La restaurazione di Servan di Carlo Cavicchioli

La restaurazione di Servan SI E' CONCLUSA LA LOTTA PER "L'EXPRESS 99 La restaurazione di Servan (Dal nostro corrispondente) Parigi, 22 giugno. « In tutti i radicalismi — ha detto di recente a Parigi l'economista americano John K. Galbraith — vi è paradossalmente una forte tendenza al conservatorismo... ». La diagnosi si adatta in qualche misura al giovane (45 anni) deputato radicale francese Jean -Jacques ServanSchreiber ed alla sua riuscita battaglia per conservare il controllo del settimanale L'Express. Tornato al timone del gruppo editoriale, sia pur con la perdita di una parte consistente dell' equipaggio, cioè di una dozzina tra dirigenti e redattori dimessisi di colpo, Servan - Schreiber spiega nell'ultimo numero della rivista le ragioni della propria restaurazione: e lo fa, senza modestia, alla luce delle ultime teorie di Galbraith sulla crisi delle società industriali e relativo insorgere di pericolose incontrollabili « tecnostrutture ». Le tecnostrutture hanno notoriamente la caratteristica di poter sfuggire di mano sia al capiude azionario sia alla massa dei dipendenti. Sono, ci chiarisce il parlamentare radicale, « un terzo potere, d'un genere specifico, che bisogna imparare a conoscere, coltivare e assolutamente incanalare ». Servan-Schreiber, incanalatosi personalmente l'altr'anno in un'ambiziosa carriera politica, aveva rinunciato alla presidenza della società dell'Express nell'intento lodevole di porne la linea indipendente al disopra di ogni sospetto: conservò però la proprietà del 43 per cento circa delle azioni. Nell'Express, passato in sette anni da 150 mila copie a oltre seicentocinquantamila parallelamente all'espansione si sviluppò una tecnostruttura: all'uscita di Schreiber questa tecnostruttura venne a trovarsi « in una situazione di potere eccessivo ». Il deputato giornalista rende omaggio al « terzo potere » citato, definendolo « un quadro dirigente superiore che partecipa direttamente al governo dell'impresa». La «tecnostruttura », tuttavia, è in relazione dialettica, in lotta, dimoile e agitata, sia con il capitale che con i salariati: e a causa di tale doppio fronte vive in una tensione permanente che può essere feconda L^me distruttrice. Nel caso dell'Express senza Servan-Schreiber, pare, dal principio del 1971 la tensione permanente inasprita si orientava verso la seconda sterile ipotesi. La rivista, leggiamo, deviava su « atteggiamenti reverenziali ». Quest'anno, spiega Schreiber, era divenuto vieppiù difficile mantenere L'Express al riparo dal campo gravitazionale dei grandi poteri. La nuova tecnostruttura — presieduta, sia detto per inciso, da Olivier Chevrillon, antagonista dichiarato di Schreiber, e in nome della libertà di espressione — obbediva alle leggi d'attrazione delle tecnostrutture enunciate da Galbraith: e respingeva a poco a poco il fondatore radicale 1 della rivista. Cosicché Jean- Jacques Servan-Schreiber sollecitato, egli sostiene, sia dagli azionisti che dai dipendenti, tornò, coraggioso don Chisciotte contro i mulini tecnostrutturali, all'attacco del gruppo che lo voleva disarcionare. Al suo riapparire, forte della maggioranza delle azioni, gli oppositori si sono ritirati un po' come i mori alla vista del Cid. Che cosa sarà adesso L'Express? Sarà, conclude Servan-Schreiber, una tecnostruttura morale la cui esistenza « dipende da un contratto rinnovato ad ogni istante coi suoi lettori: un ente che rispetta unicamente questa pressione e nessun'altra ». Tutto questo è ben detto, come osservava Candide al precettore Pangloss: ma a Parigi si sussurra che la restaurazione di Servan-Schreiber, tecnostrutture o no, non sia completamente estranea alle aspirazioni politiche del parlamentare, le quali si spingerebbero fino alla presidenza della Repubblica. Carlo Cavicchioli

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