Il padre di Leopardi

Il padre di Leopardi L'autobiografia di un reazionario Il padre di Leopardi Monaldo Leopardi: « Autobiografia», Ed. Longanesi, pag. 250, lire 1600. Una bella ristampa dell'Autobiografia di Monaldo Leopardi padre di Giacomo (pubblicata postuma a Roma nel 1883) ripropone per direttissima un famigerato « carattere » di reazionario, così intero e persuaso di sé, da riuscire, per l'attrazione dei contrari, confacentc al gusto d'oggi. Lasciamo stare Panzini, che amò il personaggio per affinità elettiva (e ne uscì l'aurea operetta Casa Leopardi, edita nel '48 da Pancrazi), ma l'insospettabile Giuseppe Chiarini nella sua biografia leopardiana procede mite verso Monaldo anche riguardato come « padre », un padre che certo mancò d'intuitiva e di determinazione (mancò soprattutto di contante, col quale anche gli affetti si spiegano meglio), ma che al grande figliuolo volle bene e ne andava altero, e che in qualche tono delle lettere gli si fa sentire alleato contro la terribile moglie e madre (« La madre vostra potrà talora imbruttirsene, ma può darlesl qualche piccolo dispiacere... »). Reazionario quanto si vuole, ma non immobilista, nell'interno del suo sistema procedeva agile e pugnace come si vede fare oggi nelle « correnti » e « sottocorrenti » dei partiti, e cavandosi il gusto di pensare con la sua testa, le sonava ai consorti pontifici non meno che agli aborriti liberali, così da ritrovarsi a capo d'una solitaria e sistematica opposizione, anzi nel bel mezzo di un perfetto anarchismo di ultra. Ligio all'altare come nessuno, definito « gesuita in veste corta » dallo stesso preposto generale della Compagnia di Gesù, così però lasciò scritto dei preti: « Io so benissimo che cosa sono i preti, generalmente parlando. Le calze nere non valgono più delle calze pavonazze, le pavonazze non valgono più di quelle rosse e via dicendo. Io quando ho da spedire un'istanza a Domeniddio, un'istanza di premura la mando direttamente senza intermediari di preti ». Ma la ragione vera dell'interesse che proviamo per Monaldo sta in ciò: che è leopardiano. Scrive maledettamente benino anche quando le sue idee sono esecrabili (come nei Dialoghetti, il suo capolavoro in quintessenza di forcaiolisrao), o quando fa il suo ritratto morale come in tanti capitoli dell'Au/obiogra/ia; ama le parole scelte, cura « la fabbrica e la legatura dei periodi », condisce l'espressione d'un certo umore bertoldesco, da nobile di provincia, che poi Giacomo, in qualche luogo delle prose, sublimerà a umorismo d'arte. Più ancora, nell'amore dei libri e dello studio, nell'edificazione d'una immensa biblioteca, nel gusto antiquario, spianò materialmente la via all'ascesi filologica del figlio. Nel suo stesso amore per il « borgo selvaggio », di cui fu Gonfaloniere e illustrò memorie e monumenti, amore tanto acceso quanto fu l'avversione che sentì per esso il poeta, il padre tocca il figliuolo dentro i confini di un esasperato municipalismo sentito in due modi opposti. Vivace nei toni polemici, fu scrittore scialbo nel resto: di che ebbe spiritosa coscienza. Avviatosi nel 1803 a pubblicare le sue opere, si fermò al primo tomo, comprendente la tragedia Montezuma, la commedia I due fratelli e poche liriche; e delle sue troppe poesie fece un volume manoscritto cui pose la grave mora del seguente giudizio: «Queste poesie sono tutte fredde, snervate e brodo senza sale, e desidero con buona fede che nessuno si metta al caso di darmi ragione leggendole ». E se non arrivò l'infelicità cosmica, conobbe bene la terrena, anzi la domestica, che è la più estenuante di tutte. Reo convinto d'inettitudine amministrativa, racconta tra le righe come fu costretto a cedere alla moglie il governo della famiglia. Niente di male, s'egli non avesse avuto un gran concetto di sé, se non si fosse sentito disadatto per natura alle seconde parti (anche qui c'è deTiglio); il che esprime quadratamente così: « Tutto quello che mi ha avvicinato, ha fatto sempre a mio modo; e quello che non si è fatto a modo miomi è sempre sembrato mafatto ». burspdldesmrsmR«tczigpAt«tdaEppure della tremenda Adelaide si legge qui un tenero elogio, poi subito rivoltato in questi termini: «Il naturale il carattere di mia moglie e inaturale e il carattere mio sono diversi, quanto sono lontani il cielo e la terra. Chi ha moglie conosce il valore dquesta circostanza, e chi non l'ha non si curi di sperimeli tarlo »: che è una veemente |brachilogia di passione anti uxoria. Ma questo del rivolta re proposizioni è tratto consueto in Monaldo, che, uomo pieno di malconciliate contraddizioni, ridava loro sfogo dialettizzandole. Non solo la moglie sentiva dialetticamente, come sostegno e rovina in una volta, ma si veda l'altro elogio caldissimo ch'egli fa del suo istitutore, l'ex gesuita spagnolo Giuseppe Torres, da lui amorevolmente raccolto nel palazzo di Recanati dove finì la vita: « Non già il mio precettore soltanto, ma il mio padre ed amico, e a lui devo la mia educazione, i miei principil e tutto il mio essere di cristiano e di galantuomo ». Si può dire di più? che cosa può avanzare? Avanza che quello stesso istitutore diventa subito appresso « l'assassino dei suoi studi », tanto che dopo qualche anno di quei suoi bestiali metodi di ammaestramento, « il giovine!- to annoiato, indispettito e di- sperato, fece proponimento di non studiare e lo mantenne fedelmente », cioè a dire si pose a studiare da sé. Scorbellato in politica c trattante dall'alto in basso Napoleone, al cui passaggio per Recanati non degnò alzarsi dalla seggiola, ardito nella speculazione degli universali, era molto timido con le donne (altra connotazione leopardiana). A sedici anni prese una cotta per una contessina Teresa Ondedei Zongo che pareva gli corrispondesse, e alla quale sarebbe bastato dire « ti amo » o molto meno. Ma dialetticamente, essendo provocato da un amico a dichiararlesi, disse invece « non ti amo »; e tutto finì. Di un altro partito che viceversa non gli piaceva e che fu lì per acciuffarlo, si liberò versandogli 20.000 scudi, che. per uno che non ha fatto niente di male, è un bel pagare. Sono i portati d'una ritorta psicologia cattolica, che pur ci avvicinano all'umanità di Monaldo, facendoci sentire, non lontana, la grande ombra del poeta. Perché ha ragione Moravia quando dice che « non si possono comprendere la figura e l'opera di Leopardi se non si conoscono la figura e l'opera di Monaldo ». Naturalmente l'autore dei Dialoghetti non produce l'autore dei Canti. « Ma il rapporto tra Giacomo e Monaldo, che poi vuol dire rapporto tra Giacomo e la famiglia, Giacomo e Recanati, Giacomo e la società italiana del tempo, mi sembra importantissimo per spiegare perché Leopardi fu un certo genere di poeta e non un altro, cioè espresse nella sua poesia una certa visione del mondo e non un'altra ». Sottoposta a codesto gioco comparativo (tra « l'idiota », saremmo per dire, e « il genio di famiglia »), l'autobiografia di questo lontano sanfedista diventa una lettura di grande interesse. Leo Pestelli

Luoghi citati: Recanati, Roma