"Grand opera" di Meyerbeer di Massimo Mila

"Grand opera" di Meyerbeer Inaugurato il 34Q Maggio musicale fiorentino "Grand opera" di Meyerbeer «L'Africana»: un crocevia della musica teatrale nell'Ottocento - Una colorita esecuzione diretta da Riccardo Muti con la soprano americana Jcssye Norman - La regìa di Franco Enriquez non dimentica che il soggetto è un romanzo di avventure: e olire la sua parte all'occhio, aiutato dalle scene di Fiorella Mariani (Dal nostri) invialo speciali;! Firenze, 30 aprile. Per inaugurare un Festival. 0 altra consimile solennità, L'Africana (come qualunque opera di Meyerbeer) si presta egregiamente per la sua grandiosità spettacolare, per la varietà delle scene, e per 1 suoi stessi difetti di lungaggine e d'esteriorità. E' proprio quel che si dice un polpettone, ma farcito d'ingredienti stuzzicanti. Se alla lunga riesce stucchevole e genera un senso di sazietà, ciò dimostra come sia possibile annoiare per la preoccupazione di divertire sempre. Anche le parti più deboli sono percorse da' un volenteroso attivismo edonistico, che punta sulla consistenza del materiale musicale, trascurandone talvolta là elaborazione. Veni anni ài lavoro In altri termini, Meyerbeer si preoccupa sempre che in ognuna delle numerose scene (ventisei, distribuite in cinque atti) ci sia una reale sostanza d'idee musicali, senza preoccuparsi troppo della loro scelta, qualità e provenienza. E' la poetica del romanzo d'appendice': poco riguardo allo stile, ma molto ai contenuti. E tuttavia, rispetto alle folgoranti intuizioni sommarie degli Ugonot- ti e di Roberto il Diavolo. \ VAfricana, che è l'ultima ope- I ra di Meyerbeer, postuma, ti- ' rata avanti amorosamente i «opdllzceigcsn■per quasi ventanni (pare che l'autore avesse già comincialo a pensarci subito dopo Gli Ugonotti), aggiunge di suo una certa riposata lentezza, una cura quasi pigno lesca del particolare, l'affetto I dell'artigiano che non sa stac- carsi dal proprio capo d'opc ra. Insomma, è veramente il testamento del povero Meyerbeer, tanto accusato di intenti . commerciali, d'essere un bottegaio, un mercante dello spettacolo, ma che a scrivere i suoi operoni di successo impiegava tempi lunghissimi, di anm mentre gii altri — i Rossini, gli Auber, i Boi'eldieu — sfornavano regolarmente un'opera all'anno, e non di rado due. Non è possibile gridare al capolavoro, e nemmeno — come s'è detto — sottrarsi a un certo senso di noia durante i cinque lunghi atti de L'Africana. Ma nessuno che abbia il senso della storia musicale può misconoscere l'interesse di un'opera che è un crocevia della musica teatrale nell'Ottocento. L'Africana è come uno di quei grandi nodi ferroviari attraverso i quali vanno e vengono centinaia di treni, da e per tutte le direzioni. Weber e Rossini, e perfino ancora Mozart e Gluck sono lì a fornire dal passato quei luoghi comuni espressivi, quei vocaboli prefabbricati il cui cinico impiego mandava su tutte le furie Wagner e Berlioz. Ma di Wagner — il Wagner del Lohengrin e del Tannhàuser — certi particolari di scrittura orchestrale rivelano la conoscenza. La ballata del baritono nel terzo atto vuol essere, si, una esotica invocazione al dio deile tempeste Adamastor, « re delle acque profonde »; ma il suo piglio « mefistofelico » dimostra quanta attenzione Meyerbeer avesse rivolta al recente Faust di Gounod. Se gli italianismi melodrammatici si sprecano, il nobile core dei ma-linai all'inizio del terz'atto è lì per ricordare, col suo piglio quasi di corale, le origini tedesche di Meyerbeer e la sua buona educazione classica. Indiani all'assalto E poi ci sono i presagi, che guardano al futuro. I personaggi autorevoli di Don Tedio e di Don Diego, alti dignitari della corte portoghese che con la loro invidia ostacolano i generosi progetti del navigatore Vasco da Gama. parlano sempre con pom-pose melodie, per lo più doppiate dai violoncelli, che fan-no maledettamente pensare a certo tono aulico e solenne del Don Cari'} di Verdi. Qui pure c'è un'Grande Inquisito- re ch'è un basso profondo. E certa poetica melodìa dei legni che risuona all'inizio del terzo atto (e anche nell'ouverture), la pensare in modo inquietante alla Canzone del salce nell'Otello. Insomma, i motivi d'interesse musicale sono tanti, e sarebbe pazzia negarli. L'ascoltatore e quasi schiacciato dalla continua preoccupazione di tener desta la sua attenzione,e là dove questa insistenza ottiene il risultalo contrario,l'esotismo strampalato delsoggetto e la varietà dellescene provvedono ad allevia-re la noia dell'ascolto. Sicchépar giusto, venendo a parla-re della buona esecuzione che l'opera ha avuto al Teatro Comunale, cominciare pro¬prio dall'aspetto visivo dellospettacolo, che molto ha con-iribuito al successo. Le scene di Fiorella Mariani e la regia di Franco Enri-quez prendono l'opera per il suo verso, per quel romanzacelo d'avventure che è, senza cercare di cambiare le carie m tavola con sofistiche in- Pre felici. Un solo appunto non può essere taciuto, e ri guarda la celeberrima roman z«- « 0 paradiso », che Vasco da Gama canta nel quarto at terpretazioni. L'Africana è un « grand opera »; e nel « grand opera» l'occhio vuole la sua parte. Qui ce l'ha in abbondanza, e tuttavia senza che lo spettacolo prevarichi sull'attenzione alla musica. Terzo, quarto e quinto atto re-I cano grandiose scene di mare i e di paesaggio esotico, quasi I intese come illustrazioni salgariane. Nel terzo ulto un I colossale veliero occupa la scena, sballottato dalle onde. I suoi fianchi si aprono, e se ne vede l'interno, con tutli i personaggi disposti in bell'ordine. Alla fine dell'atto gli Indiani sbucano dalle scogliere e salgono all'arrembaggio. Nel quarto atto abbiamo i templi misteriosi degli indiani nella profondità misteriosa della giungla. Nel quinto atto, per la spiaggia tropicale dove la protagonista verrà a cercare la morte aspirando i velenosi aromi dell'albero di manzanillo, la scenografa ha azzeccato un felice paesaggio con toni poetici di arcadia esotica, che sembrano alludere ad un giusto richiamo letterario: Paul et V'irginie di Bernardin de SaintPierre. Dentro queste scene appropriate la regia di Franco Enriquez muove i personaggi ■e le masse con estro divertente e con trovate quasi sem¬ itsrhslbccltmdssssbvmto, quando inoltrandosi con pochi soldati nella foresta vergine perviene alla radura in cui sorgono i templi indiani. Questa romanza vuole esprimere la poesia del coloniali- sm0: l'ebbrezza dell'esplorato re ch.e s'inoltra in terre di di vin:l bellezza, e sogna l'avve mre nuovo che' quasl un Faust dell'imperialismo' coloniale, egli vuole introdurvi («Nostro è questo terreno fecondo ' Che l'Europa può tutta arricchir! »). Direttore e interpreti Ora è chiaro che un simile slancio di entusiasmo lirico presuppone la solitudine: Vasco da Gama dev'essere solo, coi suoi pochi soldati, e penetrare nella terra misteriosa senza scorgervi anima viva, ma solo quei templi e quelle pagode che testimoniano di una presenta umana, d'una civiltà forse scomparsa. Invece Enriquez gli fa cantare la sua romanza in presenza d'un plotone di bramini indiani, schierati in pompa magna davanti ai templi. Essi aspettano pazientemente ch'egli abbia finito di cantare la sua romanza, poi gii volano addosso e lo prendono prigioniero. Quasi si vorrebbe pensare ad una svista avvenuta alla prova generale, e che in seguito il regista abbia provveduto ad assorbire quegli importuni dietro le quinte, o nasce nderli tra le piante e i cespugli, o dentro le mura dei templi, per poi farli prorompere fuori urlanti, all'inizio della scena terza, quando Vasco ha finito la romanza. Per chiudere con la parie visiva dello spettacolo, ricordiamo il balletto del quarto atto, che non ha grande importanza, e la coreografia di Aurei Milloss non si è sforzata di attribuirgliene; prima ballerina la brava Marga Nativo. Sotto la direzione attentissima, fervida e colorita di Riccardo Muti, che ha fatto dell'orchestra fiorentina uno strumento compatto e docile ai suoi voleri, l'opera ha avuto un'esecuzione musicale assai soddisfacente, con una protagonista straordinaria nel soprano Jessye Norman: una americana di colore, lanciata da Menotti in alcuni concerti dell'ultimo Festival di Spoleto. E' una cantante di dimensioni e volume d'altri tempi: eppure nessuno se n'accorge, nessuno ci bada, tanta è la perfezione dell'emissione vo- I ' cale, la dolcezza delle mezze ] inile, la pastosa ricchezza dei toni gravi, eccezionali in un soprano, con cui il suo canto rapisce l'ascoltatore. Accanto a tanta artista non ha sfigurato la nostra Mielta sigliele, che rappresenta Inez, : l'altra delle due dònne, la | bianca, tra le quali è stirac- j chiato Vasco da Gama. Nel \ celebre duetto femminile dell'ultimo atto, a singhiozzi alterni, una pagina che non manca di originalità vocale c di efficacia espressiva, i due soprani gareggiano armoniosamente, con ottimo risultato. Pare che per eseguire quest'opera il gran problema fosse il tenore, e si diceva che I bisognasse andarlo a cercare \ verso il Polo Nord, per lo meno in Svezia o Norvegia, I tra i successori di Jussi Bjòr-ling. Poi ci si è accontentati d'un tenore nazionale, Veria- no Luchetti, un giovane, non ancora mollo conosciuto, che tutto sommato se la cava di¬ screlamente e trova quiun'oc casione d'oro per affermarsi in modo autorevole. Un bel l'elogio si merita Gian Giaco- mo Guelfi, questo baritono che cosi spesso tartassiamo e strapazziamo perché ( beato lui! ) avrebbe « troppa voce ». Del personaggio quasi grottesco di Nelusko, il fedele e de¬ perciò simile a una trasposi zione seriosa dell'Osmino uni zartiano, egli riesce a fare una creazione quasi credibile, voto spasimante indiano di Selika, sempre furibondo con- teo Cristiani ed Europei, e dolala perfino d'alcuni improbabili accenti di tenerezza, Anche l'autorevole Don Pedio del basso Agostino Ferrin va ricordalo con lode, ma tutti i numerosi interpreti, e precisamente gli altri bassi Gianfranco Casarini (Don Diego». Graziano Del Vivo ( 1 Inquisì- \; j tore) e Mario Rinuncio (Gran sacerdote di Brahma 1, il tenore Dino Formichini, il mezzosoprano Giuliana Matteini, Ottavio Taddei, Vallano Natali | e Mario Frosini, tutti hanno j contribuito al buon risultato \ dell'esecuzione, come pure il , coro 'cne nell'opera è larga- \ mente impegnato, se pure in funzione soltanto decorativa). Iistruito da Adolfo Fanfani. Folio pubblico, vivo successo. Massimo Mila

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