Tavola rotonda di urbanisti e tecnici sul dramma di Torino che si sgretola

Tavola rotonda di urbanisti e tecnici sul dramma di Torino che si sgretola Oggi a "La Stampa,, dopo un'ondata di centinaia di lettere Tavola rotonda di urbanisti e tecnicisul dramma di Torino che si sgretola Interverranno il sindaco Porcellana, l'assessore Piceo, il prof. Cavallari Murat, il prof. Marziano Bernardi, il prof. Firpo, il presidente del Collegio costruttori ing. Dolza, l'ing. Barba Navaretti, l'arch. Oreglia; moderatore Carlo Casaiegno - Occorre individuale e rimuovere le cause della decadenza, stimolare un processo di risanamento - E' possibile? E come? Urbanisti, esperti, pubblici amministratori si riuniranno oggi attorno a una tavola rotonda promossa da « L;i Stampa » per discutere la decadenza del vecchio centro di Torino: non soltanto antiche mura che si sgretolano, ma, insieme, un patrimonio di tradizioni e un capitolo di vita che aveva rasgiunto alti livelli di civiltà. Interverranno il sindaco ing. Giovanni Porcellana, l'assessore all'urbanistica arch. Giovanni Piceo, il prof. Marziano Bernardi, il direttore dell'istituto di architettura del Politecnico prof. Augusto Cavallari Murat, il prof. Firpo, l'arch. Mario Oreglia, il presidente del collegio costruttori ing. Dolza con l'ing. Barba Navaretti. Moderatore sarà il vicedirettore de « La ! Stampa » Carlo Casaiegno. La campagna sulla città I « che si sgretola » ci ha fatto giungere migliata di lettere. Sono tutte pervase dall'accorata nostalgia di un mondo perduto, la « piccola Parigi gaia, raffinata, che dettava legge in materia di buon gusto », le case « con il buon odore di vaniglia, di cera, di pulito ». la nettezza delle strade, l'austerità dei costumi temperata da una civile, sorridente cortesia. Ogni riga è un atto d'amore che ci conferma quanto sia sensibile il tasto che abbiamo toccato e quanto amaro, di fronte all'attuale sfacelo, il rimpianto. Ma. come tutti gli atti di amore, troppe lettere trascurano un'analisi spassionata della realtà: sono emotive e irrazionali, commoventi e utopistiche. Quanti lettori ci invitano a lanciare una sottoscrizione? Una sottoscrizione potrebbe forse salvare un monumento, un palazzo: non un'intera città. Un'impresa edile ha offerto per un anno una squadra dei suoi operai (ì specializzati in restauro di antichi palazzi », altre ditte suggeriscono vernici quasi miracolose, capaci di resistere allo « smog » e di conservare a lungo la freschezza delle facciate. Qualcuno sembra credere che sia sufficiente un gesto di buona volontà: « I torinesi si devono svegliare, scuotersi di dosso il torpore che sembra averli sopraffatti, armarsi di energia e di iniziativa: devono cominciare a curare la loro città con amore ». L'amore, purtroppo, non può bastare per vincere le dure e concrete ragioni sociali ed economiche che stanno alla base di un processo di degradazione iniziato molti anni fa (forse addirittura con il trasferimento della capitale), ma che soltanto negli ultimi anni, con un moto progressivamente accelerato, si è manifestato con drammatica evidenza. La questione, ora, è questa: se il centro di Torino sia ormai morto, o soltanto ammalato; se sia possibile mettere in moto un meccanismo che ne stimoli le energie superstiti e possa avviare un processo di risanamento; quali incentivi di natura fiscale ed economica, oppure legati alla moda e al costume, possano stimolare la guarigione. Sono indispensabili, insomma una corretta analisi delle cause che hanno portato alla degradazione del vecchio centro e una realistica valutazione delle possibilità di rimuoverle. Per questo ci è sembrata indispensabile una tavola rotonda che affronti il problema in tutta la sua complessità. Pochi lettori sembrano averla afferrata. Occorre innanzitutto sgomberare il terreno da una pregiudiziale ingenerosa che molti hanno avanzato: « La dilagante rovina — citiamo uno per tutti — si deve in special modo alla totale occupazione da parte dell'esercito dei profughi, piovuti dal cielo dalla mattina alla sera, in cerca affannosa di luvoro e di un tetto nella nostra città ». Cediamo la parola per la risposta all'arch, Roberto Pagherò, che ha inviato una delle lettere più lucide e serenes «E' vero il contrario: un tessuto urbano malato, senescente, sporco e abbandonato dall'interesse pubblico e privato opera una selezione automatica degli individui che vi si insediuno sotto la pressione di una crisi edilizia che investe tutta la città: saranno gli ultimi arrivati, coloro che sono già ai margini della società, a trovare qui lu loro tana. Perché, ovviamente, non si può purlare di condizioni civili di vita, ma solo di ghetto dove i posti letto sono affittali a caro prezzo a turni di otto ore, dove si sfrutta la miseria e dove essa genera dflinquenza e instabilità ». Considerazioni analoghe si possono fare a proposito di un'altra causa indicata dalla maggioranza dei lettori: il blocco dei fitti e l'esosità fiscale. E' una causa che opera insue vuil chpil dgloe inaorstesddssIl in tutta Italia, non soltanto sul vecchio centro di Torino, e che dovrebbe produrre dovunque un'eguale decadenza: il che non è. Al contrario, anche all'estero — dove non opera o opera diversamente — il problema dei nuclei storici delle città dimenticati e de- gradati sotto la pressione del- lo sviluppo industriale è vivo e scottante. Addossare colpe inesistenti all'immigrazione o al fisco significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà e rinunciare quindi a ogni prospettiva di corretta terapia. Sono una minoranza le lettere che tentano un'indagine seria sulle cause della decadenza. Prima tra tutte quella dell'arch. Pagherò: « Alla base c'è il rapido e. caotico trasformarsi delle società negli godono luce. sole, aria buo na, mentre il centro è afflitto da traffico caotico, frasi nono, insufficienza di parcheggi: e non solo le vie strette e gli altri palazzi tolgono luce e sole, ma l'aria è avvelenata dallo smog e dal monossido di carbonio. Chi. in queste condizioni, sceglierebbe di abìtare nel nucleo storico della città?». Non resta più nulla, per citare Marziano Bernardi, della « pace quasi conventua- le che sembrava avvolgere iricordi di una ormai in gran parte decaduta aristocraziadella vecchia caputile subai- Pina». . ,. . Una condizione pregiudizia- le alla rinascita della vecchia Torino sembra proprio que- sta: restituirle la pace, il silen- zio. un'aria ragionevolmente ultimi decenni: popolazione raddoppiala, modificato il rit- mo della vita, rotti certi equi libri tra industria, artigianato, agricoltura e commercio. E' un fenomeno tipico di ogni società che affronti d'impeto la rivoluzione industriale senza avere alle simile un saffi- dente bagaglio di cultura e di abitudine alla democrazia e alla responsabilità civica.». Si pensi, ed esempio, alla rivoluzione dell'automobile. «Al tempo in cui s'andava a piedi — scrive un lettore — abitare in centro voleva dire poter raggiungere in pochi minuti la banca, il teatro, il caffè, il negozio elegante. Og gì, su quattro ruote, bastano cinque minuti anche abitan- do in collina o in periferia,Con il vantaggio che qui si I quartieri che. se risanai:, sta : pirebbero per la loro bellez\za e dignità coloro slessi che i qui sono nati e soprattutto \ quei torinesi recenti che sco j perebbero di non essere finìiti in un ghetto senza caratte- pulita. Come'.' Con l'istituzione di opportune isole pedonali e la quasi totale esclusione del traffico. Soltanto al- j lora. forse, potrà essere avviato il volano di altri incentivi e i torinesi potrebbero scoprire che « questa città, la più sporca che io conosca — è ancora l'arch. Pagherò che parla — tiene nascosti sotto la crosta di nafta palazzi, vie. I re. ma in una citta che si or- \ mnis2a a Vantaaaio di tulli ff ™ vantaggio ai nini "K'rchc (l' "'u' ìm bisogno». \ g. mart. lllillltiDlllltlllfllllliniliDitlllflIlllllltlxilliiilll

Luoghi citati: Italia, Parigi, Torino