Il grande abbraccio del pci di Giampaolo Pansa

Il grande abbraccio del pci BREVE VIAGGIO PER LE TERRE DEL POTERE ROSSO Il grande abbraccio del pci In Emilia-Romagna il partito cerca di creare attorno a sé il blocco sociale più vasto possibile - Si presenta come difensore degli artigiani, dei negozianti, delle migliaia di piccoli imprenditori - Altri alleati o clienti tenta di conquistare attraverso ogni sorta d'associazioni teoricamente apolitiche e con l'uso accorto del potere locale - E' una strategia che dovrebbe estendersi al Paese e nella Regione ha ottenuto finora indubbi successi (Dal nostro inviato speciale) Bologna, giugno. Nelle cronache comuniste, ogni giorno in Emilia Davide combatte contro Golia. Davide è la piccola azienda, l'artigiano, la bottega, il coltivatore. Golia è il Monopolio, la Grande Industi'ia, il Supermarket, U Banca avara. « Che lotte! — dice Romano Prodi, giovane direttore del Centro di economia e polìtica industriale della Università di Bologna —. Par di leggere gli atti del New Deal rooseveltiano, con le leggendarie battaglie contro i grossi... ». Ma tra Forlì e Parma, Roosevelt ha la faccia del pei, del partito-padre, del partito-amico. Un partito che, attraverso « l'idolatria del micro-piccolo ii, concreta la sua politica di alleanze coi ceti medi e cerca di costruire la propria credibilità di futuro gestore d'un potere più ampio di quello regionale. I «produttori» II ceto medio che più conta aiutare è quello « produttivo ». Nel formulario delle « forze motrici rivoluzionarie » in marcia sulla « via italiana al socialismo », esso viene prima dei ceti « commerciale » e « intellettuale » e appena dopo le forze egemoni, cioè gli operai e i contadini. Chi è « produttivo »? Gli artigiani, innanzitutto: 122 mila in Emilia; poi le piccole imprese industriali che, con i primi, danno sostanza all'economia regionale: 6300, più di 250 mila dipendenti, un monte-salari annuo che supera i 500 miliardi. La prima arma che il pei indica all'artigianato è la cooperativa. Vado in via Zacconi, alla « Lega » che riunisce quelle di sinistra. Dalle tabelle escono cifre di rispetto: 1705 cooperative « rosse » in Emilia, 477 mila soci, affari annui per 245 miliardi. Una nebulosa sterminata che copre ogni settore della vita economica e che spesso dà vita a colossi: « veri fenomeni di concentrazione capitalistica », lamentano i puri del cooperativismo. La « Coop Italia », ad esempio, con tremila spacci in tutto il paese, o il molino-pastificìo di Corticella, o le Latterie riunite di Reggio o il Consorzio vini di Modena. Con queste cifre è arduo parlare di « mezzi di autodifesa » o di « solidarismo ». Adesso contano, se mai, altre cose: il valore di 'sempio politico dell'arma ofle.r- ta a Davide (« Ecco come la classe operaia sa essere classe dirigente anche in campo economico »), o la cooperativa come primo legame fra la sinistra e, mi dicono alla « Lega », « certi ceti che non si fidavano ». Questi ceti rispondono: nascono i consorzi fra artigiani (a Bologna sono già 14, con quattromila imprese) e si espandono quelli di secondo grado in agricoltura. « Non ci interessa — dicono al pei — l'aggancio politico immediato, ma se poi qualcuno diventa comunista, tanto meglio... ». Le braccia s'aprono anche all'altro Davide produttivo, dice Franco Giovanninetti, direttore dell'Associazione piccole e medie industrie (Api) di Bologna: « Fra pei e piccole aziende c'è un discorso possibilista che si è accentuato enormemente con la Regione ». Una « strategia dell'attenzione n che si rivolge ai micro-padroni di sinistra, in genere ex-operai licenziati con la smobilitazione dell'industria bellica e cresciuti per volontà e ingegno, ed a quelli che non lo sono. Il pei si schiera con tutti, cavaliere generoso nella lotta contro il Monopolio (che in Emilia sta sempre per arrivare) e contro gli istituti di credito che credito non fanno (e questo è un problema immedialo, reale, di. cui soffrono « rossi » e « neri »). Cgil prudente Sui « padroni rossi » si sono dette tante cose: a proposito del loro numero, per cominciare. Giovanninetti pensa siano un dieci per cento, con punte più alte a Reggio, Imola, Ferrara, e anche questi starebbero diventando « sempre più industriali e sempre meno di sinistra ». Sono, però, dati vaghi. Lo stesso vale per il discorso sui legami clientelari fra industrie emiliane e pei, che ha come conclusione un'accusa feroce: il pei, tenendo « bassa » la conflittualità della Cgil, avrebbe | contribuito per anni a fare dell'Emilia una regione di bassi salari. Un'accusa che ha avuto molto corso ed è stata ripresa, sia pure con un ii forse », anche dal leader della sinistra de, Ermanno Gorrieri, dimessosi l'altro ieri dalla segreteria regionale perché posto in minoranza. Ma è un'accusa difficile da provare. Ciò che, invece, è chiarissimo è l'insieme degli strumenti che, a fianco della cooperazione, concretano la « politica delle alleanze ». Il primo è l'associazionismo. Dice con orgoglio il segretario regionale comunista, Sergio Cavina: « Il pei è il partito che più d'ogni altro ha colto la vocazione tutta emiliana dello stare assieme, dell'organizzarsi ». Ed ecco ì sodalizi di ogni tipo, corporativi, ricreativi, assistenziali, tutti « apolitici », ma « democratici» e saldamente in mano a quadri comunisti: per gli artigiani (l'associazione di sinistra a Bologna ne controlla quasi 18 mila sui 29 mila della provincia), per gli ambulanti, i benzinai, gli albergatori, i tassisti, i cacciatori, i pescatori... Il secondo, essenziale strumento è l'uso del potere più forte di cui dispone il pei, quello negli enti locali. Avere il controllo dei comuni significa disporre d'una serie di leve dagli effetti fortissimi: l'imposta di famiglia, quella di consumo, i lavori pubblici, i piani urbanistici, le licenze commerciali, i servizi municipalizzati (estesissimi in Emilia e fonte di un vero « capitalismo comunale »), gli ospedali, gii enti turistici. Troppe botteghe Queste leve sono state quasi sempre manovrate in modo più o meno corretto dal punto di vista formale, ma assai accorto sotto il profilo politico e con il solito obiettivo di allargare il consenso dei ceti medi, e anche medio-alti, attorno al pei. Un esempio da manuale è quello delle licenze di commercio. L'Emilia ha uno dei sistemi distributivi più vecchi e polverizzati. Nel 1951 i negozi erano 37 mila, e all'inizio del '70 quasi 65 mila, ciascuno con un numero sempre più ridotto di clienti potenziali. « Eppure — dicono a Bologna — lei non sentirà mai il pei, e con lui nessun altro partito, riconoscere ufficialmente che le botteghe sono troppe. Ad ogni riunione di negozianti, invece, il pei celebra il rito della crocifissione del supermarket... ». O se il riconoscimento c'è, avviene nelle sedi « giuste », come il convegno dei cooperatori comunisti a Corticella, il 12 giugno, dove ho ascoltato timidi cenni alla «proliferazione delle licenze» ed agli « errori » del comune di Bologna. L'abbraccio ai ceti medi non si realizza, dunque, senza contraddizioni o problemi. Una contraddizione, ad esempio, è la lotta al supermarket e poi l'apertura, aa parte di cooperative « rosse», di punti di vendita che sono quasi dei grandi magazzini, prosperanti sul consumismo tali e quali la « distribuzione monopolistica ». E problemi sono quelli che pone il sistema cooperativo: costretto, se vuol sopravvivere, a ricercare sempre di più l'efficienza, «per combattere il capitalismo, è divenuto esso stesso capitalistico ». Uno degli effetti è il contrasto fra tecnici e politici che sta prendendo corpo nelle cooperative o nelle aziende collegate (come l'« Unipol », la compagnia assicuratrice « rossa »). I primi sostengono che la gestione dev'essere identica a quella delle aziende private, anche se il profitto verrà poi destinato diversamente. I secondi, invece, lamentano « le visioni aziendalistiche largamente predominanti ad ogni livello » ed accusano molti dirigenti di essere dei « tecnocrati slegati dalla vita di partito » (l'ho sentito a Corticella). Critiche, dice un tecnico, « che spesso nascondono la paura di essere esclusi da gestioni divenute troppo comples¬ sa per chi ha come preparazione soltanto la scuola di partito, e quindi il timore di lasciarsi sfuggire il controllo di strumenti di grosso peso politico ». Dubbi, problemi, contrasti non fanno comunque perdere di vista ai leaders comunisti la loro ipotesi strategica, « anche perché in Emilia — dice Cavina — essa trova le condizioni oggettive e soggettive per attuarsi: è l'ipotesi che si fa». E «si fa» costruendo un « blocco sociale » il più vasto possibile attorno ad un pei che qui più che mai si dichiara partito d'ordine, garante della pace sociale nella regione e puntello delle istituzioni. Un pei ben raffigurato da Fanti e dal sindaco Zangheri sul palco d'onore della sfilata militare del 2 giugno; quella sfilata che «Ciro», l'abile corsivista nell'edizione bolognese dell'Unità, ha poi criticato il giorno dopo (ed anche questo è un connotato della politica comunista). Radici profonde Qual è il risultato di questa spregiudicata « strategia dell'attenzione » verso quasi tutto il corpo sociale? E' che il pei appare come un partito con radici che ogni giorno affondano di più nella realtà regionale. Dal 1963 al 1970 il suo patrimonio elettorale è salito dal 40,7 al 44Vo; nello stesso periodo la de è rimasta ferma attorno al 26"''o, mentre il centro-destra (pli . monarchici msi) è sceso dal 9 al 6,9 per cento. Il 13 giugno qui s'è votato solo in una decina di comuni, un test troppo piccolo per suggerire qualcosa. Cavina ne è soddisfatto: « Il poi è andato avanti anche rispetto al '70; c'è un forte calo della de, che però rafforza la sinistra e il pri, non la destra». Per la verità, in qualche comune il pei ha ceduto. Ma non è questo che conta. Conta di più, come ovattato segnale d'allarme, il tono preoccupato di Cavina nel riaffermare che il discorso sui ceti medi resta al centro della politica comunista, « perché se la classe operaia si rinchiude nell'isolamento in cui cercano di cacciarla i gruppetti, è battuta». Confa il giudizio espresso a Corticella (e prima delle elezioni) da uno dei « cervelli pensanti » della direzione del pei, Fernando Di Giulio: « Tutta la nostra iniziativa verso i ceti medi è debole e insufficiente. Anche in Emilia c'è il rischio di una sterzata a destra». E nelle sue parole si coglieva bene il riflesso di alcuni fatti che stanno rendendo più difficile anche nella «regione rossa» il grande abbraccio alla borghesia. Giampaolo Pansa Bologna. Visi attenti, gesti nervosi in piazza Maggiore, dove si sta svolgendo un comizio (Foto Cesano)