirei di dargli già la croce addosso per questo, la colpa è meno sua che di chi ha stirato sino all'inverosimile una trattativa che si sarebbe dovuta concludere almeno sei mesi prima. Avremo quindi occasione di riparlare di uno spettacolo che ha ottenuto vivissimo successo e del quale, per ora, loderemo ancora il sobrio commento musicale di Giancarlo Chiaramello e le notevoli prestazioni di Donato Castellaneta, che restituisce nella sua giusta misura clownesca il breve intermezzo del portiere, di Franco Alpestre, che è un veemente Macduff, dello Spadaro, del D'Amato, della Carbonetti e di qualche altro. Alberto Blandi

Luoghi citati: Scozia, Torino, Verona, Vicenza