Mio marito Mandel'stam di Lia Wainstein

Mio marito Mandel'stam Vividi ricordi dalPUrss del terrore Mio marito Mandel'stam Nadezda Mandel'stam: « L'epoca e i lupi - Memorie », Ed. Mondadori, pag. 505, L. 4500. Nel corso della sua storia, la Russia ha conosciuto non pochi periodi dì « grande terrore », per servirci dell'espressione coniata da Robert Conquest per l'epoca di Stalin. Vi fu per esempio il grande terrore instaurato da Pietro il Grande o quello, più recente, di Nicola I, di cui troviamo esaurienti riflessi nella letteratura del tempo, da Puskin a Turgenev. Il grande silenzio Il grande e assai più feroce terrore di Stalin regnò invece nell'assoluto silenzio, e solo dopo la morte del dittatore cominciarono a trapelare le prime notizie, gli accenni ad arresti notturni, a deportazioni, a gente che spariva nei campi di lavoro. Attualmente, oltre agli studi pubblicati in Europa e in America, disponiamo di un certo numero di documenti diretti, vergati da testimoni oculari o protagonisti — Solzenicyn, B. Djakov, V. Salamov, A. Kuznecov — cui si aggiunge ora, superando di molto i primi per l'intensità dell'esperienza vissuta, e perfino i secondi (per l'ampiezza e la profondità della visione) questo libro di ricordi di Nadezda Mandel'stam. Diciamo subito che si tratta di un'opera notevolissima, non solo per la drammaticità dei fatti narrati (gli arresti e la morte in un Lager del marito, il poeta Osip Mandel'stam) ma soprattutto per il modo in cui l'autrice è riu¬ scita a rendere percepibile, dopo quasi vent'anni, l'atmosfera caratteristica, creata da Stalin e dai suoi accoliti. Dall'acuta analisi risulta che, oltre alla crudeltà, alle ingiustizie, alle persecuzioni, tutti fenomeni già familiari — seppure in misura assai inferiore — ai russi, in quegli anni aveva avuto luogo, quasi sotto l'effetto di un mostruoso e ineluttabile principio corruttore, un'alterazione generale dei valori, cui nessuno era sfuggito. « L'urto contro questa forza irrazionale, questa irrazionale ineluttabilità, questa paura irrazionale produsse nella nostra psiche un mutamento profondo. Molti di noi si convinsero dell'ineluttabilità, altri della razionalità di quanto stava avvenendo. Tutti acquistarono coscienza del fatto che non vi sarebbe stato ritorno. Era una sensazione condizionata dall'esperienza del passato, dal presentimento dell'avvenire, e dallo stato d'ipnosi in cui ci trovavamo nel presente. Ci avevano effettivamente inculcato l'idea che eravamo entrati in un'era nuova e che potevamo solo sottometterci a questa necessità storica, la quale, oltre a tutto, coincideva con i sogni degli uomini migliori ». I fatti, quali che fossero, — drammi familiari o morte per malattia — della vita normale, apparivano come eventi felici, e quindi eccezionali. Perfino la censura, in quanto vietava la pubblicazione di testi antigovemativi, poteva considerarsi « l'indizio di una relativa libertà di stampa », e Stalin infatti la rese tosto superflua (1930) imponendo la pubblicazione i » d esclusiva di testi conformi alle opinioni del governo. Molti, nell'attesa di essere arrestati, tenevano pronta una borsa con gli oggetti più necessari, tutti si aspettavano la fucilazione. Regnavano, ovviamente, la diffidenza e la paura, erano frequenti le delazioni, diversi intellettuali collaboravano con la polizia politica. II,popola, vertendo meno alla tradizionale ^misericordia, sempre usata ai deportati, assisteva ora con indifferenza a siffatti spettacoli. Malattia contagiosa La corruzione, insomma, era tale che la stessa Nadezda Mandel'stam, da giovane, non sfuggì alla «mentalità antropofaga, diffusa come una malattia contagiosa ». Ehrenburg dovette redarguirla aspramente per aver riso nell'udire dei versi di Majakovskij, in cui si parlava di ufficiali fatti affogare in un canale di Leningrado. La lezione, si vede, fu proficua, perché in seguito l'autrice seppe condividere degnamente il tragico destino del marito, seguirlo nella prima deportazione (1934) stargli vi dna fino alla seconda (1938) sopravvivergli infine per salvare i suoi versi. Il tema di un mondo irrazionale, ipnotico, dai valori alterati, ampiamente illustrato ne L'epoca e i lupi, è ancora incupito da un dubbio angoscioso, ribadito ed irrisolto, che implica ulteriori sinistre illazioni: perché, si domanda l'autrice, chi era stato nelle prigioni dello zar pur conservava la propria integrità psichica, mentre invece chi, in un modo o nell'altro, era stato sotto prò cesso all'epoca di Stalin, ne usciva spezzato, con l'equili brio nervoso distrutto? Malgrado quanto si è detto, malgrado certi particolari tanto più allucinanti in quanto inseriti quasi inavvertitamente nella narrazione (i di schi con le voci di madri mogli e figlie, per esempio, usati durante gli interrogatori, oppure l'apparizione, ad uno sportello della prigione centrale, di due bambine inamidate, in cerca della madre arrestata) secondo la scala che si va facendo sempre più visibile nella letteratura concentrazionaria di questo do poguerra, il libro di Nadezda Mandel'stam — come quelli di Solzenicyn o di Primo Le vi — non è disperato. Se tale aspetto già si pale sa in un confronto superfi cìale con i racconti di Sala mov o con il Babij jar di Kuznecov, esso risulta con ben maggiore evidenza in una serie di tratti esplicitament positivi: la rievocazione stes sa del geniale Mandel'stam dell'amica Anna Akhmatova lo spirito indagatore e analitico dell'autrice, l'acutezza con la quale osserva e descrive quel mondo irrazionale, la sua volontà di sopravvivere. E ancora, semplicemente al livello dei rapporti umani, i cordiali operai di Kalinin o di Strunino... L'edizione italiana, a differenza di quella uscita in russo negli Stati Uniti (Chekhov Publishing Corporation, New York) è integrata da note e soprattutto da un utilissimo indice dei nomi. Lia Wainstein lradqtocc

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