Venezia, una crisi per i 250 miliardi di Francesco Rosso

Venezia, una crisi per i 250 miliardi Venezia, una crisi per i 250 miliardi I fondi ci sono: ma chi deve spenderli, e per salvare che cosa? (Dui nostro inviato speciale) Venezia, 24 giugno. Con unanimità sorprendente, e sconcertante, tutti i gruppi politici dell'assemblea regionale veneta, escluso il consigliere missino Savoia, hanno respinto non i 250 miliardi per la salvaguardia di Venezia, ma il progetto di legge per la gestione dell'ingente somma. Il progetto di legge, definito Ferrari Aggradi-Lauricella, prevedeva un'« alta autorità » nominata dal governo che decidesse nei modi c nei tempi sull'impiego dei 250 miliardi escludendo il Comune e concedendo qualcosa alla Regione; gli assessori regionali, all'unanimità, hanno definito acccntratore, burocratico, autoritario, e quindi anticostituzionale, il progetto di legge perché mortifica le autonomie degli enti locali. Con un lessico politico pressoché incomprensibile, gli assessori regionali veneti hanno finto di combattersi fra gruppi politici avversi con sfumature sui modi d'impiego dei 250 miliardi; in realtà erano tutti d'accordo nel volere che la Regione sia l'arbitra suprema nell'amministrazione dei fondi per la difesa di Venezia, nel chiedere di essere consultati sulla formulazione definitiva della legge. Così i democristiani, anch'essi dorotei come l'on. Ferrari-Aggradi, hanno sconfessato il loro ministro del Tesoro che ha trovato i 250 miliardi sul mercato finanziario internazionale; ed i socialisti si sono schierati contro il loro ministro dei Lavori Pubblici, on. Lauricella, che praticamente ha firmato lo schema di legge per Venezia. In sostanza, il solo consigliere veneto d'accordo coi ministri democristiano e socialista sulla nomina di un'« alta autorità » che escluda il Comune e la Regione dalla gestione dei 250 miliardi, è stato il missino. Questa pioggia di miliardi ha dunque aggiunto, ai grovigli d'interessi, passioni politiche e polemiche personali fra le quali si profilano anche le dimissioni del presidente dell'assemblea dott. Vito Orcalli; e tutte queste difficoltà si cumulano con i dubbi sull'impiego migliore di questa enorme somma: «Eravamo impreparati a ricevere questa valanga di denaro » mi dice l'arch. Renalo Padoan, soprintendente alle gallerie. « Non disponiamo di tecnici sufficienti, né di enti adeguati ». Oggi il problema di Venezia è alla ribalta dell'universo, c se un gruppo di americani han. no adottato Piazza San Marco, un altro gruppo la chiesa di Santa Maria del Giglio, i francesi la Salute, la « Dante Alighieri s l'Arsenale, e tanti altri, tedeschi, inglesi, austriaci, persino giapponesi si offrono per restaurare qualche monumento, pensano però sempre ad edifici, chiese, monumenti ultra famosi. In sostanza, questi quattrini sarebbero destinati alla Venezia conosciuta direttamente, o di cui si è sentito parlare: quel centro monumentale della città, che non è molto difficile restaurare. Ma esiste un'altra Venezia, quella minore, con le sue povere case affacciate sui rii, sui campielli da Castello a Cannaregio, alla Giudecca, che formano un tessuto urbanistico senza il quale anche San Marco e Rialto risulterebbero privi di significato. Ed è su questa «edilizia minore», come la chiamano i tecnici, che si accentra oggi l'interesse di quanti hanno seriamente a cuore l'avvenire di Venezia. Misogna restaurare anche quelle misere abitazioni che stanno ancora ritte per miracolo, oppure concentrare ogni attenzione, e quindi tutti i miliardi, solo sul centro monumentale? Lasciare le case dei poveri nelle condizioni attuali significa svuotare completamente Venezia facendole perdere almeno altri quarantamila abitanti che, nonostante i fitti bassissimi, finiranno per stancarsi di andare a bagno durante le ormai frequentissime acque alte, di dormire tra lenzuola che trasudano umidità e tremare per le « pantegane », topacci di fogna grossi cshtansvpli(ptamrsnnpstvbi«uSdqtpnactdscrltctlp come conigli clic fan le danze sui mobili, e persino sui letti. Tra il '51 e il '69 Venezia ha perduto circa 64 mila abitanti, clic non han cambiato nemmeno comune; si sono trasferiti a Marghera, dove lavorano, oppure a Mestre, il più mostruoso bubbone edilizio che si possa immaginare (all'inizio del secolo aveva poco più di cinquemila abitanti, ora ne ha duecentomila). E se l'« edilizia minore » sarà ancora trascurata, si prevede che in pochi anni altri quarantamila veneziani abbandoneranno Venezia per trasferirsi sulla terraferma, sviluppando ancora il già acuto fenomeno del centro che diventa periferia. Mestre, da sobborgo di Venezia, ne diventerà il centro. Già ora la gente dice « sono di Mestre », come se un torinese considerasse Borgo San Paolo una città autonoma da Torino. Lasciar crollare questo patrimonio edilizio, oltre che arrecare un danno irreparabile alla scenografia di Venezia, sarebbe esiziale anche alla sopravvivenza della città, che non può contentarsi soltanto dei turisti di passaggio, dei ricchi veneziani, o milanesi, torinesi, vicentini, padovani che sono venuti qui a comperarsi, ed anche a buon prezzo, l'alloggio a Dorsoiluro o in altre zone eleganti della città * * Per continuare ad essere una città, Venezia ha bisogno di tutta la piramide umana che l'ha sempre caratterizzata, e per conservare questa piramide occorre spendere una buona fetta di quei miliardi per salvare « l'edilizia minore », cioè le basse casine affacciate sui rii e sui campielli, fatiscenti, ma con i leggiadri balconcini rallegrati da vasi di gerani, o rese meno tetre dal gran pavese della biancheria stesa dall'una all'altra casa quasi a nascondere le facciate corrose fin nell'osso dal tempo, dalla salsedi ne e dall'incuria dei proprietari. Questi, con i fitti bloccati, non hanno alcun interesse a fare riparazioni, nemmeno le più urgenti; ed i fitti bloccati sono davvero miseri. Andando per Cannaregio, Castello e la Giudecca, mi fermavo a conversare con le don ne sedute sulle soglie a infilare perline rosse, verdi, gialle Tutte dicevano che preferireb bcro continuare ad abitare i Venezia centro, ma in un'abi tazione asciutta e decorosa; ci tengono ancora al blasone del la Serenissima. La situazione però, diventa drammatica per ciò che riguarda gli affitti queste donne mi dicevano a pcrtamente quanto pagano per la casa: mille, tremila, cinque mila lire al mese. E' evidente che, restaurando la casa, gl affitti aumenteranno. « Non importa — mi dicevano quelle donne —. Siamo disposte a pagaie anche di più, pur di rimanere ». Ma pagare quanto? « Se non troveranno il modo di tenere bussi gli affitti, quaantamila persone fra operai, piccoli commercianti, cameriei, abbandoneranno Venezia per Mestre, magari per tornare ogni mattina a lavorare qui ». (iià ora, diciassettemila perone vengono ogni mattina a avorare a Venezia; sono i coiddetti pendolari alla rovecia, mentre quelli diretti in erraferma verso le fabbriche di Marghera sono meno di inquemila. Se Venezia si vuotasse anche dei quarantamila preventivati, sarebbe la fine |)er la città. « Ho paura mi dice un giovane tecnorate che desidera l'anonimo che questa faccenda dei ìtti bloccati, cioè delle 40 mia persone che pagano fra le mille e le cinquemila lire al mese, sia unii politica ben congegnata da alcuni che si sono ficcati in testa che la popolazione ottimale per Veneziti sin di ottantamila abitanti. Ad un certo momento questa gente non potrà più vivere in quei covili, e se ne andrà a Mestre. Allora le brutte case saranno restaurate, verranno i ricchi da ogni parte d'Italia ed anche dall'estero, a passeggiare sicuri per culli e campielli, perché Venezia è tutta Un'isola pedonale, e la ridurranno ad un ghetto, sia pure di ricchi ». Certo la speculazione fondiaria che a Venezia sarebbe impossibile se si restaurassero le case dei poveri rispettando le caratteristiche attuali, diverrebbe possibile se, coi soldi dello Stato, sia pure con mutui, si trasformasse l'interno di queste abitazioni, ora laide, in appartamenti di lusso. Allora ci sarebbe gran lavoro per architetti ed ambientatori già ben affermati a Venezia in trasformazioni, o « ristrutturazioni » come si preferisce dire, di case antiche. Ma per far ciò bisogna mandar via quei quarantamila che occupano le case lebbrose. Mandarli dove? Questo è ii dramma. Per restaurare « l'edilizia minore » veneziana bisogna spostare almeno un terzo della popolazione per la quale non ci sarebbero case sufficienti nemmeno a Mestre. E' vero che si tratta di restauri che richiedono tempi lunghi, ma anche spostandole a gruppi si tratta pur sempre di un bel numero di persone. A meno che abbia ragione il mio anonimo amico tecnocrate, che i tempi diventino tanto lunghi da costringere i coinquilini dei più grossi topi d'Italia ad andarsene volontariamente in terraferma. « Eppure bisogna fermare questa gente, Venezia deve sopravvivere miche come entità umana », dice l'arch. Padoan. E soggiunge: « Anziché essere il bene di Venezia, temo che questa valanga di miliardi possano provocare più rapidamente la sua fine ». Francesco Rosso

Persone citate: Dante Alighieri, Lauricella, Padoan, Savoia, Vito Orcalli