Prigionieri del condizionale

Prigionieri del condizionale LA DIFESA DELLA LINGUA ITALIANA Prigionieri del condizionale E' il modo del dubbio, dell'incertezza, della possibilità: tutte cose di cui è tramata la vita d'ogni giorno - Gli scrittori moderni lo hanno caro, soprattutto nel «monologo interiore» Pio dei rinfacci ai giornalisti è che abusano del « condizionale assoluto »: « Golda Meir si sarebbe incontrata con due diplomatici sovietici ». Ma santo Iddio: i giornali non sono tavole mosaiche dove ciò che è, è; ma devono riportare opinioni e «si dice» ond'è tramata, giorno per giorno, la vita del mondo; e chi volesse giornali tutti coniugati all'indicativo, farebbe bene a non comprarli. Superfluo poi rammentare i servigi che il « condizionale assoluto » rende nelle preghiere (dove tutto è veramente sub condicione), come anche nelle richieste che l'uomo civile rivolge al prossimo suo. Fin nelle botteghe è rimasto l'abito, se non 10 spirito, di tale condizionale di cortesia: vorrei un etto di salame, dove la richiesta è condizionata al gradimento del pizzicagnolo («se si contenta....»). Meglio del futuro Piuttosto, non tutti sanno in teoria (ma in pratica si) che il condizionale in luogo dell'indicativo futuro riesce più espressivo: come quello che nega, non solo il fatto, ma la sua possibilità, ossia nega la cosa in tutti i casi possibili. Anche l'infimo degl'impicciati, chi gli dicesse «tu non potresti sbagliare», va più franco che dicendogli «tu non potrai sbagliare». Inoltre, nelle subordinate, 11 condizionale usurpa talvolta, e bene, le ragioni del congiuntivo, allentando il vincolo (che viceversa il soggiuntivo pone assai stretto) tra la protasi e l'apodosi e lasciando quasi indipendenti i due pensieri. Sembra un po' sgrammaticato, ma non è, questo luogo del Furioso: « La quale (istoria) io vi promisi di seguire, I S'in questo Canto mi verreste a udire» (XXXVII, 21), dove il più regolare congiuntivo (se mi foste venuti a udire) avrebbe dato il rigido senso: vi promisi che se mi foste venuti a udire avrei detto, altrimenti no; e il condizionale quest'altro, più accomodante e si vorrebbe dire ariostesco: io avrei detto in ogni modo, e di ciò vi avvertii nel caso che aveste voluto venire a udirmi (P. Papini). Ma uscendo dalle quisquilie: dentro una compagine di proposizioni volte al passato, come esprimere un'azione futura se non appunto col condizionale? Io dicevo, dissi, ebbi detto, avevo detto, ho detto che partirei o sarei partito. Qui spunta la questione dei due tempi: partirei o sarei partito. In molti casi non c'è indifferenza, in altri sì. « Io speravo che oggi non avresti brontolato » (la speranza della moglie è vana, il brontolatore si è sfogato). « Io speravo che oggi non brontoleresti » (tutto non è perduto, c'è qualche speranza che il brontolatore si rattenga). Su quest'uso del condizionale come « futuro nel passato », i grammatici hanno sorvolato. Vivida luce e gran finezza di analisi vi ha invece testé addotto Giulio Herczeg («Lingua Nostra», XXX, 3). A determinare la successione cronologica il narratore che scrive historice, cioè distaccato e neutro, può bene passare dal passato al futuro. Apatia e sofferenza Dirà per esempio che il Foscolo, con un certo suo gesto, dava inizio all'ultimo periodo della sua esistenza che lo porterà in Inghilterra. Dalla prospettiva pacifica in cui è collocato lo scrittore, il salto è lecito. Ma la prospettiva è tutt'altra quando l'azione futura di quel viaggio si esprimesse col passato del condizionale (lo avrebbe portato in I.). Questo nuovo futuro non è più il futuro apatico e conchiuso quale si presenta al narratore storico cui tutti i tempi, in certo senso, sono presenti, ma il futuro visto sentito sofferto e trepidato dal personaggio col quale il narratore si è per un momento identificato: il futuro soggettivo e incerto quale veramente sta, per colui che lo aspetta, in grembo a Giove. Tale il colpo d'ala del bel saggio che ha come psicanalizzato questo sottile e finora socchiuso punto di grammatica. E perché in politica tutto è incerto, si spiega come nei capitoli dei trattati si usi tanto codesto condizionale; si spiega come i moderni, avendolo sollevato dalla servitù della subordinazione, trattan¬ dolo cioè in proposizioni indipendenti, ne abbian fatto il principale condimento del « monologo interiore »; se ne corrobora infine la regola che dopo i verbi dichiarativi del passato la subordinata introdotta da che si costruisce col passato del condizionale: Giulio assicurava che sarebbe diventato buono, non potendo Giulio, in coscienza, esserne certo al momento della comunicazione, ma fidando in Dio. Ed ecco come il condizionale, che non per nulla è il modo del dubbio, dell'incertezza e della possibilità, serve, nei limiti e con la fragilità che s'è detto, a colpire, ex mente subiecti, l'aspetto problematico del futuro. Leo Pestelli

Persone citate: Foscolo, Golda Meir, Leo Pestelli

Luoghi citati: Inghilterra