Boninsegna, apache della domenica
Boninsegna, apache della domenica Azzurro o nerazzurro: sempre protagonista Boninsegna, apache della domenica La palla era molto forte, ho cercato di ruotare e colpirla con l'esterno sinistro perché se mi cadeva sul collo del piede sarebbe schizzata via troppo alta: ma ero già defilato rispetto al primo palo, ruotando e pressato com'ero dallo stopper non sono riuscito a tenerla bassa, cosi il tiro è finito sopra la traversa, eccessivamente angolato. Sarebbe stato un bel gol, mi fossi soltanto trovato tre metri più indietro. Un mantovano Chi parla cosi — tuffo intento nel ricostruirsi millimetro per millimetro, frazione su frazione di secondo — è Boninsegna. La faccia contratta nel ricordare ogni piccolissimo particolare dell'azione, come un orafo o un armatolo o un chimico analista che spiegano il processo e il funzionamento di quel tale meccanismo segreto, di un'operazione che solo loro, con pazienza, possono rendere semplice allo sguardo profano. L'artigiano Boninsegna, goleador insigne, si impegna a discutere con l'amore smanioso per il mestiere che distingue l'uomo legato, addirittura fuso nel proprio lavoro. Benché aggredisca il pallone con una rabbia quasi unica in Italia, è caratterialmente l'erede di un Ntitolari, di un Learco Guerra, come lui mantovani. Nuvolari che guida anche se ha perso il volante. Guerra che infila ferocemente un rettilineo e lo « brucia » come il treno divora j binari: uomi- ni di speciale tempra, che nel vincere, nella determinazione di vincere, trovano gusto e ragione di vita. Ora tutti gli fanno festa, si complimentano, gli bullono pacche sulla schiena. I tifosi lo rincorrono gridandogli fin dentro gli orecchi l'ultimo urlo di guerra calcistico che si sia sentilo quest'anno, e cioè: Boni-BoniBoni! Segna-Segna-Segna! L'hanno ribattezzato con nomignoli di ogni genere: per alcuni è Eonimba. per altri Bob ì! Terribile (come uno .ar). per altri ancora è il Feroce Saladino, al aitale rassomiglia secondo ali antichi, favolosi rilrntli. Ma lui. pallidissimo, la faccia QuadraIn. l'occhio ora timido ora bullesco, sopporta meglio le critiche denti elogi. Strinae la mascella, scrolla le spalle, fa una smorfia e pensa al pros¬ \ già \ liardo: \ gol. simo gol. al prossimo stopper da affrontare a furia di scatti, urti di gomiti, fiancate micidiali. Ha conquistato ì gradi lottando selvaggiamente, a fianco o no di Riva, prò o persino contro Riva. Ha i capelli lunghi, ma 7ton sembra un capellone qualsiasi bensì un Apache bianco, traccagno e agilissimo, di quelli che con un balzo sono subito in groppa al cavallo lanciato: un metro e settanta che sanno I elevarsi e svitare in coordinazione perfetta rubando i tempo e palloni a difensori dotati di dieci centimetri in più. Era cattivo, litigioso, ha imparato a dominarsi. Subì una squalifica gigante, ag- | grediva gli arbitri, distribuiva cazzotti negli spogliatoi. Ha coordinato persino il proprio carattere, maturando da giocatore rissoso a im- j placabile goleador, che sfo- I ga ogni istinto nel far rete. \ di sinistro e di destro, di i testa e in tuffo acrobatico. Contro il Napoli, in una gara decisiva per l'Inter lanciala verso lo scudetto, segnò un gol dribblando con la fronte i bulloni protesi di Punzonato. Contro il Fogvolando fulmineo come un beccaccino, coglie un cross di Facchetti e da venti metri in mezza rovesciata sinistra lo spara nell'angolino alto: e tutti gridano al nuovo Piota. Contro gli irlandesi, anticipa uno stupefatto e gigantesco difensore piazzando la tempia come la punta d'una stecca da biimpatto deviente e I j ! ; j | ! I \ j - 1 j l\ ; \ Ricorda tutto E' bello sentirlo parlare: ricorda ogni minima frazione del gioco che ha dovuto compiere, e com'era il piede d'appoggio, e com'era la qualità del cross, il ginocchio del difensore che lo controlI lava e il suo gomito nello stomaco altrui. Centinaia di ; giocatori, discorrendo, huni no imparalo ad arrampicarssi sui vetri di una dialettica i fumosa, non ricordano più I il cuore delle azioni, incolpano il terreno, il vento, la i sfortunu. la tracotanza avver' suria, il vuoto interiore. Lui i è di quelli che si limitano , virilmente alla spiegazione minuta, ginnastica, professionale. L'hanno chiamato egoista, perché restituisce pochi palloni, viziato com'è dalla fa- I i | I me del gol. Però ha fatto j segnare Prati a Dublino con ! un altro dei suoi coraggiosi ; tuffi di testa. Alcuni, ormai, j gli consigliano di non ri| schiure troppo, e lui ascolta ! stupito: come può rinunciaI re alla fame di rischio, uni\ co piedistallo del gol, nelle j uree italiane. Non è un giocatore che - possu maturare, retrocedete 1 do con gli anni di posizione j in posizione come successe la certi «classici», da Meazza a Boniperti a Liedholm. E' uno che vìve sul tritolo \ del sinistro e sulla ferocia ; agonistica: un Nordahl più \ piccolo di staturu, un Nor dahl mantovano. Quandosmetterà di giocare, lo faràdeponendo la maglia nume- ro nove, e forse l'ultimo gol sarà come quello di Nordahl, grasso e lento, che piazzò il deretano a deviare la palla proveniente dal calcio d'angolo. Antipersonaggio se mai ve n'è uno. il Feroce Saladino, orgogliosissimo artigiano del gol, è l'uomo dell'anno. Almeno tre squadre avrebbero conquistato lo scudetto, con lui. Due unni ancora così, e passerà agli annali come uno i dei più grandi centravanti | italiani. Ma bisogna far cari te false perché il suo esem| pio conti, perché chi tocca ] o guarda un pallone abbia nella memoria la carica di \ Boninsegna. il nostro Apa \ che àella domenica, \ Giovanni A,rpino
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