Le radici nel Sud

Le radici nel Sud Le radici nel Sud (Psicologia degli emigrati) Quando, verso la fine del1 ( Ittoccnto, la questione meridionale balzò per la prima volta alla riballa dell'opinione pubblica italiana, non vi lu personaggio di qualche rilievo che rinunciasse ad esprimere il proprio punto di vista sull'argomento. Neppure gli studiosi di antropologia vollero mancare a quello che era diventato l'argomento culturale alla moda. E |ioichc, grazie alla risonanza internazionale delle teorie di Lombroso, la loro disciplina godeva a quel tempo di largo prestigio, l'interessamento degli antropologi rischiò di trasformarsi, per il Me/" inrno, in un abbraccio ** -. 1 aie. A forza di misurare i crani dei contadini meridionali, quei degni studiosi giunsero intatti alla conclusione — che Alfred Rosenberg avrebbe indubbiamente apprezzato — secondo la quale esisterebbero, in Italia, due razze e due psicologie: l'una celtica, creativa e disponibile ai legami di gruppo; l'altra mediterranea, inerte c caparbiamente individualistica. Così Alfredo Niceforo, il più noto esponente di questo indirizzo, sostenne che la psicologia dei « mediterranei bruni » sarebbe stata, rispetto a quella degli « arii », tassai meno adatta al progresso »; particolarmente severo fu poi il suo giudizio dei napoletani, che egli considerò « un popolofemmina », laddove gli altri |K)poli, a cominciare dagli italiani del Nord, sarebbero stati « popoli-maschi ». Non mi dilungherò sui vari capitoli di quello che Napoleone Colajanni ebbe a definire « il romanzo antropologico » del dualismo tra Nord e Sud; accennerò soltanto all'ineffabile soluzione proposta dal Troilo per liquidare il problema, e cioè l'avvio di una politica basata su « incroci, innesti e trasfusioni etniche ». Questa esasperazione, in fondo ridicola, di certe teorie positivistiche a quel tempo in gran voga, provocò effetti che ridicoli non sono. La giustificazione « scientifica » dell'arretratezza meridionale, accantonando ogni tentativo di spiegare il fenomeno in chiave storico-sociale, forniva implicitamente un alibi a chi voleva lasciare uomini e cose del Sud più o meno com'erano. * * ' Non vorrei quindi che, a infondere novello vigore a questi stati d'animo e a questi pregiudizi, scendessero oggi in campo — sia pure con le migliori intenzioni di scientifica obiettività — i cultori di una altra disciplina, venuta nel frattempo di moda. Assistendo alle sedute del Congresso di psicologia sociale, svoltosi recentemente presso l'Università di Torino, ho infatti avvertito più di una volta la sensazione che il fantasma di Niceforo aleggiasse benevolmente nell'aula che ospitava i lavori: come, ad esempio, quando è stata illustrata una ricerca volta ad accertare se la intelligenza dei bambini meridionali emigrati al Nord sia o no inferiore a quella dei loro coetanei settentrionali. Vero è che il risultato dell'indagine ci ha rassicurati sulla parità, almeno cerebrale, tra le due Italie: mentre, come si è visto, le misurazioni craniche avevano portato gli antropologi di settantanni or sono a conclusioni opposte. Ma è già significativo — e. a mio giudizio, preoccupante — il fatto che la scelta sia potuta cadere su una ricerca ilei genere. A suscitare l'allarme maggiore nei meridionalisti presenti, sono state, comunque, altre due tesi sostenute al Congresso torinese. La prima, debilita « ovvia k eia chi la enunciava, è che « le categorie mentali tengono prima di tjitcllc economiche c sociali » (siamo quasi alla teoria del « carattere mediterraneo » che impedirebbe il civile progresso del Sud). La seconda tesi è che i lavoratori meridionali immigrati al Nord farebbero meglio a tornare nelle terre di origine per praticarvi l'agricoltura. E' una tesi così assurda e insostenibile sul piano dell'economia da rendere superflua ogni polemica; neppure i più a terra » avviso, logici accaniti avversari del Piano Mansholt si sognerebbero di formulare proposte del genere. Ma la lesi del « ritorno alla insostenibile, a mio , anche sul piano psicoperche vorrebbe relegati di nuovo nell'arcaica società contadina in via di sgretolamento uomini clic se ne sono già distaccati per conquistarsi non soltanto la sopravvivenza, ma anche il diritto a più moderni valori, a su|Kriori livelli culturali, a più evoluti modi di vita. * * Tale è, comunque, la forza dirompente della questione meridionale, che perfino una scienza « neutra », come è stata fin qui la psicologia italiana, non ha resistito allo scontro. Si è verificata, al Congresso di l'orino, una svolta importante, e forse anche una rottura, sul modo stesso di concepire i compiti e le finalità dello psicologo: non soltanto « sulla nostra responsabilità di essere psicologi in questo contesto sociale e in questo momento storico... ma sulla possibilità di formulare, di fronte a fenomeni che sono anzitutto economico-sociali, un discorso che sin psicologico c che sia valido, che sia cioè in grado di fornire un contributo effetti co, c in certo senso originale, quanto meno alla conoscenza del fenomeno». Ho ricavato questa citazione dalla premessa, che ha quasi il valore di un manifesto programmatico, letta davanti al Congresso torinese dalla prof. Giulia Villone Betocchi, incaricata di psicologia generale presso l'Università di Salerno. E il lavoro presentato dai ricercatori di Salerno costituiva, in certo senso, la verifica « sul campo » della possibilità di storicizzare la ricerca psicologica, senza peraltro forzarne la metodologia o snaturarne l'essenza. « Denunciare quanto deve essere denunciato, non già in base a slogan, ma attraverso il rigore della ricerca scientifica »: così è stato definito dal prof. Marcello Cesa Bianchi il « nuovo modo di essere psicologi ». E veniamo ai risultati della ricerca di Salerno. Come terreno di osservazione, gli psicologi di quella Università hanno scelto un paese della Campania che appartiene alla cosiddetta « polpa » ilei Mezzogiorno. Attraverso le numerose interviste-campione, gli studiosi di Salerno hanno potuto constatare che la riluttanza ad emigrare non si manifesta soltanto nei gruppi più legati alle attività ed ai valori tradizionali (il che, in fondo, era abbastanza scontato): la scelta di rimanere, o quanto meno di tentare di rimanere, appartiene anche ai giovani che più sono disposti ad accettare, sia pure entro certi limiti, i modi di vita e le norme culturali del Nord. Sulla base di queste indicazioni, gli studiosi salernitani hanno formulato l'ipotesi che, là dove le prospettive di sviluppo economico sono legate essenzialmente alla volontà (c, naturalmente, alla capacità) politica, i giovani meridionali ricercherebbero, « più the la soluzione individuale immediata, che è quella della migrazione, una soluzione collettiva più lontana nel tempo, che è quella di modificare le locali strutture economiche e sociali: soluzione che consentirebbe loro di acquisire livelli di vita più evoluti e gratificanti senza dover pagare il costo psicologico della riunii-' zia forzala alla cultura ili origine ». Come si vede, la ricerca presenta aspetti estremamente interessanti, specie se confrontata con quella destinata a verificare l'eventuale disuguaglianza tra l'intelligenza «celtica » e l'intelligenza « mediterranea K Ben venga, dunque, la psicologia «del coinvolgimento », se è in grado di fornire un suo originale contributo alla soluzione delle contraddizioni che dalla società si riversano sugli individui. Si tratta forse, per una disciplina finora asettica, di una contaminazione? In tal caso, lien venga — per dirla con le parole della prol. Massucco Costa — la psicologia « dalle mani sporche ». Rosellina Balbi

Persone citate: Alfred Rosenberg, Alfredo Niceforo, Giulia Villone Betocchi, Lombroso, Marcello Cesa, Massucco, Napoleone Colajanni, Niceforo, Rosellina Balbi, Troilo

Luoghi citati: Campania, Italia, Salerno, Torino