Il visitatore smarrito tra quattrocento artisti

Il visitatore smarrito tra quattrocento artisti La grande mostra alla Promotrice Il visitatore smarrito tra quattrocento artisti Quest'anno la consueta esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti (la centoventinovesima del venerando sodalizio nato a Torino nel 1842) inaugurata ieri dopo cena comprende 639 opere — 473 pitture, 72 sculture, 94 incisioni e disegni — di 395 autori. Supponendo che il visitatore disponga di 3 ore, ch'è già un notevole lasso di tempo per vedere una mostra se si pensa che Bernard Berenson, il più formidabile ii consumatore » d'arte mai esistito, si dichiarava stanco dopo 3 ore di museo, salvo un errore di computo, egli potrà soffermarsi davanti a ciascuna opera circa 16 secondi; dopo di che si getterà stremato sulla prima panca che incontra chiedendo un caffè. E' un'esperienza che abbiamo fatto di persona. Chi legge, gusta, giudica una-poesia, sia pure di soli 15 versi, come L'Infinito, in 16 secondi? E Leonardo diceva che la pittura è una poesia dipinta. Ciò basti a confermare ancora una volta l'inutilità delle mostre fatte di centinaia e centinaia di spizzicate presenze, mostre cui tuttavia molti artisti — come nel caso della Promotrice — continuano ad attribuire tanto prestigio che se ne sono esclusi si sentono diminuiti. Ci si lasci ripetere ch'è una strana superstizione superata da nuovi rapporti che si sono istituiti tra l'arte e il pubblico che la ama: da un nuovo costume e da più intelligenti esigenze. Se la Promotrice, rinunziando definitivamente a tappezzare il salone e le 12 sale del suo palazzetto al Valentino di quadri e di « bianchi e neri » d'ogni dimensione e gusto situando poi qua e là delle sculture, utilizzasse i suoi ambienti per allestire venti o trenta « personali », sia ripresentando artisti noti, sia coraggiosamente impegnandosi a rivelare giovani valori ancora sconosciuti (proprio quei giovani che non possono affrontar le spese delle mostre nelle gallerie private), aggiornerebbe final mente la sua benemerita tradizione. Ma queste son prediche al vento, e l'anno venturo saremo daccapo. Dunque quest'esposizione non offre che fatica e dissipazione intellettuale? Sarebbe un giudizio ingiusto. Intanto malinconicamente la nobilita il bell'omaggio reso alla memoria di Filippo Sartorio, scomparso nel settembre dell'anno scorso. Nel marzo '69 il successo della sua ultima mostra a « La Minima » (tutti venduti quaranta dipinti esposti, ed altri ricercatigli in casa da collezionisti) coronò degnamente la sua vita di lavoro. Ritroviamo qui in 9 opere quel suo colore squisitamente accordato tra azzurri èva nescenti, rosa e violetti tene rissimi, un colore ch'era quasi un'estrema estenuazione dell'Impressionismo, come di un Monet delle ninfee e delle cattedrali che fosse vissuto altri vent'anni; ma un colore, anche, che se rivelava una sensibilità romantica incline all'intimismo (i suoi trepidi, finissimi ritratti muliebri) era tuttavia sempre sostenuto da una disciplina stilistica che non indulgeva al patetico e convertiva l'innata eleganza della pennellata in un coerente discorso pit. torico scevro di facili effetti volutamente piacevoli. Apparteneva ad una generazione d'artisti ancora fiduciosi nella realtà naturale benché interpretata dai temperamenti più diversi: artisti che in questa mostra rispondono ai nomi di Manzone, Arduino, Micheletti, Vellan, Emprin, Monti, Mazzonis, Calvi, Gamero, Biasion, Treves, Levrero, Bezzo, Longaretti, Cuzzi, Corsetti, Grosso, Bercetti, Corbelli, Chiara, Politi, Solavaggione, Proverbio, nomi notissimi al pubblico torinese, alcuni anche per mostre personali recenti. Non è da una rassegna che convoglia senza alcun prestabilito programma tendenze plastiche rappresentate non da gruppi omogenei ma casualmente (si direbbe) dai singoli espositori che si possa tentare di definire una situazione artistica sia pure in prevalenza locale. Qui c'è un po' di tutto, alla rinfusa: l'impegno formale e cromatico di Becchis nelle sue evocazioni prediluviane e l'ironia di Galvano; l'estro figurale di Cherchi (questa volta pittore) e l'astrazione di Soffiantino, Viarengo, Seborga e Scroppo; l'eccitazione coloristica di Chicco e le sottigliezze di tavolozza di Eandi, Caiaezo, Pascutti, Vallauri, Audoli, Taliano; la ricerca compositiva di Billetto, Levo, Piccinelli, Pozzo, Rambaudi, Scanu e l'originalità inventiva di Gribaudo; il gentile surrealismo di Macciotta, il neo-liberty di De Bonis, la scattante vivacità di Le Voci, un giovane che ci sembra sulla via maestra. Ma le citazioni a spizzico non giovano al lettore, e francamente la critica ridotta a un nome e ad un aggettivo non ci sembra aver senso. Sia nella pittura che nella scultura (Martinazzi, Chiss, Regosa, Corderò, Succi, Saglietti, Balzardi, Lupano, Giuliano, ecc.) e nel bianco e nero serpeggiano le più varie correnti con una predominan¬ zanpcalestncomqpvzelicC za dell'antinaturalismo, ma non dell'astrazione vera e propria, quella che tenne il campo, anche con l'informale, quindici anni fa. La mostra dà piuttosto l'impressione di una somma di ricerche confuse, proprio per la sua mancanza di organicità. Folto, e non trascurabile qualitativamente, è poi l'apporto femminile, anch'esso diviso fra contrastanti tendenze: dalle composizioni spaziali della Rivera al risentito cromatismo della Schieroni. Citiamo ancora: Bologna Fois, Platone, Vagliasindi, Aprea, Gramola, Scribani, Torta, Martellini (specie per le nature morte), Bellotti, Schiavi, Pitzianti, Morgillo, Savanco, Maestri, Salazar, Gamero Colonna, Menzio, Bestazzi, Micca, Rocci, Di Villafranca, Sirchia Settegrani, la Pontecorvo, De Agostini, Invrea, Palumbo, la solerte segretaria della Promotrice, Calatrone. Insomma, un'ombra di galanteria per concludere, benché la parità dei sessi tenda a escluderla. mar. ber.

Luoghi citati: Bologna, Seborga, Torino, Villafranca