Si discute il celibato dei preti

Si discute il celibato dei preti In vista del Sinodo Si discute il celibato dei preti L'episcopato italiano è contrario ad abolirne l'obbligatorietà (Nostro servizio particolare) Roma, 12 giugno. Circa 250 vescovi italiani, su più di 300, riuniti in assemblea a Roma da lunedì a sabato prossimi, si pronunceranno sui due documenti del Sinodo mondiale (dal 30 settembre in Vaticano): « Sacerdozio ministeriale », che implica il problema del celibato, e « Giustizia nel mondo ». La posizione dell'episcopato italiano — a differenza di altre conferenze episcopali — non sembra aperta a sorprese. Si è delineata nelle assemblee delle diciotto « regioni conciliari» in cui è ripartita l'Italia ecclesiastica ed è favorevole al mantenimento del celibato obbligatorio, tranne la possibilità di dar gli ordini sacri a uominisposati, maturi e di proba vita, ma solo dove manchi il clero. La crisi del sacerdozio era già stata esaminata dall'episcopato nell'assemblea primaverile di un anno fa (5-11 aprile 1970) sulla base delle risposte inviate da circa 25 mila sacerdoti (su 43 mila preti diocesani) ad una « traccia » diffusa in tutte le diocesi italiane dalla segreteria episcopale. Monsignor Clemente Gaddi, vescovo di Bergamo, sintetizzò tre « principali tendenze » enucleate dalle risposte. Ne parlò senza dati statistici, ma in forma generica. « Pochissimi», disse, sono fautori del rigorismo tradizionale in materia di celibato; « una minoranza » sostiene, invece, l'abolizione del celibato obbligatorio e vuole il pieno inserimento del prete nelle attività mondane; « una larga maggioranza» chiede la radicale revisione dello statuto sacerdotale e « un potenziamento del celibato attraverso la libera scelta ». Indicazioni numeriche più precise vennero fornite, nell'autunno 1970, dal sociologo don Silvano Burgalassi, che condusse un'inchiesta su un campione di circa 4500 preti diocesani, quasi il 15 per cento dei 43 mila operanti ih Italia. Risultò che su 100 sacerdoti, circa 40 sono favorevoli al celibato facoltativo, anche se soltanto una quindicina si sposerebbero qualora la legge fosse modificata; 30 vogliono il celibato « pur con tutte le sue difficoltà »; da 10 a 20 vivono « in modo drammatico » il vincolo obbligatorio del celibato, mentre 10 su 100 lo considerano « un problema del tutto secondario ». Il cardinale Michele Pellegrino, presentando la ricerca di Burgalassi, si augurò che servisse « a scuotere l'ottimismo ingenuo di alcuni — sempre più pochi — i quali pensano che in questo campo non ci siano problemi » e inducesse « a un esame di coscienza altri, persuasi che bastino energici provvedimenti disciplinari a rimettere le cose a posto ». Il problema esiste, in misura notevole, anche nel clero italiano: ma sembra non trovare adeguata eco tra i vescovi, preoccupati di evitare qualsiasi mutamento nel concetto di sacerdozio affermato dalla teologia e difeso da Paolo VI. Non a caso, pochi giorni or sono, monsignor Loris Capovilla, uno dei vescovi italiani più aperti, ha ricordato che Papa Giovanni, poco prima del Concilio, mentre gli giungevano appelli per attenuare il celibato, si trascrisse questa frase di Benedetto XV ad un arcivescovo di Praga: « Sul fatto del celibato abbiamo parlato chiaramente, senza possibilità di equivoci. La legge del celibato, precipuo decoro del sacerdozio ministeriale e fonte di altre virtù anche per il popolo di Dio, devesi santamente e integralmente conservare. E non accadrà mai che questa Sede apostolica voglia abolirla o mitigarla ». Stamane Paolo VI, ricevendo 200 tra superiori e allievi di collegi ecclesiastici romani, ha detto: «Guai al prete che volesse essere tutto, fare di tutto, il politico, il sociologo, l'esperto, il consulente, l'organizzatore e così via dicendo ma, invece, mancasse alla sua specifica missione, che lo fa prete ». Gli indirizzi dell'episcopato italiano in questa duplice materia traspaiono dalla scelta dei relatori che introdurranno, martedì mattina, i due argomenti: il gesuita Padre Giuseppe Rambaldi, docente della Pontifìcia Università Gregoriana, ritenuto « piuttosto conservatore », parlerà del sacerdozio; monsignor Pietro Pavan, rettore dell'Università Lateranense, assai aperto in campo sociale, tratterà della « Giustizia nel mondo ». Essi rispecchiano la doppia linea seguita da Paolo VI nella Chiesa post-conciliare: un aggiornamento prudente, che non tocchi principi essenziali, sul piano teologico-dottrinario e un'apertura audace sul piano sociale. Lamberto Fumo èfttmrtavlnnLdbmtscdntdrd

Luoghi citati: Bergamo, Italia, Praga, Roma