Con la voce di Sansone crolla anche il tempio di Massimo Mila

Con la voce di Sansone crolla anche il tempio L'opera di Saint-Saens al Teatro Nuovo Con la voce di Sansonecrolla anche il tempio Protagonista Pier Miranda Ferrare-, con Irene Companeez, Dalila - La direzione di Nino Sanzogno e la regìa di Frank De Quell Un giorno il vecchio Goethe j gebbe uno scatto d'indignazione, j ttoste registrato dal fedelissimo Eckormann, sull'uso della parola « composizione » per designare la creazione musicale. « E' una parola abbietta, che ci viene dai Francesi e dalla quale dovremmo cercare di liberarci al più presto. Come si può dire che Mozart ha composto il Don Giovanni'? Composizione! Come se si trattasse di uno strudel o di un biscolto. composto di uova, di farina e di zucchero! ». Il capolavoro di quel genere di « composizione » che faceva girar le scatole al Maestro Olimpico è il Sansone e Dalila di Saint-Saens. C'è dentro tutto quel che ci vuole, c tutto è al suo posto, sapientemente amalgamato. La melodia scorre fluente e continua, senza più alcun residuo di recitativo: l'armonia è sapiente, l'orchestrazione appropriata. L'aria di Dalila è insinuante e seduttrice, il duetto d'amore avvampa come un pollo alla diavola perfettamente rosolato: gli strumentini intercalano le loro infaticabili scalette cromatiche, su cui sta l'etichetta: « brividi di voluttà - qualità garantita ». Il baccanale del terz'atto è stimolante ed energico: le preparazioni dei culmini oratori e drammatici sono laboriose, efficaci. Da un punto di vista scolastico, tutto è perfetto: 10 con lode. Il primo atto è un modello di quelle cantate per soli, coro e orchestra che i migliori allievi del Conservatole devono scrivere per assicurarsi 11 « Prix de Rome ». Sansone e Dalila sembra un compito di scuola scritto da un professore. Ma la totale inconsistenza dei personaggi denuncia l'accademica indifferenza ai valori drammatici. Detto questo, che è il parere personale di chi scrive, è doveroso ricordare che Sansone e Dalila non solo tiene egregiamente il cartellone da quasi cento anni, ma ogni tanto riscuote tributi di ammirazione da parte di citi meno ci si aspetterebbe. Lasciamo stare Romain Rolland. che giustamente lodava « l'equilibrio mantenuto fra tanti elementi eterogenei » c. meno felicemente, l'assenza d'ogni pedanteria, quella pedanteria che sarebbe invece la piaga dell'arte tedesca e che « imperverserebbe » in Brahms! Ma dieci anni fa. per un'ese- | cuzione alla Scala, un composi torr d'avanguardia e politicamente impegnato, scioglieva un inno per questa disimpegnatissima opera, ravvisandovi «modernità e vitalità ». E pochi mesi or j sono, un giovanissimo e dotato collega napoletano, la cui proverbiale spregiudicatezza sfiora felicemente i confini dell'impertinenza, non sapeva più quali elogi trovare per le « classiche architetture » di questo « frutto mirabile ». per la « prodigiosa sapienza musicale di SaintSaens » e per il suo « senso della forma ». Le qualità, cioè, che si è solili lodare, in mancanza di meglio, negli artisti accademici: quelle che Vivaldi compendiava nel concetto di «armonia ». Ma l'« estro » dove sta? Comodissima da eseguite, l'opera richiede pochi cantanti ma buoni. Avanzate le debite riserve sul l'atto che cantassero in francese, senza essere francesi ne l'uno né l'altra, il tenore Pier Miranda Ferraio e il mezzosoprano Irene Companeez sono due buoni protagonisti, specialmente il Ferraro, un artista sim- MGrarvsNmammRdcspldgpatico, cui non l'anno difettol'ampiezza e la forza del regi-"titrib indi nmi ibili ini . ,'pL ^ qttcsta parte, com egli stesso edEugenio Gara hanno impiegatonella conversazione dell'altra sera. La Companeez. chiamata all'ultimo momento a sostituire la Cussoilo, si è inserita abilmente in una esecuzione già preparala c non ci ha fatto troppo sentire il dispiacere di non potere applaudire l'illustre prodotto del nostro Conservatorio. Tanto il Ferraro quanto la Companeezhanno il fisico che le loro partrichiedono: lui per l'arci accatà ro la demolizione delle colonne del tempio, e lei per rendete comprensibile l'infatuazione amorosa di Sansone. L' un piacere quando nelle parti cosiddette minori accaddi scoprire un elemento che ha poco da invidiare ai protagonisti. E' il caso di Silvano Carroli. che non credo di aver masentito prima d'ora. E' un baritono di voce tonante, avvialo ad emulare le qualità e i diletti dCiucili, ma dotato di una splendida chiarezza di pronuncia. Isuo « Sommo Sacerdote di Dagone » sarà un po' plateale, ma -impone. E' un artista che un giorno o l'altro, se saprà temperare l'energia belluina dell'emissione, piacerebbe sentire in |a go. c magari, tessitura permet tendo, in Bori». Oddino Bertola, Vito Susca, | Mario Carlin. Ottorino Begali e j Guido Pascila completano deco- rasamente il cast, mentre il coro, istruito dal maestro Brainovich. trova in quest'opera la sua beneficiala. La direzione di Nino Sanzogno governa l'insieme con sicura esperienza, ed assicura all'esecuzione quella morbidezza, quella « langueur mélancolique » che pareva al Rolland la qualità principale dell'ispirazione di Saint-Saens. La regia di Frank De Qucll compone dei bei quadri di massa nello statico primo atto, dove più si avverte l'origine oralorialc dell'opera, poi li scompone ; drammaticamente negli atti seguenti, cercando di trarre il mi-1 glior partito da quel poco di azione che c'è. La ginnica co- | rcografia di Carlo Faraboni rav j viva mollo moderatamente il baccanale del terz'atto, dove ; -1 spicca la bravura dei primi ballerini Loredana Fumo e Federico Palladino e si apprezzano le qualità d'insieme del corpo di ballo. Le scene di Peter Bissegger si valgono largamente di proiezioni. Il clou dell'opera, cioè il crollo del tempio, facilitato come è dall'invenzione della gomma piuma e dei poliesteri, avviene in modo impressionante e catastrofico, tra la soddisfazione generale. Vivissimi applausi ad ogni atto e qualche tentativo — non opportuno, data la struttura stretta dell'opera — di applauso a scena aperta. Massimo Mila