Scuola che è tutta politica di Michele Tito

Scuola che è tutta politica BREVE INCONTRO CON LA CINA MAOISTA Scuola che è tutta politica Corsi e programmi sono ridotti: cinque anni di elementari, quattro di medie, due o tre d'Università; e l'operaio meritevole può laurearsi in un anno - Le prime materie sono i pensieri di Mao e la guerriglia; lo studio in classe si alterna subito con il lavoro nell'orto od in officina - I voti sono aboliti; i giudizi collegiali e le promozioni, come i programmi ed i libri, vengono discussi tra insegnanti, allievi, consigli rivoluzionari, rappresentanti di operai, contadini e soldati - La diffìcile « rieducazione » dell'ex rettore del Politecnico di Pechino (Dal nostro inviato speciale) Pechino, giugno. Le scuole elementari hanno tutte grandi palestre; i bimbi vi si esercitano alla guerriglia e manovrano lance ornate di Hocchi scarlatti. Can tano un inno della rivoluzione culturale: « Siamo i figli dei figli», i nipoti dei soldati che seguirono Mao nella Lunga Marcia. Le maestre e i membri del comitato rivoluzionario ne parlano con nerezza: sono puliti, ben nutriti, alti di statura: « Il nostro lavoro è bello, siamo felici e fortunati ». Fanno visitare le aule e vantano la maturità politica dei loro ragazzi. Una bambina in quarta elementare fa l'autocritica: aveva difficoltà a risolvere un problema difficile e non aveva fatto ricorso al pensiero di Mao: i compagni di classe l'ammoniscono: « Mao ha detto che la terza generazione è rossa e deve rimanerlo ». Hanno imparato per prima cosa che la rivoluzione si fa con l'istruzione, conoscono ia lunga storia degli sforzi falli per insegnare ai cinesi a leggere, scrivere e « conoscere la scienza del popolo ». C'è scritto sui muri: « La battaglia, per l'istruzione non finisce mai ». E come le primii comunità puritane inglesi volevano che tutti sapessero leggere per meditare sulla Bibbia, le maestre dicono: « Facciamo uno sforzo enorme per insegnare tremila ideogrammi nei primi anni, il minimo per leggere Mao ». Riso e sfruttati Sulla lavagm di un'aula di seconda un ragazzo ha vergato la « proposta » di un problema di aritmetica: un contadino povero ha raccolto cento chili di riso, deve consegnarne novantuno al proprietario sfruttatore: quanto riso gli rimane per sfamare i figli? Alla lezione d'inglese in quinta elementare i ragazzi ripetono, instancabili, la traduzione di una frase scrii--1 la sulla lavagna: « Il presidente Mao ha detto che tutti i popoli del mondo devono essere uniti ». In mattinata hanno svolto un tema, era una lettera di solidarietà ai combattenti del Vietnam. Leggeranno e commenteranno al l'ultima ora di lezione, verso il tramonto, l'editoriale politico del giorno. Hanno officinette, dove 'ì bimbi lavorano sotto la guida di giovani operai, e orti con minuscoli canali d'irrigazione, dove lavorano durante la ricreazione. Vendono al mercatino i pochi ortaggi e alle fabbriche vicine i pezzi prodotti con il tornio e la fresa; sanno di costi, di matzrìa prima, di prezzi, e hanno imparato a protestare nel collettivo quando l'insegnante parla di cose lontane dalla vita pratica. I più grandi sono già esigenti e duri, alcuni di loro assistono ai colloqui delle maestre e dei membri del comitato rivoluzionario, intervengono, prendono appunti: sono loro che parlano della e mobilitazione ininterrotta » nelle scuole ed esortano il direttore del comitato ri voluzìonario a raccontare le storie esemplari della scuola. C'era un bambino « che non studiava e amava il gioco »; lo hanno aiutato con pazienza a leggere i tre articoli più importanti scritti da Mao (tre vile eroiche), hanno mobilitato ì suoi compagni di clas se perché gli facessero coraggio, è stato realizzato l'aiuto reciproco. Sono state inten sificate, per quel ragazzo, 'e lezioni fatte dai genitori che raccontavano del proprio pausato e della vita nella vecchia società. Il ragazzo fu indotto a fare confronti, a valutare e giudicare: « In mozzo anno è cambiato, è diventato un buon allievo ». Ci sono storie d'insegnanti che hanno fatto l'autocritica dinanzi ai propri alunni, ci sono gli episodi delle difficoltà insormontabili superate d'improvviso quando tutti assieme, genitori,, guardie rosse del quartiere, rappresentanti dei contadini e degli operai e allievi, hanno saputo applicare il pensiero di Mao. Parlano della grande conquista dell'abolizione dei voti e del giudizio collegiale, dato da tutti, i ragazzi, gli insegnanti, i genitori, i soldati, i contadini, gli operai: al primo posto la coscienza politica, poi la lingua (gli ideogrammi: 700 in prima elementare), la matematica, lo sport, l'arte rivoluzionaria (canto e disegno), le scienze sociali (in realtà cultura civica) e sascmggflissncaz e i i i o , , e i e scienze naturali. All'ultimo anno, ma non sempre, l'inglese. Hanno ridotto da sei a cinque anni il corso delle elementari e all'essenziale i programmi: « Seguiamo l'insegnamento di Mao: ridurre la frequenza nella scuola e fare la rivoluzione anche nella istruzione ». I ragazzi esortano gli insegnanti a parlare di se stessi; e gli insegnanti raccontano: attraverso la rivoluzione culturale lianno potuto elevare la coscienza di classe degli allievi, hanno capito che occorre insegnare « la continuazione della rivoluzione ». E aggiungono: « Le nostre non sono formule, insegniamo ciò che è necessario per conoscere, ma formiamo i continuatori della rivoluzione ». Quando lasciano la scuola elementare, ncevono un certificato in cui è detto che sono stati giudicati maturi dai loro compagni, dagli insegnanti e dalle assemblee dei genitori. Hanno ridotto a due - anni i corsi delle scuole medie inferiori e a due anni quelli delle scuole medie superiori: ovunque non ci sono più voti ed esami per i singoli allievi, non ci sono i primi e gli ultimi della classe. Il giudizio è sempre collettivo e gli insegnanti veri e propri sono alla pari con i contadini, gli operai, i funzionari delle amministrazioni e del partito «delegati a mostrare la vita»; passano più tempo nelle fabbriche e nei campi ad osservare, negli uffici a vedere cos'è la burocrazia e nei grandi negozi a vedere come si vende e cosa si compra, di quanto non ne trascorrano nelle aule sui libri. Non accadrà più, dicono, che i giovani credano solo nei libri. Imparano una ma teria. nuova, l'« esprimersi politicamente », apprendono che l'obbedienza « non » deve essere cieca e che la sola difesa per non tornare alla schiavitù del passato sta nella propria coscienza critica: « Studiare, conoscere, approfondire criticamente; seguire gli esempi conoscendone il valore; servire la rivoluzione essendone convinti ». avSvcadiaslasMinoranza silenziosa Imparano che vivono in regime di dittatura della classe operaia, e c'è scritto nei loro testi: « Non bisogna fare confusione: c'è la dittatura della maggioranza, composta dagli operai e dai contadini, la minoranza può essere tollerata, ma non ha diritto a partecipare alle decisioni ». E c'è adesso, insieme alla storia classica, che è la storia delle sofferenze antiche Migli imperatori Ming sprecavano, per. costruire una tomba, ricchezze capaci di nutrire un milione e seicentomila contadini per sei anni e mezzo »), la storia della recente rivoluzione culturale: « E' la prima che abbiamo fatto da noi; altre dovranno venirne ». «Contro chi? ». « Anche contro noi stessi ». Nessuno, finite le scuole medie, va all'università. Per tutti è obbligatorio lavorare; per alcuni, dopo tre anni di lavoro, la fabbrica o la comune o l'esercito o l'ufficio da cui dipendono li destina, quando l'assemblea lo giudica utile, all'università, e la facoltà è scelta conciliando i bisogni della comunità, le aspirazioni del giovane e le valutazioni delle assemblee. Sono ormai pochi coloro che vanno alle facoltà umanistiche, che decadono; c'è ressa alle soglie dei politecnici e dinanzi agli ospedali dove si insegna la medicina. Giungono all'università a diciassette anni se hanno il diploma di scuola media, a venti anni se, privi di studi, le fabbriche o le comuni li hanno giudicati adatti a tentare le vie dello studio. Arrivano col libretto rosso di Mao in mano; il primo esame che fanno, per la ammissione, è un esame di maturità politica: imparano subito che la politica è al primo posto. Nel « campus » verdeggiante, dai viali fiancheggiati di aiuole fiorite, del politecnico di Pechino incrociano un vecchio signore che saluta tutti sorridente, e ne apprendono subito la storia che è un esempio. Quel signore è il vecchio rettore del Politecnico, si chiama Ciang Nan-hsian; lavora adesso come operaio meccanico in un'officina dell'università. Non lo hanno destituito. Si riuniscono spesso in assemblea e discutono del suo caso: ha capito d'essersi sbagliato? Il vecchio intellettuale ancora non ha capito, parla un linguaggio diverso da quello dei suoi giudici: ancora ricorda d'essere stato il fondatore e il segretario del comitato di partito dell'uni¬ versità di Pechino. Gli accade di dire: « Ho difeso il prestigio della mia università, la più celebre della Cina ». Ma è un uomo del passato: mentre gli studenti, con la rivoluzione culturale, operavano il a grande rimescolamento » egli consumava, inconsapevole, un tradimento. Si alleava alla signora Liu Shao-chi (moglie del presidente della Repubblica « rinnegato e deviazionista »), che era entrata nell'università agitando la bandiera di Mao, favorendo epurazioni indiscriminate, lanciando parole d'ordine avventurose per assumere il controllo della rivoluzione culturale, col proposito di stroncarla poi. 1 7 della montagna L'antico rettore non aveva capilo e credeva d'essere nel .giusto, credeva d'essere forte perché nella sua università la rivoluzione culturale era cominciata: sotto i suoi occhi s'erano ribellati per primi i « sette della montagna », i figli dei grandi del regime, che sì levavano contro il « partito che si siede » dei padri. Divulgava l'eresia « nera e marcia » della scienza individuale, difendeva il vecchio sistema di esami. Con lui i giovani, anche quelli delle prime avanguardie della rivoluzione culturale, inseguivano la fa¬ ma e il guadagno, passavano ii dai libri ai libri » e, « con i pantaloni di vitello, i capelli ad aeroplano, le scarpe a fuso », seco7zdo lo stile di Hong.kong, consumavano i « tre divorzi »: dalla politica, dalle masse, dalla produzione. Ora il presidente del comitato rivoluzionario, circondato da professori, studenti-operai, studenti-contadini, studenti-soldati, parla di queste cose come di storie antichissime. « E' tutto diverso, non ci saranno mai più gli errori del passato ». E' un lungo elenco di errori: gli intellettuali che guidano la scuola, il principio per cui gli studenti più bravi agli esami sono destinati alle carriere più brillanti, i programmi ii smisurati» di cui tutti, docenti ed allievi, erano vittime, con inutili complicazioni teoriche e lunghi tirocini di .studio: «Appena laureati avevano già la ba-ba lunga ». Errore grave era quello dei corsi organizzati dai professori, dei libri non discussi con i contadini e gli operai, del culto dei voti, dell'emulazione, della specializzazione e della « dignità della sapienza »: « I contadini e gli operai non potevano tollerare tutto questo », essi, non gli studenti, hanno cambiato faccia all'università. Ora l'università è un luogo ove lo studio è soprattutto pratica; i programmi sono elaborati in- I sieme ai contadini e agli ope 111 IIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII rai in collegamento con le abbriche e le comuni, per studenti che vengono dalie fabbriche, dall'esercito, dalle comuni e vi torneranno. I corsi sono abbreviati: invece di cinque o sei anni, due o tre anni. Un operaio che ha una vasta esperienza specifica può prendere la laurea in un anno. Il rettore operaio La politica è sempre al primo posto, significa che lo studio è attuato con gli operai e i contadini; requisito essenziale è la capacità di « applicazione creativa » del pensiero di Mao, fondamentale è il senso di solidarietà con le masse. Una studentessa-soldato dice: « Sono qui mandata dall'esercito, imparo a servire meglio i miei concittadini, è la rivoluzione ». Tutti sono pagati durante gli studi dalle fabbriche, dalle comuni, dall'esercito, dagli uffici da cui provengono e dove torneranno. Il comitato del soldati, dei contadini e degli operai sceglie, insieme ai professori e agli studenti, coloro che rimarranno per insegnare all'università o che andranno agli enti di ricerca dello Stato. « Stiamo rivoluzionando il pensiero, abbiamo aperto l'università del popolo, per la scienza del popolo e la fine degli specialisti profittatori ». Spetta al comitato dei contadini e degli operai giudicare e selezionare per l'ammissione, e la selezione è divenuta severe: c'erano, al politecnico di Pechino, diecimila studenti, ce ne sono adesso 3700. Vantano i progressi negli insegnamenti più moderni, dalle scienze nucleari all'elettronica. I professori narrano delle loro esperienze fatte con gli operai, gli studenti ricordano i tempi in cui i professori « cercavano la fama e volevano essere specialisti ». Su un my.ro c'è scritto ciò che Mao disse una volta a Malraux: « Occorrono da cinque a dieci generazioniper il passaggio al comunismo ». I professori dicono: « Stiamo accelerando i tempi » e gli studenti aggiungono: « Siamo la terza generazione, siamo rossi e lo rimarremo ». Ma il direttore del comitato rivoluzionario, ii il ragazzo dalle grandi mani »avverte: « E' un esperimentostiamo provando qualcosa dmai fatto ». Lo applaudonoE' lui che ora svolge le funzioni del rettore: si chiama Liu Min-y, ha trentacinque anniè un operaio metallurgico. Michele Tito IIIIIIIIIIIIIIIII llllllllllllllllllllllllllllllllllll Pechino. Balletto ispirato all'« Oriente rosso» delle bimbe di un asilo di Che-Wein (Foto •Grazia Neri)

Luoghi citati: Cina, Pechino, Vietnam