Il ritorno dei profughi o la guerra di Sandro Viola

Il ritorno dei profughi o la guerra Come Nuova Delhi vede i rapporti con il Pakistan Il ritorno dei profughi o la guerra L'assistenza ai fuggiaschi costa quasi due miliardi di lire al giorno, e rischia di far saltare i piani economici e demografici di Indirà Gandhi - Un esercito di un milione e centomila uomini, il quarto nel mondo - « Se le grandi potenze non si impegnano a risolvere questa crisi, agiremo noi » i i ) è a n ) e ». n i(Dal nostro inviato speciale) ! Nuova Delhi. 30 giugno. Il viceministro c a piedi : ncalzi. come usa qui. La clasI se politica indiana non coni| mette l'errore africano, o sudvietnamita, di ostentare costumi da gruppo dirigente ii ricco ». Il funzionario incravattato a 39 gradi all'ombra (una delle immagini più tipiche dell'Africa decolonizzata I è raro, gli uffici del governo sono per lo niii semi plìci. le abitazioni private modeste. E' domenica, le pale del ventilatore della vecchia villetta inglese girano cigolanti. Il viceministro parla con tono calmissimo. « No ». dice. « la Cina non ci fa paura. Nessuno ci fa paura. Se le grandi potenze non si impegneranno a risolvere il problema dei profughi, dovremo fare la guerra ». Gli umori, nella capitale indiana, sono questi. L'altra sera a pranzo con un giovane sinologo dell'università, sabato al ministero degli Esteri lunedì al Parlamento, oggi a casa del viceministro. La guerra. Visto che la comunità internazionale dà prova di non volersi immischiare. l'India potrà risolvere il problema dei profughi, riversatisi sul suo territorio, solo agendo « direttamente ». Direttamente, vale a dire col suo esercito (il quarto del mondo, dopo Usa Urss e Cina), un milione e centomila uomini. Persino al ministero degli Esteri, dove il linguaggio è naturalmente più cauto, quando alla fine si chiede se insomma sono ottimisti o pessimisti riguardo all'eventualità d'una guerra col Pakistan, la risposta è abbastanza netta: « ^o, ottimisti no ». li ragionamento indiano non è propriamente cristallino, e anzi in certi punti appare tendenzioso. Seguiamolo, comunque, perché è l'unico modo di intravedere cosa potrà accadere nelle prossime settimane o mesi, se veramente ci sarà la terza guerra tra India e Pakistan. Dicono a Nuova Delhi: la repressione operata dalle truppe pakistane nel Bengala Orientale, per far pagare a quelle popolazioni il tentativo autonomo di aprile, continua durissima. Sei milioni di profughi sono già affluiti sulle frontiere indiane, altri potrebbero seguirli, ciò che rappresenta per l'India un peso mortale. Dar loro da mangiare, infatti, fornirli di un pezzo di tendone sotto cui ripararsi dalla pioggia, di un minimo di assistenza medica, perché tutto il subcontinente non sia travolto dalle epidemie, costa venti milioni di rupie al giorno. « Vale a dire », fa il dottor Agarwal, responsabile del piano di sviluppo per i tre Stati dove sono affluiti i profughi. West Bengal. Assam e Tripuru, « circa tre milioni di dollari al giorno, un miliardo e ottocento milioni. Il che fa 540 milioni di dollari in sei mesi, 1080 in un anno, cioè un quinto delle disponibilità annue del "piano" con cui intendevamo aggredire e limitare la grande miseria indiana ». « Lei capisce », continua il dottor Agarwal, « che siamo al limite del grottesco. Dopo aver speso tanto danaro e tante energie nel "family planning", il tentativo di controllare l'espansione demografica nel nostro paese, eccoci assediati da una moltitudine giunta da fuori. Pensi soltanto a cosa significherà domani, nel nostro bilancio dell'educazione, nelle ancora deboli strutture scolastiche, il flusso dei milioni di bambini e di ragazzi venuti dal Bengala Orientale. Insomma, è meglio dirlo chiaramente: tutto il nostro sviluppo è compromesso ». Ma il problema dei profughi non è soltanto economico, è anche politico. L'Assam è una regione turbolenta, nel Tripura si trascina da anni la guerriglia delle popolazioni Mizo contro l'esercito indiano, il West Bengal è lo Stato a maggioranza comunista-marxista che fa capo alla esplosiva Calcutta. Qui. in questi punti molli dell'Unione indiana, la presenza dei profughi può avere conseguenze gravissime. « Tenga presente », avverte il viceministro Vanna. « che l'intera macchina amministrativa dei tre Stati è in pratica bloccata dall'operazione di assistenza ai rifugiati. Dunque uffici che non funzionano più, progetti arenati, caos ». « Quale crede che sarà », dice il capo dell'ufficio stampa del ministero degli Esteri, Singh, « la reazione delle popolazioni locali a vedere che i loro ospedali sono pieni di estranei, che le scuole non riapriranno perché servono da riparo ai profughi? Quali i contraccolpi della concorrenza fatta dai rifugiati ai braccianti locali, che già guadagnano pochissimo? La verità è che il problema politico è quasi più grave di quello economico ». I profughi, dicono a Nuova Delhi, devono dunque andarsene. Naturalmente, non possiamo cacciarli contro le baionette dei soldati puniabi dinanzi ai gitali sono fuggiti. Naturalmente, essi devono poter tornare alle loro case, o a ciò che resta delle loro case, senza che corrano alcun pericolo. Perché questo accada, la situazione nell'East Pakistan deve essere diversa da com'è ora. Ora, da un punto di vista politico, questa richiesta equivale a un ultimatum. E' vero infatti che i bengalesi dell'East Pakistan avrebbero il diritto di veder tornare TAwami League. il partito autonomista che nelle elezioni del dicembre scorso aveva avuto nella regione orientale il 98 per cento dei suffragi, e i cui leaders sono siuii passati per le armi o imprigionati o costretti a fuggire in India; ma ciò non potrebbe avvenire che a una sola condizione, un collasso del regime militare di Islamabad. Pretendere che il maresciallo Yahya Khan rimetta ai loro posti gli uomini che dal 25 marzo in poi hanno tentato di separare le due « ali » del Pakistan, creando un Bangla Desh indipendente, è pretendere i impossibile. Gli indiani possono chiedere insomma il ritorno dei profughi, un controllo internazionale sulle condizioni create dai pakistani perché questo ritorno sia possibile, e. al massimo, nuove pressioni delle potenze su Islamabad, perché l'East Pakistan ottenga, seppure in par¬ te, le autonomie che la popolazione aveva chiesto chiaramente, votando per TAwami League. Altre condizioni non possono porle. Quando lo fanno, rivelano l'estrema ambiguità di tutta la loro posizione nell'« affare » del Bangla Desh, e, nell'ambiguità, alcune componenti aggressive dell'India d'oggi. Sandro Viola Calcutta. Un villaggio di barche è sorto vicino alia città: vi abitano 140 mila rifugiati pakistani (Tel. Associated Press)

Persone citate: Agarwal, Assam, Gandhi, Singh, Yahya Khan