La "vedova della mafia,, decisa accuserà gli assassini del figlio

La "vedova della mafia,, decisa accuserà gli assassini del figlio Iniziato il processo d'appello ad Ancona La "vedova della mafia,, decisa accuserà gli assassini del figlio Serafina Battaglia, rifiutando le spietate leggi del silenzio, denunciò quelli che riteneva coinvolti nel delitto - Furono arrestate 35 persone fra cui due «boss» che vennero condannati all'ergastolo - All'assassino inflitti 2(1 anni i (Dal nostro corrispondente) Ancona, 14 giugno. Serafina Battaglia, la « vedova della mafia », si è presentata puntualmente davanti ai giudici della corte d'assise d'appello di Ancona, dove e iniziato il procedimento a carico di Marco Semilia, imputato di averle ucciso il figlio. Pallida, stanca, completamente vestita di nero, la donna, che ha dichiarato guerra all'«onorata società» rifiutando le spietate leggi del silenzio, è giunta per la seconda volta ad Ancona, protetta — si dice — dalla polizia, perché la « vedova nera » teme la vendetta delle organizzazioni mafiose. Dicono che nella sua casa siciliana viva volontariamente segregata in poche stanze, in cui sono conservate alle pareti, come su altarini, le immagini dell'uomo con cui conviveva e del figlio, entrambi uccisi dalla lupara. L'episodio che spinse Serafina Battaglia a rompere l'omertà della mafia accadde il 30 gennaio 1962, quando in località Uditore di Palermo fu trovato ucciso Salvatore Lupo Leale, figlio adottivo di Stétano Leale (che era stato a sua volta ucciso due anni prima) e della Battaglia. Nelle tasche della vittima fu trovata una pistola con il caricatore intatto e con un colpo in canna. La Battaglia dichiarò che suo figlio usciva sempre armato, mentre Marco Semilia gli faceva da « guardaspalle ». Pertanto, se il figlio non aveva estratto la pistola e fatto fuoco, significava che ad ucciderlo era stata una persona di cui egli riteneva di fidarsi, e cioè il Semilia. La « vedova della mafia » nel fare queste dichiarazioni e nell'estendere l'accusa a tut- mti coloro che riteneva coin-volti nell'omicidio del figlio, permise alla polizia di giun-gere a capo di un'impressio- narite serie di delitti. La morte del giovane Salvatore Lupo Leale, detto « Totuc-ciò », non era stata infatti che l'ultimo episodio di un'incredibile, sanguinosa ca-tena iniziatasi nel '58 con l'uccisione di Gioachino D'Ar- rigo, per una rivalità tra due cosche mafiose esplosa a seguito del mancato matrimonio « riparatore » di un « picciotto », reo confesso di aver disonorato una ragazza. Le due cosche — quella dei D'Arrigo e quella degli Albano — spinte anche da motivi di interesse, cominciarono ad eliminarsi vicendevolmente. Stefano Leale, l'uomo che conviveva con Serafina Battaglia da ventanni (un ex adetto alla Nettezza urbana di Alcamo, divenuto ricco nel dopoguerra con l'aiuto dell'«onorata società») si schierò con gli Albano e cadde crivellato di colpi esplosi di. un'auto mentre stava uscendo da un negozio. Il figlio Salvatore Lupo Leale cercò di vendicarlo, ma fallì una spedizione punitiva ad Alcamo e poco dopo fece la stessa fine. Tra il 1958 e il '62 altri dieci omicidi, tutti consumati a colpi di lupara, avevano segnato la feroce volontà di vendetta delle due organizzazioni mafiose. Nessuno ne sarebbe mai venuto a capo se Serafina non avesse parlato, convinta che l'assassino del figlio fosse il suo « guardaspalle ». Fu così che trentacinque persone, tra cui alcuni capimafia, furono processate prima a Palermo nel '64 e poi a Perugia nel '68. Alcune furono assolte, altre condanna¬ te. Due « pezzi da 90 » di A! caino, Filippo e Vincenzo R mi, ebbero l'erg?stolo. Marco Semilia, a Palermo venne condannato a ventisei anni di reclusione per omicidio premeditato e associazione per delinquere, ma in appello a Perugia fu assolto per insufficienza di prove. La Cassazione annullò questo verdetto e rinviò ad Ancone. Questa mattina, dinanzi alla corte d'assise d'appello, l'avv. Rocco, di parte civile, ha chiesto un altro rinvio della causa, in attesa che la Cassazione prenda in esame il ricorso presentato da Vincenzo e Filippo Rimi, condannati all'ergastolo quali mandanti dell'omicidio di Salvatore Lupo Leale. Si è opposto Jl procuratore generale dott. Savina, e la corte si è riservata di decidere nel corso del processo, che è così proseguito con l'escussione di due testimoni: Lorenzo Lunardo e Giovanna Armanno in Torretta. Il processo è stato poi sospeso e riprenderà domattina, e. g.