Né leggere né scrivere di Mario Bonini
Né leggere né scrivere Il "mondo a parte,, degli analfabeti Né leggere né scrivere a o a o a - Gualtiero Harrison e Matilde Callari Galli: « Né leggere né scrivere », Ed. Feltrinelli, pag. 143, lire 1100. Un primo annacquamento della realtà, quando si compilano le statistiche sull'analfabetismo, è quello che si compie con la suddivisione in « analfabeti » e « semianalfabeti ». La categoria degli analfabeti puri, quelli che Gramsci definiva amaramente « i nostri senegalesi », è molto più esigua, anche se il loro numero è ancora dolorosamente alto: circa 3.800.000 italiani di età superiore ai sei anni nel 1961. E ancora per il 1967 il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro denunciava un 2,3"u di analfabeti fra gli occupati e un 3,7" b fra i disoccupati. Ma a mitigare l'impressione suscitata da queste cifre interviene la convinzione diffusa che la maggior parte degli analfabeti appartenga aWe classi più vecchie. L'obbligo scolastico Proprio in Sicilia due studiosi di antropologia culturale, Gualtiero Harrison e Matilde Callari Galli, hanno condotto un'indagine, finanziata dal Consiglio nazionale delle ricerche, che smentisce molte illusioni sull'imminente scomparsa « per cause naturali » dell'analfabetismo. La constatazione di fondo che si può trarre dai risultati del loro lavoro triennale è addirittura drammatica: in Sicilia — e, purtroppo, anche in altre aree depresse del Sud — l'analfabetismo non è una sacca in via di compressione e di liquidazione, ma un residuo tenace che, paradossalmente, trae vitalità e virulenza proprio dall'estensione dell'obbligo scolastico. L'indagine ha preso in esame 100 famiglie « analfabete » di quattro comuni della Sicilia occidentale, compreso il capoluogo di regione. Loro comun denominatore non è soltanto la povertà, ma, appunto, l'analfabetismo: si tratta di famiglie i cui componenti sono in grande maggioranza analfabeti, o semianalfabeti o, comunque, inadempienti all'obbligo scolastico. Sono le stesse condizioni di vita, affermano gli autori, a imporre l'inadempienza: in abitazioni malsane e sovraffollate, prive di servizi igienici, di riscaldamento e | a volte di mobili, il bambino qca che si ostinasse a voler frequentare la scuola, a fare i compiti a casa, « farebbe un atto non solo incomprensibile per quanti lo circondano, ma incompatibile con le esigenze della convivenza familiare e della sopravvivenza ». Dalla famiglia, cioè, i ragazzi delle aree depresse ricevono in eredità non soltanto la miseria, ma anche una spinta all'autoesclusione dalla scuola, cosicché il benpensante può dire che ricevono in eredità l'ignoranza. E in effetti uno degli aspetti più tragici di questa situazione è che gli stessi analfabeti si convincono di essere predestinati a rimanere tali, o a ridiventarvi dopo qualche anno di precaria frequenza scolastica. Ad ogni età si crea, insomma, nell'analfabeta la persuasione che lo studio non è fatto per lui perché distrae le sue energie dal lavoro, unica moneta che assicuri la sopravvivenza. Si ascolti questa confessione: « A scuola andai per due anni. Male, anzi malissimo. Poi mio padre mi ritirò per portarmi con sé in campagna. Mi metteva su una mula carica di fieno e io la portavo dal campo al paese, e poi la riportavo in campagna. Sarà perché conoscevo la strada, il lavoro mi riusciva bene. La scuola no ». O quest'altra: « Non ci avevo la testa ne ai numeri nè alla lettera. La scuola è fatta per chi ha la testa buona, e la voglia ». Alla radice di questa rassegnata sfiducia, secondo gii autori, è il carattere meritocratico, selettivo, discriminatorio di una scuola che pure è aperta a tutti e gratuita, ma, al limite, è soprattutto « neutrale», nel senso che non aiuta i più deboli e i meno preparati. La conseguenza è che gli esclusi o autoesclusi tendono a isolarsi in un ghetto, in una «cultura» a sé, quella che gli autori dell'indagine definiscono « cultura analfabeta ». Un'altra cultura In questo mondo a parte si coagulano e si trasmettono esperienze, si perpetua e si conia un linguaggio che, nonostante l'invadenza dei mass media, tende a svilupparsi in modo autonomo da quello degli alfabeti, delle persone istruite, della cultura scritta. Il cortile, la strada diventano un'« altra » scuola, l'unica accessibile: una scuola dove «il bambino apprende la codificazione analfabeta della realtà». Ma si tratta « di una scuola attiva, dove ognuno insegna agli altri ciò che se fare, e apprende dagli altri ciò che si deve saper fare: in una grossa indifferenziazione di età e, per alcune età, di sesso ». Una scuola, dunque, che aiuta l'analfabeta a sopravvivere; ma non ad uscire dal ghetto. Mario Bonini
Persone citate: Gramsci, Gualtiero Harrison, Matilde Callari Galli
Luoghi citati: Sicilia
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