Amor di poeti di Giovanni Raboni

Amor di poeti Raboni e Bellezza Amor di poeti Casti affetti e pene di un «maudit» Giovanni Raboni: « Economia della paura», Ed. Scheiwiller, pag. 45, L. 1000. Dario Bellezza: « Invettive e licenze », Ed. Garzanti, pag. 134, L. 1800. a In questa stagione più che propizia per la poesia, e che ha visto il successo dell'ultimo tempo di Montale, la sortita dell'inusitato splendore di canto di Attilio Bertolucci, due poeti più giovani vanno annotati, Giovanni Raboni e Dario Bellezza, trentottenne il primo, ventisettenne il secondo. A identificarli subito nei contenuti potremmo dirli due poeti d'amore, ma sarebbe questa una connotazione generica, se non infelice, che potrebbe fare scantonare quei molti lettori, i quali, all'espressione di un sentimento così usurato e nominato, d'istinto si sottraggono. Quando invece, tanto Economia della paura di Raboni come Invettive e licenze di Bellezza, sono due libri che ci sembrano da leggere e da meditare. La plaquette di Giovanni Raboni rivela un dettato depuratissimo da qualunque scoria e da quei ricatti stilistici o tematici con cui molti scriventi versi si trastullano. C'è qui un poeta che ha oltrepassato la soglia delle sperimentazioni, e si è addentrato con libertà in un linguaggio piano e personale, che ritaglia contorni impeccabili e precisi, all'interno dei quali versa tinte reali e plasticamente lievi. E' il suo, dicevo, un mondo di amore: per la moglie, per una bambina. Ma questi affetti, espressi talvolta con festevole candore, incontrano trasalimenti, turbamenti, concrete paure. La realtà intorno assedia con motivi di raccapriccio, e l'intimità del cuore ne risulta sconvolta, se non adulterata. Germinale nudità D'altra parte, a questa violenza è difficile sottrarsi: il poeta non può che ripetere la sua pena antica di uomo che vorrebbe salvezza e gioia diversa; e non può che parlare della sua radicale delusione, che travolge affetti e conoscenza: « La cosa che a te si rompe dentro di colpo precisa nella - parte alta del gridare, del ridere soprattutto - (spiega l'altro tranquillo: difetto delle corde vocali) - dovrebbe farti capire, no? Dovrebbe metterti sulla strada per capire - l'urto che m'abbassa netto il cuore, mi strangola se - penso quello che avendo si può perdere ». Da questi pochi versi, risulta una scrittura che vuole far dileguare la poesia dai sentimenti, e vi riesce scovandoli in una loro germinale nudità, e restituendo ad essi, nel timbro del canto, le parole esatte, quelle quotidiane, che li pronunciarono. La riprova l'abbiamo in due idslivgpcc a e i o a r i l e e e traduzioni da Mallarmé poste in coda al libro, tanto piene di invenzione proprio nello spostare l'asse parnassiano e letterario del dettato francese in una socievolezza espressiva assai ardente: « Una negra del diavolo decide - di papparsi una bambina vestita di strappi e triste le sue cose acerbe e già pregiudicate, così - s'attrezza, perdendo acquolina, a certi la vori... ». Per Dario Bellezza, invece, la letteratura e il suo linguaggio sono strumenti che vanno dissolti con l'uso, che vanno ritorti su loro stessi: sono il bersaglio verso cui mira un sentimento es:-'2nzialmet-te piagato, per riscattarsi, per esorcizzarsi: « Forse mi prende malinconia a letto - se ripenso alla mia vita tempesta e di - mattina alzandomi s'involano i vani - sogni e davanti alla zuppa di latte - annego i miei casi disperati ». E' una poesia, questa, che sfrutta il gergo del sublime, dell'estetica alterezza, per travolgerlo nel maledetto, nel turpe, accolto al modo di una sulfurea benedizione. Estrema licenza Ma questo canzoniere, solenne e reietto, dove l'odio e l'amore, sentito come licenza da ogni norma, si intrecciano inestricabilmente, non si ferma dentro le misere stanze che gli fanno da scenario, né dentro gli angusti orizzonti di un io che pare procurarsi scandali per resistere alle aggressioni (desiderate) della vita. Scava più in la, nelle zone dell'inerzia vitale, dove la moralità prende a balbettare il suo credo. All'interno di tutto ciò, Dario Bellezza si cala come fra piranesiane rovine, in cerca di un'idea della vita che il tempo ha distrutto o calcificato al modo di un rudere: « Smussa le tue femminine parti, angoscia, lascia la bella età che si consumi - nel tuo tenace portare novità . che nessuno s'accorge, nessuno canta. - Morta è la poesia. E quietamente - mi assale il desiderio di morire e certa è la fine, certa la distanza - che da tutti mi separa... ». Come si vede, Bellezza possiede anche un senso vivo del ritmo, le sue cadenze sono quelle ricavate dall'antico e sfibrato endecasillabo. In questo si potrebbe dire che egli sia disceso direttamente dalla versificazione del Pasolini de Le ceneri di Gramsci, o da certe dissonanze che, con aurea misura, interrompono come un brivido il cantabile di Sandro Penna: oltretutto proprio in rapporto a Penna, Bellezza sa racchiudere in epigrammi di grazia ellenistica alcuni slanci di amorosa emozione. Ma in lui, i rapporti di affinità e di gruppo sanguigno vanno cercati più indietro nel tempo, ad esempio nei francesi della fine del secolo scorso. Enzo Siciliano