Camicia nera e intellettuali

Camicia nera e intellettuali Camicia nera e intellettuali Quali furono i motivi per cui molti intellettuali ed artisti europi, tra le due guerre, scorarono il fascismo, o se ne fecero portavoce e in alcuni casi accesi e ciechi sostenitori? Come mai jxichissimi si accorsero in anticipo del suo carattere lugubremente distruttivo, così che il momento della resipiscenza si avverò, per chi non se n'era reso conto lino a quel punto, solo con gli irreversibili traumi della seconda guerra mondiale? Insomma, in che cosa consistette il motivo d'attrazione di quell'indigesto complesso di nozioni che si radunò sotto il nome di fascismo? Questi interrogativi non riguardano soltanto la cultura e gli intellettuali italiani, tra cui il fascismo mosse i primi passi, ma tutta l'Europa. Se Mussolini polarizzò su di sé l'attenzione di D'Annunzio, Pirandello, Giovanni Gentile o F. T. Marinetti, affascinò anche scrittori e poeti come G. B. Shaw, W. B. Yeats, Wyndham Lewis, Ezra Pound o Drieu de la Rochelie. E non si trattò di puro fascino personale, quanto di una presa che scaturiva dalle regioni della riflessione politica e artistica. Ci fu, infatti, intorno al '30, un momento in cui il fascismo diventò culturalmente un evento di rilievo internazionale. Perché? Una risposta l'ha tentata uno storico inglese di trent'anni, Alistair Hamilton, che ha potuto osservare il fenomeno come qualcosa di assolutamente estraneo al suo passato biografico, in un saggio dal titolo The appeal of fascism: a studv of intellectuals and fascism, 1919-1945 (Anthony Blond Ed.). Si tratta di una risposta che trae i suoi motivi, anziché dalle connotazioni delle classi cui appartennero gli scrittori in causa (secondo un metodo deterministico che distingue parecchi studiosi in questo campo), dalle aspirazioni, più o meno confessate, di rigenerazione sociale e umana, che quegli intellettuali e scrittori professarono. Hamilton fa uno scrutinio delle illusioni che circolarono nella cultura europea di quegli anni, e le confronta con quanto il fascismo poteva offrire in cambio. C'è nel suo discorso imparzialità e distacco, e mai disappunto moralistico: così, più netto nei contorni, più atroce appare il dramma di quegli uomini che, nel cercare, vennero compensati con follia collettiva, nau fragio, distruzione quasi irreparabile. Risulta che l'intellettuale d quel tempo non possedeva chiarezza politica di idee, ma che era disposto ad enfatizzare i propri stati d'animo interpretandoli, per le tortuose vie dell'analogia, quali indizi della storia. Ma, come disse Sartre sul conto di Drieu de la Rochelie, nel momento in cui un intellettuale così fatto chiedeva che i conflitti della società fossero sanati e dissolti dal fascismo, costui non capiva che, per un'orribile cecità interiore, ad aver bisogno di applicare al proprio comportamento salde regole di condotta era lui, unicamente lui e nessun altro. Il « gap » tra' se stesso e il mondo circostante era di gran lunga più invalicabile di quanto pensasse. * * Cosa, dunque, questi intellettuali vollero dal fascismo? La varietà della domanda rischia l'impossibilità di una catalogazione completa. Alcuni chiedevano un inno di giovinezza, la via del futuro e i! trionfo della macchina, aeroplano o carro armato che fosse. Altri la riaffermazione dei valori tradizionali, artistici e culturali. Altri ancora violenza romantica, oppure ordine, nel senso più bloccante e restaurativo. Alcuni agognavano l'avvento del regno degli eroi, per distruggere il mondo vecchio prima ancora di intravedere il nuovo. Altri spasimavano che il fascismo ridesse sangue e preservasse dalla corruzione la compagine familiare. E per i primi esso significava apertura verso l'èra tifila tecnocrazia; per i secondi, regressione verso una società fondata unicamente sulla proprietà agraria. Insomma, la disponibilità del fascismo era totale, in una gamma cnc andava dal vita¬ lidsoddcmi sccov« ddli«msbrcimlndpil«adpsdsmzqgtsqcdnpdclulp e e e ? i ! i e e, i ndi ailao a nolel a a¬ lismo paganeggiante al sanfedismo. Coloro che erano insoddisfatti del liberalismo e della democrazia, e che erano dominati dal terrore del socialismo, trovavano in esso stimoli e suggestioni di ogni tipo, i più contraddittori, i più discordi. Il fascismo si rivelava come un « passepartout » favorevole ad ogni uso. Fu un « mito », nel senso soreliano del termine, cioè un sistema d'immagini refrattario all'analisi. E Hamilton aggiunge: « Fu meno dì un mito: ju una mistificazione ». La teatralità becera del fascismo italiano fu senza dubbio mistificante. Basta percorrere con lo storico inglese la carriera del più tipico degli intellettuali italiani compromessi col regime, Curzio Malaparte, per rendersene conto: nei tanti andirivieni che compì da fascista a bolscevico, nella perenne esibizione addirittura isterica della propria personalità, dai duelli e dalle smanie « rivoluzionarie » di gioventù alla donazione testamentaria della propria villa di Capri al popolo cinese, e alla conversione al cattolicesimo in punto di morte. Malaparte, in questo, fu realmente e profondamente fascista; non D'Annunzio o Pirandello, intorno ai quali c'è da discutere, indagare e rilevare angosciose contraddizioni assai più di quanto si faccia. E' Malaparte l'autore di quel Técnique dtt coup d'état che fu letto come un manuale dalla destra eversiva francese nel '31, e che il prefetto di polizia di Parigi, tre anni dopo, iriudicò come un libello che avvertiva gli uomini politici « sui modi di prevenire una sedizione che, con la violenza, volesse impadronirsi del potere ». ■k * Altrove il fascismo fu meno mistificante, in definitiva meno consapevole di una molteplicità persino farsesca di atteggiamenti. 11 volto che gli diede Hitler fu quello della psicosi elevata a sistema di governo. L'appoggio che gli venne dagli intellettuali francesi j fu degradante, masochista, suicida. Un grande scrittore come Louis-Ferdinand Celine ancora nel '42, in un accesso di follia antisemita, andava ripetendo: « Voglio essere il più nazista di lutti i collaborazionisti; e vorrei che tutti i bastardi mediterranei nati a sud della Latra fossero buttali a mare ». L'adesione anglosassone fu invece segnata da estetismo, da residui di sensibilità decadente, e non resse di fronte alla palese brutalità di un fascismo che, sul finire degli Anni Trenta, aggrediva, ormai fuori della maschera, il mondo civile. Yeats, Wyndham I^ewis e Roy Campbell si ritrassero in tempo, proprio quando si spalancava per tutti un precipizio in fondo al quale si annidavano i fantasmi della guerra. Tra gli stessi tedeschi, in Gerhart Hauptmann, in Martin Heidegger, in Ernst J unger ebbe il sopravvento l'orrore per il coacervo d'istinti aggressivi che il fascismo faceva salire a galla. Si trattò d'un gigantesco inganno o di un vero e proprio tradimento « des clercs »? La ricerca di Alistair Hamilton mette in chiaro che di fronte al timore del futuro, fosse o no socialista, l'abbraccio del fascismo, anche se accettato con riluttanza da alcuni, non sembrò letale. Ma, particolarmente dov'esso trionfò e prese il potere, non piccola parte vi ebbe, nelle adesioni, l'opportunismo per un verso, e per l'altro un'anchilosante incertezza esistenziale. Quegli intellettuali invece che, in terre liberali e democratiche, si dichiararono fascisti, diedero il loro consenso « per provocare l'opinione pubblica, per sottolineare l'individualità dell'artista lasciando che aderisse a un credo politico affatto impopolare. C'erano in loro motivi meramente personali, capricci, esaltazioni incongrue, perversioni ». Si specchiava in tutti una crisi di cui non riuscirono a intendere né il significato né la direzione, e che ancora oggi si fatica a decifrare, tanto il tempo trascorre con lentezza, e le tragedie che lo costellano non lo mutano. Enzo Siciliano (odDltlSrmteUPNccFltU«lcdpra

Luoghi citati: Capri, Europa, Parigi