Renoir, grande pittore e maestro nel disegno di Marziano Bernardi

Renoir, grande pittore e maestro nel disegno Una importante mostra a Torino Renoir, grande pittore e maestro nel disegno di bimbo che I Galleria civica | Il ritratto nel 1952 la d'arte moderna di Torino acquistò come opera di Auguste Renoir su segnalazione e consiglio di Lionello Venturi ha sul catalogo un titolo sbagliato: «Cocò (ritratto del figlio Paul) ». Cocò fu infatti il nomignolo vezzeggiativo dell'ultimo figlio del pittore, nato quando questo, nel 1901, aveva già sessant'anni; ma non si riferiva a un Paul inesistente perché gli altri due figli di Renoir si chiamavano Pierre, nato nel 1885, e Jean, nato nel 1894, bensì a Claude: il quale, per la tenerezza suscitata dalla nascita tardiva, divenne per il padre un « motivo » continuamente rinnovato in tutti i suoi aspetti infantili, come si legge nel libro di Michel Drucker (1944). La figuretta di Cocò con la sua faccina tonda ombreggiata dal cappelluccio a falda accartocciata, similissima a quella del quadro di Torino, ritorna perciò due volte nei disegni che compongono la straordinaria mostra offerta ai torinesi da Stefano Pirra nella sua galleria di via Bava 4; e replicatamente in altri ritroviamo Cocò écrivant e Cocò de face, con chiaro riferimento alla nota Lecon d'écriture de Cocò del- la Barnes Foundation, databile intorno al 1906. Mostra straordinaria, diciamo, perché è la prima volta che si vedono riuniti in Italia ben 125 disegni inediti di Renoir, cui s'aggiungono quattro sculture in bronzo; disegni tutti riprodotti per quest'occasione in un bel volume stampato in soli 510 esemplari numerati dalla Società tipografica piemontese. Eccezionale spettacolo Quale l'origine di questo eccezionale spettacolo? Semplicemente l'amicizia che corre tra Stefano Pirra ed il signor Paul Renoir, che assistito da un gruppo di esperti sta curando il catalogo dell'opera completa del suo celebre nonno, non ancora interamente accertata nella sua quasi incredibile vastità: circa 4000 tele oltre gli abbozzi, i disegni innumerevoli. Egli dichiara, in proposito, nella breve prefazione al citato volume: « Nel riprodurre questo insieme di stùdi e di schizzi mai usciti, per la maggior parte, dalla cartella di Renoir, ho voluto permettere o facilitare la ricerca e l'identificazione di opere i cui disegni sono serviti da preparazione al dipinto ». Preparazione? Forse la parola è troppo limitativa. A parte il fatto che il crayon intitolato Nu allongé è già integralmente quella Baigneuse endormie ch'è una delle poche litografie lasciateci dal maestro, e che nell'inchiostro di china II giudizio di Paride si scopre perfetto l'impianto compositivo del Giudizio della collezione Halvorsen di Oslo, anche chi abbia una superficiale conoscenza della pittura di Renoir ne ritrova inconfondibile lo spirito in questi disegni stupendi. Tra il suo disegnare e il suo dipingere non correva la minima differenza. Appena percettibile nella levità dei tratti, lo schizzo che rappresenta Madame Renoir et son fils Pierre esprime completa la stessa intensità di affetti del solido, corposo quadro del 1886 con la madre che allatta il suo primogenito. Ciò significa che per il grande pittore la forma altro non era che la traduzione immediata di un sentimento, e che la sua meravigliosa perizia esecutiva ad altro non tendeva Che ad ottenere coi mezzi più semplici il massimo del; l'evidenza. i E' questa semplicità di intenzioni che distingue Renoir dagli altri Impressionisti (e a i l n i , 6 0 2 o 9 e forse da tutti gli altri pittori del suo tempo), almeno da quando, varcata la quarantina, e dopo il viaggio in Italia per lui decisivo, capì che l'arte autentica si sterilisce nella polemica: « Je ne veux pas, moi à mon àge, étre révolutionnaire »; una dichiarazione che ben s'accompagna con quest'altra: « Lo scopo supremo dello sforzo d'un pittore dev'essere affermarsi di continuo e perfezionare il suo mestiere; ma è soltanto con la tradizione che vi si può arrivare. Oggi noi abbiamo tutti del genio, è ammesso; ma ciò ch'è certo è che non sappiamo più disegnare una mano, e che ignoriamo tutto del nostro mestiere ». Parlava l'uomo che s'era entusiasmato del Libro dell'Arte di Cennino Cennini, e che affermava: « E' al Museo che s'impara a dipingere ». Il mestiere egli l'aveva nelle mani fin da ragazzo. Il nipote Paul conserva ancora tra altri cimeli nella casa di Cagnes un servizio da caffè decorato a figure, sui quindici anni, da colui che sarebbe diventato il più affascinante pittore di nudi femminili dei tempi moderni allorché si guadagnava il pane in una fabbrica di porcellane; e qui alla mostra c'è un gruppo di disegni datati 1857 e certo eseguiti per quei lavori, che ci dicono qual fosse già la sua sorprendente maestria, applicata anche a dipingere ventagli e tende avvolgibili. Lavori fatti per racimolare un po' di soldi, s'intende. Ma basta guardarli per capire il senso della famosa risposta che poco dopo, entrato alla Scuola di Belle Arti, avrebbe dato al suo maestro Gleyre che sprezzantemente gli domandava se dipingeva per divertirsi: « Certamente! E vi prego di credere che se non mi divertissi, non dipingerei». Felicità dell'arte « Penso che non sia passato un sol giorno della sua vita che non abbia pensato alla pittura, sua vera felicità e ragione di vivere », scrive il nipote. Paralizzato dall'artrite negli ultimi dieci anni, dopo una notte trascorsa a gemere nel letto lo portavano su una seggiola a ruote, gli legavano il pennello alle dita anchilosate, e in una specie di gabbia di vetro situata nel giardino continuava a dipingere dei capolavori; e molti di questi disegni, dai più minuscoli che possono valere un milione alla sanguigna Venus Victrix alta un metro e sessanta centimetri, per la quale furono offerti 60 milioni, ne sono per dir così le « veline ». In ogni tratto di matita, di carboncino, di penna c'è il pittore calato per intero, temperamento e stile, amore della vita e gioia di dipingere: « Ah! ce téton... c'est à se mettre à genoux devant... s'il n'y avait pas eu de tétons, je crois queje n'aurais jamais fait de figures! ». Uno stile che si stenta ad analizzare, perché ciò che più sbalordisce è questo: che Renoir fa « vedere » sul suo foglio ciò che « non è disegnato » con la stessa forza di ciò che « è disegnato ». Dal segno che dà il contorno, il volume, la forma, insomma l'immagine, si passa con un diminuendo inafferrabile al bianco dove l'immagine non c'è più: e che tuttavia « si vede » come la parte disegnata. Si osservino qui certi Esquisses de baigneuses, certi Etudes de femmes, e non vi sarà altro da aggiungere. Egli ha superato, con un linguaggio nuovo, del suo tempo, il Boucher, che nella prima giovinezza lo aveva « empoigné » col suo esempio; quel Boucher, diceva, che fu uno dei pittori che meglio capirono il corpo della donna. Su questo tema insistette tutta la vita dimenticando persino l'Impressionismo programmatico. Non pensò ad altro, non teorizzò, non protestò, non si propose di distruggere per creare qualcosa di diverso dal nulla. Lo guidò l'istinto, il perfezionamento continuo, il senso della semplificszione, la disciplina morale. Le opere gli nacquero dalla mente e dalle mani come forze di natura. Ed eterne, perché furono natura, non ideologia. Marziano Bernardi *

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