Ilare tragedia

Ilare tragedia Il romanzo di Brioschi Ilare tragedia Luigi Brioschi: « La terra desiderata », Ed. Rizzoli, pag. 160, L. 1800. Il nodo problematico da cui si sviluppa La terra desiderata di Luigi Brioschi, esordiente narratore, è di carattere squisitamente intellettualistico. In termini semplificati (ma è bene avvertire che è una semplificazione non autorizzata dall'impegnativo testo) si potrebbe così ipotizzare il problema che sta a cuore all'autore: è lecito o no, possibile o no, il romanzo? Brioschi inventa una storia e la conduce con disperata volontà fino alla sua conclusione: ma la sottopone ad un continuo processo di interna distruzione, di accanita parodia. Così il narratore propone una trama stilistica, ma non esita a dichiararne esplicitamente i procedimenti di tecnica artificiosa: celebra uno « stile », e subito lo declassa a « gioco ». E ciò che accade al livello della struttura del romanzo, accade anche al livello della tematica mossa. Brioschi prospetta, ad esempio, per il suo protagonista una vicenda interiore che si riduce ad un travaglioso processo di rimozione d'un atroce complesso di colpa. L'uomo ritorna con la mente alla scena della morte paterna, rivede se stesso, bambino, indifferente (o forse felice) dinanzi al fatto: e ne prende coscienza come di un atto omicida. La sua è stata (per lui) l'indifferenza di chi ha ucciso un uomo e ha gioito di rimanere l'assassino sconosciuto. Ebbene, lo scrittore che ha appena inaugurato una possibile linea « tragica » di narrazione, subito la confonde (e la nasconde), organizzando un gioioso carosello grottesco in cui mima una piccante parodia dei riti funebri del perbenismo E così capita ogni altra volta che Brioschi abborda una possibile seria prospettiva narrativa, sia essa di carattere analitico, sia essa di carattere sociologico. Questo ritmo continuo di contegni opposti, questa altalena di comportamenti contrastanti non costituiscono — nonostante le insistenti insinuazioni dello stesso narratore — una semplice « sfida » di lettura, una sardonica « beffa » giocata al lettore. Coinvolgono al contrario pienamente chi ha orchestrato il gioco, lo mettono, se mai, fra la schiera dei «beffati ». Svelano insomma una insicurezza radicale. A monte del problema se sia lecito o no, possibile o no, fare il romanzo, sta infatti la sicurezza che « le parole in un certo senso siano insufficien ti»: e tanto più le parole scritte, lo « scrivere » come mestiere. Giorgio De Rienzo

Persone citate: Giorgio De Rienzo, Luigi Brioschi