Il Giappone offre agli Stati Uniti alleanza, non guerra commerciale di Ennio Caretto

Il Giappone offre agli Stati Uniti alleanza, non guerra commerciale Con un'inserzione a pagamento (2 pagine) sulla "Washington Post,, Il Giappone offre agli Stati Uniti alleanza, non guerra commerciale Il presidente degli industriali, Kogoro Uemura, sostiene che il risentimento americano per la concorrenza straniera è irrazionale - Scrive : «Le vostre esportazioni, i profitti dei vostri investimenti all'estero, sono in aumento ». - Fredda accoglienza in Usa (Dal nostro corrispondente) New York, 16 giugno. Con un'inserzione pubblicitaria di due pagine sulla « Washington Post » (sei milioni di lire) l'industria giapponese ha oggi offerto un «armistizio commerciale» agli Stati Uniti. L'iniziativa coincide con l'ottava conferenza dei « businessmen » dei due Paesi, e precede di due sole settimane l'autolimitazione delle esportazioni di tessili da parte di Tokio. Qualche giorno fa. a Bruxelles, la commissione esecutiva della Cee aveva proposto agli Stati Uniti un «pacchetto » per uno smantellamento tariffario e altre concessioni doganali nel settore. agricolo. La reazione americana di fronte agli europei era stata fredda: lo è, almeno nel governo, anche di fronte ai giapponesi. L'offerta di «armistizio » da parte di Tokio consiste in una liberalizzazione moderata dei regolamenti sulle importazioni e sugli investimenti in Giappone, e nell'invito agli Stati Uniti ad abbandonare la « guerra fredda » e negoziare. Kogoro Uemura, presidente della federazione delle organizzazioni economiche giapponesi, afferma sulla « Washington Post » che « la più grande sfida per i due Paesi è formare una partnership responsabile ». Egli sostiene che il risentimento americano per la concorrenza straniera è irrazionale. « L'armo scorso — afferma Kogoro Uemura — le vostre esportazioni verso il Giappone sono salite del 33 per cento, più ancora di quelle verso il Mec; il nostro governo darà quest'anno 200 milioni di dollari all'industria tessile per compensarla dei danni dell'autolimitazione delle vendite negli Usa; circa 600 settori industriali sono ora aperti ai vostri investimenti. Sia pure, in genere, al 50 per cento. Kogoro Uemura insiste sulla necessità che gli Stati Uniti adottino una posizione più flessibile. « La vostra economia si basa sempre più sui servizi e meno sui prodotti. Nella vostra bilancia dei pagamenti cresce l'importanza dei profitti dagli Investimenti all'estero: ma essi non si conciliano con un deficit della bilancia commerciale dei Paesi in cui operate ». Il « business » Usa sembra sordo però e la reazione ufficiale, come abbiamo detto, è fredda. La Casa Bianca, ad esempio, non intende accettare le autolimitazioni nelle esportazioni dei tessili di Tokio; chiede un altro « round » di trattative tra i governi. Se un dialogo tra i governi sarà impossibile, il presidente Nixon promuoverà quasi di certo misure protezionistiche contro il Giappone. E' questa prospettiva che allarma la forze liberiste al Congresso. Da un primo passo del genere, esse dicono, scaturirebbe una corsa alla « tutela» degli interessi più diversi. Gli Stati Uniti si chiuderebbero in se stessi. Persino il presidente della commissione Finanze al Senato, Wilburn Mills, l'anno scorso « leader » dei protezionisti, teme questa eventualità. Interpretando questa diffusa apprensione, il senatore Jacob Javits ha pubblicato sul « New York Times » un articolo dal titolo « Stati Uniti, gli ammalati dell'occidente », in cui propugna un liberismo « modificato ». Javits scrive: « Questo Paese appare sempre più agli europei una specie di impero ottomano prima della seconda guerra mondiale » e aggiunge: « I problemi interni non potranno essere risolti isolandosi in una torre di avorio ». La realtà fondamentale di oggi è la nascita dell'Europa « allargata » con la Gran Bretagna: è con essa che l'America deve fare i conti per il futuro. Javits propone «una sistematica dei commerci internazionali su base regionale »: la sua prospettiva è una zona del libero scambio atlantica, con il Mercato Comune come primo membro. Altro rimedio, « lo sviluppo di una valuta davvero mondiale »: ma, su questo punto, Javits non fa precisazioni. Ennio Caretto

Persone citate: Jacob Javits, Nixon, Uemura, Wilburn Mills