Lukàcs al cinematografo

Lukàcs al cinematografo Dai giovanili entusiasmi all'estetica Lukàcs al cinematografo Gyorgy Lukàcs: « Estetica », Ed. Einaudi, pag. XLI1613, L. 18.000. Più volte Gyorgy Lukàcs ebbe a sottolineare che gli capitava raramente di vedere film, che non ne era uno spettatore specializzato. A chi, nel 1959, gli rimproverava di aver trascurato il cine- ma nella sua attività di critico, filosofo e storico della cultura, rispose che anche per lo scrittore più enciclopedico la quantità degli argomenti che non ha potuto trattare supera sempre quella degli argomenti trattati; e che comunque il non essersi occupato del nuovo mezzo non significava affatto, da parte sua, sottovalutarne l'importanza. Veramente Lukàcs aveva e avrebbe scritto sul cinema, prima e dopo quel rimprovero. Fu proprio lui, e tra i primissimi, a interessarsi dei' problérni delfiim, quando gli intellettuali, con qualche rarissima eccezione, disprezzavano il nuovo mezzo che era ancora alla ricerca di una « specificità », di un linguaggio. Un mondo nuovo Nasce nel cinema — affermava ventottenne nel lontano 1913 — un mondo nuovo, omogeneo e armonioso, unitario e mutevole; le conquiste della tecnica moderna, del tutto indifferenti a ogni grande arte, diventano qui fantastiche e possono raggiungere un toccante effetto di poesia: certe immagini e sequenze di film ci giungono da un mondo simile a quello di Hoffmann o di Poe, di Arnim o di d'Aurevilly, anche se non è ancora venuto un poeta capace di interpretarle e ordinarle, di redimere la loro fantasticità — ancora puramente tecnica e accidentale — in significatività metafisica, in purezza di stile. Previsione e riconoscimenti sorprendenti in quell'epoca, e chiarezza di prospettiva nel voler calare il fenomeno in un contesto pertinente. Correvano appunto gli anni in cui il giovane Lukàcs, che era ancora immerso nella filosofia idealista, ebbe la prima idea di un'estetica sistematica. Realizzando molti anni dopo, nel 1963, il suo « sogno giovanile » ma con un « orientamento filosofico affatto diverso », con « contenuti del tutto nuovi, metodi radicalmente opposti » (quelli del materialismo dialettico e storico), non si dimentica del suo primo interesse per il cinema, e inserisce quest'arte nuova nella sua Estetica — ora tradotta in italiano — dedicandole una sezione dove ne analizza alcune questioni di principio. Inserirla nella sua esteti- ca, significa anzitutto calarla nella teoria del « rispecchiamento » la quale, problema antichissimo, ha ricevuto per Lukàcs un senso preciso soltanto nel marxismo. E' noto che il « rispecchiamento » non viene da lui inteso come mera mimesi, imitazione della realtà; e questa non come « natura », accadimenti quotidiani, della vita di tutti i giorni, ma quale realtà sociale sottoposta a un continuo divenire e mutare, quale storia. Poiché l'ininterrotta trasformazione storico-sociale appartiene all'essenza della realtà, nel rispecchiamento artistico' —' afferma — essa non può essere trascurata: anzi arriva a diventare il problema centrale della giusta riproduzione. Se si considera infatti il mutamento storico del contenuto come base per la trasformazione dell'arte nella forma, nello stile, nella composizione ecc., è chiaro — aggiunge — che al centro della creazione artistica deve trovarsi proprio questo momento della trasformazione, della nascita del nuovo, della morte del vecchio, delle cause e delle conseguenze dello mutazioni strutturali della società nei rapporti reciproci tra gli uomini. La concezione della realtà da riprendere nell'arte come mera sezione più o meno casuale, abbassa il carattere dialettico del « rispecchiamento » al livello di una semplice imitazione, di una copia fotografica. Come può il cinema emanciparsi quale tatto estetico dalla realtà quotidiana, da una semplice riproduzione degli oggetti, distinguere e separare l'essen ziale dall'inessenziale, l'essenza dall'apparenza? La sua tecnica — che è tanto importante quanto fraintesa — avvicina l'oggetto raffigurato alla visibilità normale della vita quotidiana, all'esteriorità, alla superficie dei fenomeni, all'apparenza appunto, non all'essenza. L'« incarico sociale » Il cinema, tuttavia, può anche raggiungere una « conversione nell'estetico », che non sorge semplicemente e naturalmente dalle possibilità tecniche, bensì deve essere creata con consapevolezza, seguendo l'« incarico sociale » sovente inespresso: solo così si forma il « mezzo omogeneo », cioè il linguaggio artistico del cinema. Il mutamento qualitativo si produce passando dal primo stadio — il cui carattere, come si è visto, non è estetico ma semplice mimesi ottenuta mediante una tecnica in senso scientifico e pratico-industriale — al secondo stadio, che permette quell'incarico sociale: la trasformazione degli uomini della vita quotidiana negli uomini interamente impegnati, della vita sociale; il configurarsi progressivo e lo sviluppo sempre più intenso della loro individualità, il realizzarsi di quelle relazioni complesse che nelle diverse arti, e quindi nel cinema, rendono necessario il modo di rappresentazione tendente a far coincidere essenza ed apparenza. La base fotografica del cinema comporta senza dubbio 11 pericolo di un mero naturalismo; per il suo carattere immediato, esso infatti è soprattutto un resoconto visivo esatto su un pezzo di realtà: una combinazione — un montaggio — di frammenti di realtà esattamente riprodotti. E' possibile tuttavia, al cinema, Insiste Ldr Lukàcs, distaccarsi dal livello della vita quotidiana, elevarsi sopra questo livello, se nella rappresentazione la produttività estetica utilizza a esempio il montaggio non come mezzo d'espressione meramente tecnico ma appunto lo innalza, sul piano esteticoideologico, a principio creativo organizzatore. E' unicamente e soltanto una rielaborazione delle singole riprese e della loro successione in tale senso che può sollevare il cinema dallo stato delle percezioni della realtà quotidiana e portarlo alle altezze dell'arte. Guidò Aristarco

Persone citate: Aristarco, Einaudi, Gyorgy Lukàcs, Hoffmann