Mastronardi nuovo a metà

Mastronardi nuovo a metà Mastronardi nuovo a metà Lucio Mastronardi: « A casa tua ridono », Ed. Rizzoli, pag. 156, lire 2200. r r , o o a a a n . , , naeuirrca osa oei Dopo un lungo silenzio Lucio Mastronardi torna a presentarsi ai lettori con un romanzo, A casa tua ridono, che, come egli stesso dichiara nella scheda editoriale, vorrebbe segnare, più che una ripresa, un rinnovamento. Perché quel silenzio, seguito al gran parlare che si era fatto del suo primo libro. Il calzolaio di Vigevano (1959), pubblicato con l'avallo di Vittorini, e degli altri due romanzi che hanno per tema sempre quella città (che è poi la sua) o provincia lombarda, seppure vedute attraverso ambienti diversi: Il maestro di Vigevano (1962) e II meridionale di Vigevano (1964), era un silenzio di crisi. Lo sperimentalismo linguistico, per buona parte dialettale, di cui Mastronardi sembrava di colpo diventato uno dei più singolari esponenti, era invece venuto, di libro in libro, perdendo di incidenza: da una funzione demistificante nei confronti della realtà ambientale-sociale scelta a bersaglio del suo spirito anticonformista, era passato al ruolo di esercitazione verbale, tanto più elaborata e compiaciuta per quanto voleva parere immediato e sbracato. A tutto scapito del motivo « serio », che era al fondo, anzi la ragione prima, del suo narrare: quel senso di rivolta alla società e civiltà odierna, oppressive e alienanti nelle loro conquiste tecnologiche e nella progressiva massificazione dell'individuo. Uno iato stridente tra forma e contenuto, di cui in questi anni Mastronardi non può essersi reso conto se (sempre nella scheda) parla di tentativi compiuti per uscire, fra l'altro, « dal colore locale ». Di fatto, in questo nuovo romanzo, quanto a riferimenti a luoghi, quel colore non c'è più, e, linguisticamente, il ricorso al dialetto è di molto ridotto. Ma non scompare, dato che l'intento della mimesi rimane, se non in senso veristico-documentario (che poco interessa Mastronardi), nel senso di una resa narrativa prossima al parlato, e però bisognevole di quei modi scorciati, ellittici, anacolutici propri del dialetto e del gergo. Certo, caduta o generalizzata l'ambientazione, codesti modi (lombardismi per lo più) possono riuscire alquaru to fastidiosi. Ma il protagonista, Pietro, è di estrazione popolare, sebbene risalga sulla scala sociale grazie al matrimonio con la figlia di un ricco industriale: matrimonio che avviene a risarcimento di un'ingiusta accusa mossagli dalla ragazza. Sbeffeggiato, come lavoratore, perché passato per un po' tutti i mestieri, egli rimarrà sempre vicino agli operai, adoperandosi, nella fabbrica del suocero, ad alleggerire orari e mansioni: anche se sarà guardato da loro con diffidenza o, peggio, con disprezzo; così come è tenuto in nessuna considerazione dalla moglie, dal figlio adolescente e dai suoi stessi genitori. E', insomma, un «umiliato ed offeso ». Come altri protagonisti di Mastronardi, un inetto alla vita pratica perché, in fondo, è un ingenuo, un giusto, e — nono. stante l'avventura matrimoniale — un disinteressato. E quando, attraverso il diario del figlio, apprenderà sulla sua famiglia, e sulla moglie stessa, cose da luì sempre ignorate, il senso della propria nullità sarà tale da indurlo al suicidio. Ma lo salveranno, sebbene il suo sopravvivere consista, almeno per il momento, in un continuo delirio, e dia nuovo motivo, agli altri, di derisione. Prevale dunque, qui, la componente « seria » o dolente della tematica di Mastronardi, pur non mancando risonanze di quelle ironiche, umoresche, grottesche, particolarmente acute nella dire- zrqn zìone dell'ambiente familìa. re di Pietro, ma non basta questa prevalenza ad eliminare lo iato d'un tempo, perché lo sperimentalismo, attenuato, come si è detto, nell'ambito linguistico, risulta ora sviluppato in quello strutturale. Il canone (che egli ha in comune con la neoavan. guardia) della narrazione aperta, diretta, senza intervento dell'autore, o meglio dell'intercambiabilità fra il mirrante e il protagonista, o un personaggio, prende sempre più piede in Mastronardi, portandolo non solo a fare uso promiscuo della prima e della terza persona nar. rativa anche nel giro di una stessa proposizione, ma a svolgere un medesimo episodio, o serie di episodi, su piani narrativi diversi. Procedimento che, invece di concorrere a dare il senso « della complessità e delle contraddizioni del vivere », si risolve in duplicazioni e tautologie, che vengono ad aggiungersi a quella cui, qua e là, Mastronardi già indulge da tempo, per quella tenden. za, appunto iterativa e quasi cantilenante, di ascendenza crepuscolare, che è pure in lui con conseguenze macroscopiche nell'ultima parte del romanzo, quella del delirio: dove le vicende fin lì narrate, e le parole stesse della narrazione, tornano a frammenti, a brani, rimescolate in un crescendo ossessivamente scandito dalla frase che dà titolo al libro: A casa tua ridono. L'auspicato rinnovamento di Mastronardi rimane così a mezzo: peccato, perché nelle prime parti certi risultati sono decisamente felici. Vero è che egli considera questo romanzo « ormai una esperienza passata ». Una tappa sulla nuova strada. Arnaldo Bocelli Lucio Mastronardi

Luoghi citati: Vigevano