Da oggi in appello a Lecce i mafiosi del delitto Tandoj di Mario Dilio

Da oggi in appello a Lecce i mafiosi del delitto Tandoj Undici anni fa l'uccisione del commissario di Agrigento Da oggi in appello a Lecce i mafiosi del delitto Tandoj Ventuno gli imputati: in primo grado furono comminati 20 ergastoli e 175 anni di reclusione Il diario del funzionario permise d'identificare i responsabili, gli stessi che lui aveva protetto dal corrispondente Lecce, lunedì mattina. Avvocati, testimoni, parenti e conoscenti degli imputati affollano i pochi alberghi di Lecce, dove stamane ha inizio il processo in Assise di appello contro 21 persone, già condannate nel 1968 complessivamente a 20 ergastoli e 175 anni di reclusione per l'assassinio del commissario della squadra mobile di Agrigento Cataldo Tandoj: fu un diario del funzionario a far scoprire i responsabili del delitto mafioso, gli stessi che lui aveva protetto. Lecce è la sede in cui doveva trasferirsi il procuratore capo della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione, anch'egli « eliminato » dalla mafia il 5 maggio scorso. Il delitto Tandoj avvenne ad Agrigento 11 anni fa, il 30 marzo 1960. Tornava a casa accompagnato dalla moglie Lelia Motta e, in piazza della Vittoria, venne raggiunto da quattro colpi di pistola calibro 9; un quinto proiettile uccise il "giovane studente diciassettenne Ninni Damanti, di Porto Empedocle, che passeggiava sulla stessa piazza con alcuni suoi amici. Il dott. Tandoj aveva diretto per diversi anni la squadra mobile di Agrigento; aveva si indagato « a fondo » sui n l i l molti misfatti di mafia dell'Agrigentino, ma, pur pervenendo all'identificazione di numerosi responsabili, si era limitato a riferire alla magistratura solo'una certa parte dell'esito delle sue indagini. Particolari interessanti e decisivi li annotava però sul suo diario personale, di cui era gelosissimo e che non mostrava a nessuno. Poco tempo prima di essere ucciso — ed ecco emergere la straordinaria ed impressionante similitudine del delitto Scaglione con quello Tandoj — il commissario chiese di essere trasferito ad altra sede sul Continente. La domanda venne accolta e il 30 marzo 1960 egli tornò ad Agrigento per ripartire definitivamente con la moglie per la sua nuova sede a Roma. Ma la mafia glielo impedì. Dopo la conclusione della prima fase di indagini, che | avevano coinvolto la stessa moglie del commissario (sospettata di avere una relazione intima con il prof. Mario La Loggia, direttore dell'ospedale psichiatrico, di Agrigento e fratello dell'allora presidente della Regione siciliana on. Giuseppe La Loggia) il sostituto procuratore generale di Palermo dottor Luigi Fici, scagionando da ogni sospetto il medico e la signore Tandoj, giunse, nella primavera del 1963 — sulla base del diario — all'identificazione dei mandanti del crimine e degli autori materiali di una lunghissima catena di omicidi, e denunciò un numeroso gruppo di mafiosi di Raffadali (Agrigento). Il processo si svolse davanti alla corte di assise di Lecce e durò nove lunghi mesi, dal tardo autunno del 1967 all'estate del 1968. La sentenza si ebbe il 24 luglio. In ben 800 pagine la corte ricostruiva la storia delle cosche mafiose di Raffadali e poneva in risalto certi pericolosi legami di mafiosi con uomini politici; e tra essi Vincenzo Di Carlo, giudice conciliatore del paese, definito nella sentenza « uno dei mandanti del delitto che era stato deciso più in alto da qualcuno senza il cui consenso la deliberazione di uccidere un commissario di P.S. non sarebbe stata mai adottata né eseguita ». Fu proprio nelle pagine della sentenza che emersero seri dubbi sulla attività del funzionario di polizia, che aveva affondato il bisturi nei rapporti tra i gruppi mafiosi della provincia di Agrigento e aveva a lungo indagato sulla figura di Antonino Galvano, ucciso il 21 gennaio 1959 mentre tornava a casa. Secondo i giudici di Lecce, Tandoj aveva individuato i sicari dell'omicidio (Giovanni Scifo e Vincenzo Alonci) e anche i mandanti (i fratelli Luigi e Santo Librici e Vincenzo Di Carlo, esponente politico di Raffadali) ed aveva minacciato di parlare dopo essere stato trasferito a Roma, città in cui avrebbe potuto far eseguire la perizia balistica sulla pistola sequestrata ai killers. Questa dunque, per i giudici salentini, la causa della morte di Tandoj. Una volta a Roma sarebbe stato molto più difficile raggiungerlo e intimidirlo. Venne colta l'occasione della sua breve visita ad Agrigento ed il crimine fu portato a termine. Del delitto di c.ii fu vittima Antonino Galvano, si riparlerà in corte di assise di appello, anche perché questo processo è stato unificato con un altro contro lo Scifo e l'Alonci, presunti esecutori materiali, assolti per insufficienza di prove dalla corte di assise di Agrigento. In aula stamane sarà presente Santo Librici, ritenuto il capo della nuova mafia di Agrigento, il quale all'epoca del processo di primo grado era detenuto negli Stati Uniti e solo recentemente è stato estradato in Italia. Saranno assenti dal banco degli imputati Giuseppe Latuca, condannato all'ergastolo e morto in carcere, nonché lo Scifo e l'Alonci, il primo latitante e l'altro evaso alcuni mesi fa da un campo di .lavoro in Sardegna. Presenti invece Luigi Librici (mandante, assieme a Santo Librici, dell'omicidio Tandoj e responsabile della morte dello studente Damanti), Giuseppe Terrazzino e Giuseppe Casa, i quali, insieme con Giusep¬ pe Latuca, Vincenzo Di Carlo e Giuseppe Galvano, ordinarono l'uccisione dì Antonino Tuttolomondo ed Antonino Galvano; Antonino Bartolomeo, imputato della morte di Gerardo Milia e Antonino Galvano. Gli altri dieci condannati a pene detentive sono Giuseppe Baeri (30 anni di reclusione quale esecutore dell'omicidio Tandoj e responsabile della morte di Damanti), Domenico Fregapane e Isidoro Laporta (23 anni ciascuno per aver ucciso il pastore Pietro Bonsignore), Girolamo Latuca e Vincenzo Galvano ( condannati rispettivamente a 16 anni e 4 mesi e 13 anni e 4 mesi quali mandanti del precedente omicidio). Si ritiene che il processo si protrarrà fino alla metà del prossimo mese di luglio. Intanto si apprende qui a Lecce che Lelia Motta, vedova del commissario Xandoj, non si costituirà parte civile. La signora, figlia di un ex questore, avrebbe dichiarato al suo avvocato di aver perduto ormai ogni interesse per la triste vicenda. Insegna francese all'istituto professionale di Agrigento e starebbe per risposarsi con un giovane medico siciliano. Mario Dilio f | Cataldo Tandoj