Diga e rovine sull'Eufrate di Igor Man

Diga e rovine sull'Eufrate VIAGGIO PER LA SIRIA Diga e rovine sull'Eufrate (Dal nostro inviato speciale) Palmyra, giugno. Il deserto intorno a Damasco ha il colore dello zinco arrugginito, successivamente diventa bianco c visto dall'aereo sembra una sconfinata spiaggia senza mare. Si arriva a Palmyra con un volo rapido, ma che colma gli occhi di luce, stancandoli come quando si sorvola la Grocn- interminabilmente land in. Le piste beduine disegnano lunghi geroglifici solo all'apparenza senza senso, in verità sono itinerari precisi e immutati a dispetto del tempo e del vento che muove la sabbia: ostinate, le carovane continuano a ricalcare gli antichi percorsi. Su una di queste piste, due secoli la, Robert Wood e il Dawkins camminarono quattro giorni per compiere l'ultima tappa di un viaggio durato quasi due anni. Dall'Inghilterra all'Italia e alla Grecia. Viaggiarono le coste europee e asiatiche dell'Ellesponto, della Propontidc del Bosforo entrando infine nell'Asia Minore, in Siria. L'ultima tappa da Damasco a Palmyra, meta favolosa del viaggio, la compirono scortati da duecento fra cavalieri armati e portatori concessi agli archeologi inglesi dall'« Aga » di 1 l.issia. La scorta avrebbe dovuto proteggere i viaggiatori dai predoni che peraltro non si fecero mai vivi; tuttavia i cavalieri tennero sulla corda gli inglesi dando spesso l'allarme alla carovana. Ma non arrivarono a simulare un attacco nemico come fecero, un secolo più tardi, nel marzo 1813, i fantasiosi beduini cui si era affidata Lady Hcster Stanhope, spericolata nipote di Pitt. Quest'animosa viaggiatrice andava solamente " in cerca d'avventure: e fu la prima donna europea che tosse mai giunta nella capitale che vide il trionfo e la decadenza di un'altra donna animosa, l'imperatrice Zenobia. D'improvviso l'aereo vira |x:rdendo quota, scompare il deserto e l'occhio coglie la veloce corsa di antiche colonne che, simili a grosse dita d'argilla, sembra si affollino a battere contro il riquadro dell'oblò. I ruderi di Palmyra s'aprono alla vista una volta superata la cinta delle mura romane: un tempo gli archi e le colonne di pietra calcarea erano d'un delicato color biancorosa, il trascorrere delle stagioni ha dato loro un colore piranesiano, lo stesso delle rocce d'un altro deserto, il Neghev. Ma qui il sole fuga l'orrido facendo trascolorare la pietra dal rosso all'oro, al viola. E' una città morta, ma sembra solo addormentata, tanto vibrante è la luce, e si ha sempre l'impressione, ]K-rcorrendo la via colonnata, affacciandosi sul teatro, visitando il tempio del dio semitico Bel, che da un momento all'altro debbano comparire uomini vivi ad animare le solitarie rovine. Questo perché, dicono i beduini, Palmyra è una città popolata d'invisibili fantasmi che vanno e vengono in continuazione, assediati come sono dalla sabbia, prigionieri di quest'oasi piantata nel deserto a metà strada Ira il Mediterraneo e l'Eufrate. * * Palmyra, ha scritto Mario Praz, è come un fiore d'agave fiorilo dopo lunga maturazione. Là sua origine è oscura, la più antica menzione della città è in un'iscrizione assira del dodicesimo secolo avanti Cristo. Palmyra e il nome grecoromano: prima, quand'era solo un centra carovaniero, aveva un nome babilonese, Tadmuru, e gli arabi la chiamarono Tadmur. La nascita pressoché improvvisa di Palmyra capitale, seguita da una crescita tumultuosa, avvenne nel primo secolo avanti Cristo. Capitale di uno Stato cuscinetto tra 1 romani ed i parti, vi affluivano carovane con le merci di Roma e della Parlia, le sete, i gioielli, i prolumi dell'India, della Cina. Gli abitanti di Palmyra imuno audaci marinai: al di là della muraglia di Giustiniano un bassorilievo mostra un armatore accanto al suo vascello. I mercanti partivano dal Golfo Persico affrontando le rotte dell'Estremo Oriente. Capitale finanziaria del vicino Oriente, nel terzo secolo dell'era volgare divenne capi¬ taldaneto mdoziOalriatatrrail nal'aampanopoficitànpralegvdPl'dctrreatrtofattdmtdctsrtetcdcmqlmMrmrvtttbl o , a n a l a o è a o o e sa, na e. o e oa tel ioo a u, dme, lodi ono o i a, alai: ura uo no do te. violo pi¬ tale d'un impero che si estese dal Nilo all'Eufrate. Quando, nel 2"5S, Valeriano lu sconfitto da Sapore 1. l'esercito di Palmyra scese in campo e battendo i persiani ristabilì la situazione. Il vincitore si chiamava Odenato, sotto di lui Palmyra allargò il suo controllo alla Siria, alla Palestina, alla Mesopotamia, all'Armeni;!. Odenato trovò la morte in una congiura di palazzo; gli succedette il figlio Vaballato, ma a governare con pugno termo pensò l'abile, coraggiosa, intrigante, ambiziosa Zenobia, che, occupati l'Egitto e l'Anatolia, disconobbe l'autorità di Roma. La gloria cli Palmyra durò poco: nel 272 Aureliano sconfisse presso Emesa il suo esercito, che ripiegò dentro la città subito stretta d'assedio. Zenobia, con pochi fidi, riusci a passare le linee romane: voleva raggiungere i persiani per sollecitare il loro aiuto, ma i legionari la catturarono sulla riva destra dell'Eufrate, portandola al campo di Aureliano. Poco dopo Palmyra capitolò e l'orgogliosa Zenobia venne condotta a Roma, dove, carica di catene d'oro, precedette il carro trionfale dell'imperatore. Aureliano sedeva su di un cocchio al quale erano aggiogati quattro cervi. Nel corteo del vincitore si contavano settanta elefanti e duecento fra tigri e altre liete. Ottocento gladiatori trasportavano il bottino fatto durante il saccheggio di Palmyra. I romani dilapidarono la città, ma risanarono le statue di Odenato e cli Zenobia. Ancora oggi, nel tetrapilo al centro del grande colonnato, sulla seconda delle otto colonne corinzie, a mezza altezza, la statua di Zenobia sfida il vento e il sole del deserto. L'imperatrice morì lontana dalla sua città, consumata in prigione dalla pena. * * . Con la sconfitta di Zenobia comincia la decadenza di Palmyra, che nel 638 venne con quistata dagli arabi e un secolo dopo rasa al suolo dall'ultimo degli Omayyadi, il califfo Marwan IL Le sue rovine furono scoperte nel 1678 da due mercanti inglesi. A ridosso dei ruderi i beduini costruirono un villaggio che ora ha poche centinaia di abitanti. Ne incontriamo qualcuno al tramonto tornando dalla valle delle tombe: vengono dalla sorgente dell'Efqa, dove spiccia un'acqua lievemente solforosa, ai bordi della pista che porta a Damasco. Gli uomini sull'asino, le donne a piedi con l'orcio di creta in equilibrio sulla testa (rticacmcSolcplcsNerbsMavgnfrscncpsppasso scandito dall'affrettarsi di poche capre magre e nere. I beduini indossano i loro stracci con regale disinvoltura, levano la mano nel saluto, hanno voci gravi. Sui loro volti bruni conciati dalle intemperie ritroviamo gli stessi tratti sfingei delle statue coricate sui ripiani di pietra delle antiche tombe a torre. Le torri funerarie sorgono in una valle color del miele. E' una lunga processione in salita lino a un groviglio di rocce verdastre dominate da un vecchio castello arabo. Svettano rosse e solenni, incendiate dal sole al tramonto che a tratti le fa tutte d'oro. Qui, nella valle delle tombe, Palmyra, scheletro d'una remota civiltà dalla breve vita, acquista una dimensione umana, coi morti disposti come in tanti palchetti tomo torno alle torri, impassibili spettatori del tempo, scolpiti con rozza vigoria nella pietra. A trecento chilometri dalla valle delle tombe, sull'Eufrate, uomini che hanno le stesse facce dei morti di pietra costruiscono una diga che un giorno irrigherà 640 mila ettari: vivono in mia nuova città. Tabaka, c sognano l'utopia: una società siriana dove comunisti, nasseriani, lratelli musulmani possano lavorare « all'insegna dell'eguaglianza e della fraternità -u. Sempre a trecento chilometri dalla valle delle tombe, a Damasco, altri uomini, abili mercanti come già lo furono gli abitanti di Palmyra, soldati anch'essi duramente sconfitti come i palmiresi, sognano la riconquista della Palestina ed una « grande Siria » socialista e pragmatica, anima del mondo arabo. Igor Man

Persone citate: Dawkins, Lady Hcster Stanhope, Mario Praz, Odenato, Pitt, Robert Wood