Valcareggi e i sette nani di Giovanni Arpino

Valcareggi e i sette nani L'anno dei ripensamenti e delle speranze deluse Valcareggi e i sette nani Una grandinata di ipocrisie. Dicono i responsabili della squadra nazionale: il pareggio è più che sufficiente, la Svezia non ci ha certo dominato, alla fine avremmo anche potuto vincere. Dicono i calciatori, uno per uno o tutti insieme: abbiamo giocato benissimo, altre volte si giocò ancor meglio ma a Stoccolma era indispensabile un punto e quindi è inutile lamentarsi. E sui giovani da inserire in azzurro? Bravo quello Spinosi, dicono gli attaccanti che hanno paura di perdere il posto e quindi si augurano che i cambiamenti vengano l'atti solo in retrovia. Un'orgia di parole, e quasi tutte bugiarde. Una sola voce, in stretta confidenza, sussurra di polemiche interne, di Valcareggi personaggio inawicinabile e scontroso, di gente preoccupata per il proprio calo di forma, ossia di gioventù. Come al solito si falsa la verità E adesso si sta tentando tutto il possibile perché la cartina di tornasole svedese non venga usata come metro di giudizio. Si chiacchiera a tutto spiano per confondere le acque, intorbidire i giudizi, speculare sui criteri critici di questo o quell'osservatore obbiettivo. C'è persino chi mormora: non possiamo confessare di aver giocato malissimo, di aver rischiato una sconfitta più che meritata, in Italia queste cose non si pos- I sono dire. Eppure i Ramsey, i Don Revie, gli Zagalo, i Puskas sanno 'almeno parlare: senza rifugiarsi tra sproloqui politici o tra silenzi di alta diplomazia. Evidentemente i vari « numeri uno » del calcio italiano intendono, come al solite, camuffare la verità, far- j ci ripensare la partita di Stoccolma come una prova gra- j devote, persuaderci che Valcarreggi è un buon pilota, che Cera è un libero e che Domenghini è un fior di ala. j Dalla loro hanno, secondo antico malcostume verbale e j scritto, anche notevole parte della critica, che a l'uria eli mangiare solo calcio non sa più usare metri umani e dotati di puro buonsenso. Ma si deve dire, invece: questa povera Nazionale sconocchiata e asmatica avrebbe preso tre o quattro gol dal Leeds (per citare una squadra di calcio vista ultimamente in buono stato), e se i « gialli » svedesi avessero saputo tirare in porta l'avrebbero infilata con una notevole serie di « pappine ». Inutile, dunque, sbattere questo zero a zero come uno zabaglione, che non ha alcuna capacità di ridar vita ai moribondi. Burgnich è ritornato terzino per obbligo, Berlini ha dovuto fare lo stopper-picchiatutti, le due ali lasciavano correre via i terzini avversari prontissimi a battere cross l'uno più pericoloso dell'altro, Mazzola ignorava bellamente uno Svensson numero sei che sembrava Giove carico di fulmini, Boninsegna (subito indicato come vittima da tutti) ha fruito, in novanta minuti, di due unici traversoni dall'ala e di nessun appoggio in profondità, e al momento di una possibile anche se umiliante « melina » per salvare i! pareggio non è stato fatto entrare in campo Corso, che almeno avrebbe nascosto la palla agli svedesi, semiprofessionisti che giocano per 4poche corone e per grande divertimento in proprio. Questa è la realtà della gara. Partendo con Spinosi terzino e Burgnich libero, la difesa sarebbe apparsa subito più ferma. Mazzola al posto di De Sisti e un giovane più fresco come mezz'ala tela Causio a Sala: è da Berna che Valcareggi li deve provare, anziché relegarli in formazioni raccogliticce che saimo tanto di esilio programmato) avrebbero sostenuto meglio il centrocampo. E invece no: i « messicani » sempre, anche se sono « messicani i) stracotti, bruciacchiati, che rischiano di consumare sul campo la grande o piccola gloria conquistata al torneo mondiale. E' dalla prova amichevole contro la Svizzera a Bel¬ dl«qdsePcc| I | !i1ii ila che ripetiamo queste tesi, purtroppo ogni volta rammaricandoci di aver ragione. Perché sarebbe bello che le gare, i risultati, ci smentissero. Sarebbe bello .che Domenghini fosse quello di | quattro anni fa, che Rosato fosse in grandi condizioni fisiche, che il centrocampo italiano potesse permettersi il lusso di far « fluidificare » un libero come Cera, cui manca solo l'apostrofo — come dicono ma non scrivono in tanti — per andare in onorata pensione. Una pioggia di critiche ambigue, di astrusi « se » e « ma » e « distinguo » tende a far velo davanti ai tifosi, considerati oggetto secondario del calcio, un supporto tanto indispensabile quanto fastidioso. Si continua a credere che la gente non sappia vedere e giudicare secondo prontissimo istinto, dopo anni di calcio visto, rimasticato, pubblicamente discusso in ogni particolare. Ferruccio Valcareggi pare abbia chiaramente sostenuto che, di tanti suoi critici, non ne perdona uno solo: e cioè il sottoscritto, a suo parere troppo pungente. E' un ennesimo discorso insensato: a Valcareggi sarà forse facile dimenticare che proprio su queste colonne fu difeso e sostenuto prima e durante la campagna messicana, mentre i suoi cosiddetti « amici » tendevano trappole dietro ogni cantone. Ma dallo sbarco in Italia, dopo i « mondiali », ci si aspettava qualcosa in più. Il nostro (Geppetto o nonno che sia) doveva dimostrare un'acquisita esperienza, che anche in età tarda può sopravvenire. Per affetto farà invece giocare Mazzola coi baffi bianchi e i quaranta chili di i | o "Domingo" a costo di vederli svanire sull'erba di un prato. Questa non può essere chiamata "fedeltà" ai suoi prodi, ma rifiuto dei dati reali e spregio delle pubbliche esigenze espresse da milioni di tifosi. Due cambi all'anno in vista dei mondiali Stia al timone della sua barca fino a cent'anni, Valcareggi. Ma non pretenda di ignorare cosa dice il mondo nella sua realtà quotidiana. Secondo quanto pensano anche i più onesti dei suoi uomini (cerchi di parlare con loro apertamente, per favore) con un paio -di « cambi » quest'anno, e un paio nel '72 si sarebbe dato il via a un progetto di rinnovamento utilissimo per i futuri « mondiali » in Germania, svecchiando la squadra in modo graduale, senza cedere alla frenesia, senza guastarne il tono e la compattezza psicologica. E invece? Invece si sono visti a Stoccolma i brandelli della Nazionale che fu. In questa estate, secondo certi programmi svedesi, va molto di moda una versione oscena di « Biancaneve e i sette nani », dove la favola è ribaltata in orgia tanto sconnessa quanto risibile. Cosi è stata la nostra bella squadra azzurra a Stoccolma: sette nani soli (o accompagnati in spirito da qualche « assente » per colpa dei capi) a dover fronteggiare avversari che non avrebbero dovuto toccar palla. E ora si celebra lo zero a zero facendo comoda statistica: lo zero a zero tra i milionari (anche in deficit) del football e biondi atleti da centomila lire come massimo premio straordinario. Lo zero a zero tra i lodati « vicecampioni » del mondo e gli svedesi che giocano a calcio per pura smania singola, non possedendo pubblico né società potenti né febbrili stimoli d'alta tradizione. Cosi viene chiuso l'anno: appunto al « grado zero » dei ripensamenti e delle speranze deluse. Sul campo di Stoccolma, dopo la partita, volavano stormi di gabbiani, padroni del cielo e del vuoto, ilari come se cercassero il pallone gettato al "vento da Prati (e qui, per inciso, aggiungiamo: subito dopo il fischio di chiusura, Pierino maledisse se stesso, il pallone e l'errore; poi sopravvennero gli astuti consigli di spogliatoio, per cui nelle interviste si parla di buca, di stinco, di deviazione di Boninsegna: cosi si fa alta scuola di ipocrisia coi giovani). Quei gabbiani volano ancora sullo stadio deserto. Ma nelle testé di tanti mestieranti in football volano troppe farfalle, per giunta ostinatissime. Speriamo che il letargo estivo produca un buon raccolto: di indispensabile raziocinio. Appena uno dei responsabili della Nazionale saprà dire: he sbagliato io, non quei poveri ragazzi che ho buttato | in campo, allora capiremo che il nostro calcio matura veramente, libero dalle paure di vecchie o nuove Coree. Giovanni Arpino i mm m