Due secoli di arte di Marziano Bernardi

Due secoli di arte Ma oggi sta davvero morendo? Due secoli di arte , l e Giulio Carlo Arguii: «L'arte moderna 1770-1970», Sansoni ed., pag. 775, L. 5000. Domandarsi « cos'è l'arte moderna? », cioè raccogliersi un istante a riflettere sulle motivazioni estetiche per cui l'arte, qualificandosi « moderna », assume intendimenti, forme, significati diversi da quelli dell'arte « antica », equivale a riconoscere che esiste un momento storico nel quale i vocaboli, le frasi, i modi sintattici del discorso artistico divengono inadatti ai fini del discorso stesso, e sono perciò sostituiti da altri più efficaci all'espressione di nuove idee. A rigor di logica la dizione «arte moderna» è quasi una tautologia non potendo l'arte che nasce in un determinato tempo non essere «moderna» in relazione al suo atto di nascita. L'aggettivo acquista il suo senso critico soltanto stabilendosi un rapporto fra arte di un tempo e arte di un altro tempo; e perciò come il Vasari potè parlare della « moderna e buona arte della pittura» risuscitata da Giotto contro «quella goffa maniera greca» dei pittori bizantineggianti, così noi, gente della fine del ventesimo secolo, possiamo datare criticamente l'estinguerai di una tradizione figurativa che convenzionalmente chiamiamo « antica» ed alla quale subentra il nuovo ciclo di un'arte che altrettanto convenzionalmente chiamiamo « moderna ». L'illuminismo Quella data alcuni storici la fanno addirittura coincidere con l'apparizione di un'opera di capitale importanza, e Corrado Maltese una decina d'anni fa (.Storia dell'arte in Italia. 1785-1943, Torino, Einaudi, I960) sceglieva Il giuramento degli Orasi di Jacques-Louis David, esposto con immenso successo nel 1785 a Roma e a Parigi: un quadro col quale la pittura diveniva oratoria civica, incitamento alla «virtù» romana, fra breve eletta a regola di vita e a stile politico dalla Gironda rivoluzionaria. Per Giulio Carlo Argan invece la profonda cesura nel corso della tradizione artistica si attua con la cultura dell'Illuminismo, durante la quale si forma una filosofia dell'arte già chiamata dal Baumgarten, nel 1735, « estetica». E' allora che la natura, uomo compreso, cessa di rivelare l'ordine della creazione secondo il concetto classico, e diviene più semplicemente « l'ambiente dell'esistenza umana, individuale e sociale; non più modello, ma stimolo a cui variamente si reagisce». Così si legge nel primo dei sette capitoli che con quasi ottocento fitte pagine e un'infinità di illustrazioni in nero e a colori strettamente aderenti al testo costituiscono il più recente poderoso libro deU'Argan, L'arte moderna 1770-1970, esplorata e discussa nei duecent'anni del suo manifestarsi nel mondo occidentale: vale a dire dalla teorizzazione del Neoclassicismo ad opera del Winckelmann e del Mengs, fino al¬ cetditpdterttzsc l'attuale crisi di tutte le tecniche artistiche, così grave e radicale da legittimare la tragica domanda se non si debba « ritenere inevitabile, imminente, foise già avvenuta la "morte" dell'arte ». L'ipotesi non trova impreparata la lucida intelligenza di Giulio Carlo Argan, sempre tesa da uno spettacoloso rigore sillogistico, da un acrobatico, veramente entusiasmante gioco dialettico di proposizioni e deduzioni. Se la presente società uscita dalla seconda guerra mondiale consìste in un « fare-per-distruggere» talché si autodefinisce « consumistica », anche l'arte che la rispecchia e ne è rispecchiata diviene (non, come fu per secoli, fruizione) oggetto di « consumo » simile a un cibo che si mangia, e può dunque, amleticamente, essere o non essere; comunque non può non essere che una cosa totalmente diversa da tutta l'arte del passato. Basta l'accenno a una simile ipotesi, del resto abbastanza convalidata da quanto si vede nelle mostre d'oggi dove alla figura dell'artista si sostituisce ormai quasi completamente quella del tecnologo, per farcì capire che l'Argan non ha tanto scritto la storia dell'arte occidentale negli ultimi duecent'anni quanto, con meravigliosa precisione concettuale e lessicale, la storia delle idee, anzi delle ideologìe che successivamente quest'arte informarono, o ch'egli pensa (e non sempre condividiamo il suo pensiero) abbiano informato: e sempre procedendo per apodissi, sul trapezio, ripetiamo, di un contìnuo rischioso esercizio sillogistico. Il filo conduttore di queste idee, dipanato sull'arcolaio della filosofia marxista cui s'appoggia fiducioso l'Argan, segue il sempre più stretto rapporto dell'artista con la società in cui vìve: rapporto che dalla politica va alla sociologia, dal classismo alla contestazione; e sarebbe dunque lotta perenne con qualcosa da cui l'artista si sente avulso ed in cui vorrebbe Inserirsi prendendo a guida una trasformazione che s'inizia con la protesta. David e Picasso Il primo quadro « politico » e La morte di Marat (1793) di David, «orazione funebre, dura ed asciutta come il discorso di Antonio sulla salma di Cesare »; ma David si ricollega a distanza di due secoli, e attraverso Poussin, col Caravaggio, mentre Delacroix, rifacendosi alla Zattera della Medusa (1819) di Gérlcault, ci dà con La libertà guida il popolo (1830), la famosa tela della «Barricata», l'altro quadro « politico » non più sul limite tra Neoclassicismo e Preromanticismo, ma decisamente romantico: cioè sulla linea, ancora «politica», che condurrà al Realismo di Courbet, e — se si vuole — a Guernica di Picasso. La strada era aperta alla sempre più intensa partecipazione « sociale » dell'artista. Di crisi in crisi, dal Naturalismo degli Impressionisti al Funzionalismo della Bauhaus, dall'Espressionismo dei Fauves e della Briicke alla cancellazione della figura nell'Astrattismo di Kandinskij, dalla rivolta anarchica dì Dada all'inizio della ricerca visiva con lo « scientismo » dell'operatore artistico che si è sostituito all'artista, l'arte moderna diviene un riflesso del sistema tecnologico-industriale. Ne sarà totalmente assorbita? Marziano Bernardi

Luoghi citati: Guernica, Italia, Parigi, Roma, Torino