Il ritorno di Fontanesi di Marziano Bernardi

Il ritorno di Fontanesi Una grande mostra del pittore ottocentesco Il ritorno di Fontanesi Recentemente un illustre critico accennò al « gracile » Ottocento pittorico italiano. Lungi dal nostro pensiero il tentativo (del resto già fallito) di contrapporre, con una presunzione di priorità e di quasi uguaglianza d'esili, alla grande stagione impressionistica francese la «Macchia» toscana, alquanto frammentaria nel paesaggismo, troppo spesso aneddotica nella scena e perciò, in fondo, legata a un clima artistico che la stessa condizione politica italiana condannava — malgrado le evasioni intemazionali dei De Tivoli, dei Signorini, dei Cecioni, dei Martelli — al provincialismo. fazDodici capolavori Parigi era l'Europa; Firenze la capitale d'un piccolo granducato. La sfortuna della nostra pittura ottocentesca, che appena adesso comincia ad essere conosciuta ed apprezzata all'estero, è soprattutto una questione di inadeguata comunicazione intellettuale, non di modestia dei talenti. Tant'è vero che i De Nittis, i Boldini, gli Zandomeneghi, soltanto per il fatto di essersi pariginizzati, godettero di una fama sconosciuta ad altri artisti italiani loro contemporanei di gran lunga ad essi superiori. Ma se si parla di « gracilità », cioè di una costituzionale debolezza poetica di co-, desta pittura, vorremmo invitare quel critico illustre a una meditazione su almeno una ventina delle oltre cento opere che compongono l'antologia presentata a Torino dalla galleria « Narciso » di piazza Carlo Felice 18. e particolarmente (se s'intende segnalare certe sorprendenti illuminazioni anticipatrici) su un quadretto, Viale alle Cascine, di Vincenzo Cabianca, che essendo datato 1856 precorre di ben diciotto anni quel modo di « vedere » la natura che gli Impressionisti avrebbero polemicamente proclamato nella famosa esposizione del '74. E' un'antologia costellata di firme notissime, dei Macchiaiuoli da Borrani a Fattori, da Signorini a Lega, dei Postmacchiaiuoli da Cannicci a Bartolena, dai Tommasi a Ulvi Liegi, dei lombardi da Cremona a Ranzoni, da Mose Bianchi a Gola, dei piemontesi da Delleani a Pellizza da Volpedo, dei veneti da Cabianca ai Ciardi, e via via di Faruffìni, Ussi, Palizzi, Michetti, Boldini, De Nittis, Segantini, Mancini, Zandomeneghi. Nel complesso una mostra di alto livello, con parecchie opere eccellenti, per le quali l'intenditore farà peccati di desiderio. Ma non costituirebbe forse un'eccezione addi- j rittura entusiasmante, se il | suo fulcro non offrisse uno spettacolo dei più rari ed avvincenti: l'omaggio che la ((Narciso» dedica al più grande — incontestabilmente più grande di Fattori e di Segantini — pittore italiano del secolo scorso, riunendo ben dodici quadri superbi ed un interessante fusain giovanile del maestro reggiano ch'ebbe tanta influenza sulla pittura piemontese ed italiana (fi- j no a Carrà) e che da tempo dovrebbe avere il suo degno posto nel firmamento artisti-1 co europeo: Antonio Fontanesi. Era dal 1947, da quando Vittorio Viale e il sottoscritto presentarono a Torino cin-1| quanta opere dell'autore del-1' le Nubi (Museo Civico torinese) che non si vedeva di lui nella nostra città una simile scelta per numero e qualità: tele, tavole, cartoni che appartengono ormai da settant'anni — dal primo libro del Calderini sul suo insegnante, del 1901, agii studi più recenti — alla letteratura critica fontanesiana. pubblicate, analizzate, passate di mostra in mostra; e che abbracciano circa un quarantennio d'attività, situandosi tra quello che noi riteniamo il più antico suo dipinto conosciuto, la Veduta di Massa firmata e datata 1843, e lo stupendo II Po a S. Mauro. 1880. che già vive dello spirito profetico di Van Gogh. La qualità poetica Al centro campeggia la vasta, solenne Strada dei campi, una tela di m. 1,12x1,70: ope ra di tale importanza che vuole un cenno sulla sua storia, anche perché soltanto ora, dal 1902, quando Marco Calderini la espose con l'errato titolo Novembre nella stila fontanesiana della Promotrice torinese facendosela prestare dal Palazzo Reale, riappare al pubblico. Era stata, con la celebre Quiete, presentata a Firenze ìa prima volta nel 1861. ora del Musco Civico di Torino, e con altri dipinti (imo dei quali stilun defisucre deldella tos« ilto poEpospi unoproCréespla ratl'anFonaqulezspcatvo192la derinchIinmRsdpnvdgsddcomprato dal pittore distia- I no Banti), uno dei successi della Promotrice del 1862; e \ l'acquisto Vittorio Emanile- i le II. Da allora rimase nelle ' collezioni reali e soltanto con ! la fine della monarchia sa- j bauda fu immessa nel com-; mercio. I Come opportunamente seri- ve Marzio Pinottini nell'intro-1 duzione al catalogo, anche 1 questo quadro grandioso che I :-egna il graduale passaggio ' i in parte dovuto alla frequen-, fazione del Ravier) da uno stile ancora improntato da un fortissimo impegno della definizione naturalistica, al successivo libero prorompere — addirittura visionario — della trasfigurazione lirica del motivo, e un esempio della incessante, persin tormentosa ricerca del Fontanesi « il cui spirito mai soddisfatto lo portava a insistere su pochi, ripetuti temi ». E difatti la prima idea compositiva della Strada dei campi è forse da ricercare in uno studio lem 27.5x37,5) probabilmente eseguito a Crémieu nel Delfinato, già esposto da Vittorio Viale nella grande mostra commemorativa torinese del 1932 e l'anno scorso dalla galleria Fogliato (collezione De Fornari. Torino). Due dipinti quasi simili t allora delle collezioni Gennaro Melzi e Crespi Morbiol furono pubblicati da Carlo Carrà nel suo volumetto su Fontanesi del 1924; e vi riprodusse inoltre la notissima tela (cm 50x60) della Galleria Sabauda di Torino, intitolata non si sa perché Il mattino, e che ci dà con pochissime varianti ed in formato minore La strada dei campi ora alla « Narciso ». Abbiamo dunque di questo motivo, tanto caro al pittore che volle perfezionarlo nel quadro maggiore comprato dal re, ben cinque edizioni, tutte databili intorno al 1862, anche se quella della Sabauda fu comprata nel 1884; il che è un'altra prova dell'assillo costante del Fontanesi nell'approfondimento della propria sensazione, della sua necessità artistica (ch'era poi un'esigenza morale) di far concordare i dati della realtà con uno stato d'animo che, pur rispondendo a quei dati, poteva di volta in volta mutare, magari attraverso un particolare minimo, un variare d'intonazione, o con l'introduzione o lo spostamento o la soppressione d'una figura nel paesaggio. Ovunque si volga l'occhio sulle opere * fontanesiane di questa mostra magnifica troviamo la conferma della suprema qualità poetica che fu la strenua ricerca di Antonio Fontanesi nella sua non lun¬ ga vita (nato a Reggio d'Emilia nel 1818. mori a Torino nel 1882. qui maestro incomparabile di giovani): cioè l'indagine, la percezione, la con- quista pittorica di ciò ch'egli chiamava « la poesia del vero », l'aspirazione (lo scriveva in una lettera al discepolo Carlo Stratta) a «rendere visibile l'invisibile ». la convinzione che « il vero, il finita altro non sono che l'infinito »; una concezione artistica degna di Giacomo Leopardi. Ci domandiamo allora perché Fontanesi non .abbia da gran tempo il suo posto nell'olimpo dei massimi maestri europei. Cento sue opere sarebbero una rivelazione a Parigi, in quella Francia che giustamente ricerca, riscopre, esalta i suoi valori più autentici. Noi, nei nostri musei, ci balocchiamo con mostre inutili, timorosi sempre di non sembrare abbastanza « aggiornati », come gente senza radici. E' l'Italia dunque destinata a rimanere in perpetuo provincia? Marziano Bernardi