Gli affari e la corona

Gli affari e la corona COME SI FA UN PRESIDENTE : LA CORSA AL QUIRINALE Gli affari e la corona I grandi tecnocrati e finanzieri hanno un peso sulle candidature: Einaudi nel 1948 ebbe l'appoggio della Confindustria e della Banca d'Italia Ma i grandi «principati dell'economia» contano meno di quanto comunemente-si creda: Enrico Mattei nel 1962 non riuscì a far rieleggere Gronchi; oppure si elidono a vicenda, restituendo l'autonomia ai capigruppo • E molti industriali, lamentava Costa, «preferiscono non fare politica» Questo articolo conclude Ih -i- ululi parti- dell'Inchiesi» di Vii Iorio dorresti) su « Coinè si tu un prcMdunlc » in lutila: In sette puniate exit ha esaminalo gli elemcn il che ricorrono nella stratcKia della « corsa al (yulrlny. le ». Tra il 17 febbraio e l'tl marzo era uscita la prima parte dell'inchiesi», la stona delle elezioni presidenziali dal referendum istituzionale a Saragal. Fra poche settimane seguirà una terza parte, mi; candidati all'elezione del prossimo dicembre e sul Kloco delle previsioni. le ma, aprile. « (ilici i racconto io la stona della ini» proposta per un governo tipi " superitirettorio " — come lo definì rono i comunisti — della quale si è tanto parlato l'anno scorso e che ci avrebbe condotto alle porte di una Repubblica presidenziale. E' andata cosi, né più né meno», mi ha detto un giorno il presidente del Senato Armature rafani. Il 12 marzo 1970. dopo che Von. Mariano Rumor aveva presentato a Saragat le dimissioni del suo secondo Gabinetto (vissuto dal 6 agosto 1969 al 7 febbraio 1970) e dopo che Von. Aldo Sloro aveva inutilmente tentalo di costituirne un altro. Fanfani aveva ricevuto un « preincarico» governativo. In tali casi si presentano questioni che à sempre lungo e complicato arrivare a risolvere, ma Fontani ci si mise d'impegno come al suo solito ed il IH marzo lece chiamare — fra gli altri — il governatore della Banca d'Italia Guido Carli: « Volevo Interpellarlv sul problema del potere di acquisto della lira, anche perche mi aveva colpito il fatto che dieci giorni prima Carli a Moro aveva detto che le difficoltà congiunturali potevano essere dominate senza bisogno di ricorrere ad una politica deflazionistica. Mi interessava, capisce?». Pareri di Carli Guido Carli gli fece un discorso tutto concreio. secondo il quale noi avremmo avuto urgente bisogno di trovare sul mercato finanziario internazionale la disponibilità di un prestito di centinaia, se non migliaia di milioni di dollari, e che essa era condizionata dall'esistenza in Italia di un governo che avesse « caratteristiche di stabilità, prospettive di durevolezza e congruità di impegni programmatici lino alla fine della legislatura ». Fanfani allora immaginò che il miglior modo per soddisfare a cosi grandi esigenze fosse quello d'includere nel governo i segretari di tutti e quattro i partili della maggioranza: « Mi risposero tutti subito di no. f socialisti mi dissero che lo statuto del loro partito lo j precludeva, e a De Martino i io replicai che se lo potè- | vano bene cambiare. Ma an- | cora peggio fu coi miei del- I la de: Fiorentino Sullo par lo di un Consiglio di Gabinetto che avrebbe imbavagliato i partiti assoggettan doli alle decisioni dei loro leaders presenti nel mover no. e Carlo Donat-Cattin definì la mia proposta un'in ;! ji\! j i | | I giubata concentrazione di poteri che avrebbe confiscato 1 partiti avviandoci a forme di Repubblica presidenziale paragollista. Mah. Poi ci fu tutta una manovra di Giulio Andreotti che preferisco non ricordarmi ». Cosi Fanfani il 19 marzo restituì il suo preincarico a Saragat. perché egli pensa- I va come Carli che le esigenze esposte dall'alta finanza in senso di stabilità del au verne. prospettive di durevolezza e congruità d'impegni 'fossero condizioni — come si dice — irrinunciabili. Era naturalmente tutto a fin di bene, ed lo difatti cito la storia dt quella lunga crisi governativa (7 febbraio27 marzo 1970) solo per osservare che essa non s'imperniava sulle questioni appariscenti delle Giunte regionali o del divorzio o del Concordato, come si diceva, ma su ben altre delle quali si facevano portatori i grandi banchieri ed i grandi tecnocrati, personaggi di primo piano nella nostra vita politica, in qualche modo condizionatori di tutte le scelte essenziali e pertanto partecipi anche nelle determinazioni per la nomina di un presidente della Repubblica. Il buon allievo Non fu per caso che nel 19-IK. Vanno in cui la Confindustria che aveva flnan; ziato la vittoria àemocrlstia! nii del 1S aprile salì al masj simo della sua potenza, vei ntsse eletto Luigi Einaudi \ a capo dello Stato. La di ! fui collocazione conservatrice sul plano della politica economica era nota, e un desiderio di continuità fu provato dal fatto che a succedergli al ministero del Tesoro e del Bilancio ad ime rlm venisse pr»«c»»o l'onorevole Giuseppe Pella. già ministro delle Finanze, considerato il migliore discepolo, del neo-presidente della Repubblica. Scrisse difatti '< Corriere della Sera il 1S \ maggio: « Il Paese si augura che — salve le prerogative costituzionali — l'onorevole Einaudi acche dall'altissimo ufficio al quale è stato destinato tra 11 plauso di tutti abbia a confortare con il suo vigile consiglio chi porterà il peso della sua sostituzione». Un altro tipo d'intervento finanziario ■ tecnocratico in fatto di elezioni presidenziali mi è stato raccontato in' questi giorni dal senatore a vita Giovanni Leone: * Esso è accaduto a mio danno — per fregarmi — mi scusi la parola. Nel dodicesimo scrutinio. Il 22 dicembre 1964, mi vedo cascare addosso 1 voti dei missini. Mando a chiamare il loro capogruppo Giovanni Roberti e gli dico: "Ma questo è 11 bacio della morte! ". e sa Roberti che cosa mi rispose? Semplicemente, ah, va bene, stringendosi nelle spalle ». Dentro Montecitorio corse la voce che i missini avessero volato Leone proprio allo scopo di squalificarlo, e che ci* sarebbe | avvenuto per ordine del forte cemeptiere bergamasco ingegner Carlo Pesenti. il quale invece preferiva Amintare Fanfani come quinto presidente della nostra Repubblica. Di voci simili è ovviamente impossibile accertare Ve- sattezza. ma il dottor Nino Valentino, già segretario del senatore a vita Giovanni Leone, testimonia nel suo bel libro La battaglia per «1 Quirinale I Milano. 19651 che affaristi e tecnocrati in qualità di eminenze del mondo economico Italiano sono importanti kingmakers nelle ricorrenze delle elezioni pre- e r e i i b o e i io sidenziali. comportandovisi con la stessa disinvoltura con cui si trattano gli affari q. si stipula un contratto di forniture. Franco Briotteo. dirigente del Servizio delle relazioni pubbliche dell'Eni, ha tuttavia tenuto a precisarmi giorni fa che l'influenza dei grandi e dei grandissimi della categoria è assai minore di quanto si creda. Sostanzialmente, dice Briatico. ne hanno di più gli imprenditori di medio livello. Dovere di pagare / grandi ed i grandissimi della finanza e dell'industria — tanto privata quanto sta. tale od a partecipazione statale — praticamente sono già quotati in partenza per il finanziamento dei partiti, nessuno escluso fra quanti ne esistono. Onesto fa sì che i partiti riscuotano le debite sovvenzioni quasi credendo di valersi di un diritto acquisito che nemmeno comporta la resa di un servigio. Essi, cioè, ritengono di essere affrancati dai «grandissimi» per diritto politico. Gli imprenditori medi, invece, intervengono occasione per occasione comprandosi un partito od un gruppo di parlamentari sul momento specifico di una scelta determinata: a Cosi finiscono per spendere meno e ottenere di più ». sospira Franco Briatico che paga spese fisse permanenti. E' del medesimo parere il presidente della Confindustria Angelo Costa che un giorno raccontava ad Alberto Cavallari icfr. Il potere in Italia. Milano 1967. pag. 53>: « Molti industriali hanno imparato a farsi incentivare ed a tacere. Hanno capito che versando un po' di soldi ad un partito si può avere un privilegio ». Un'altra prova che l grandissimi talvolta non riescano a spuntarla è data dal fatto che il superpotente Enrico Mattei, fondatore e presidente dell'Eni, il quale sembrava che tenesse in pugno tutta l'Italia — dal suo Parlamento ai suoi partiti —. fallì nel 1962 nel tentativo in cui si era strenuamente impegnalo di far rieleggere Giovanni Gronchi alla presidenza della Repubblica, contro Segnt e contro Saragat. Si può immaginare come allora premesse Enrico Mat lei — con quali mezzi cioè — eppure Gronchi si sostenne a malapena sulla, quota di una quarantina di voti nel giro dei primi set scrutini e addirittura crollò a 29 nel settimo, sabato 5 maggio 1962. Il pomeriggio del giorno dopo, furibondo. Mattei si congedò dai suoi collaboratori: « Me ne vado da Roma, me ne vado perché se rimanessi non so' cosa farei, potrei fare del male addirittura all'Eni ». Uscì sbattendo la porta del su.) ufficio situato allora al primo piano di un palazzetto in via Tevere 11 e si infilò in automobile per correre a sfogare la gran rabbia alla pesca di trote nella sua bella riserva di Anterselva t Bressanone). Morto Mattei sei mesi dopo la sconfitta (il 27 ottobre 1962 a Bascapè. Pavia) i grandi principati economici italiani come l'Eni, Viri. l'Enel e la ridimensionata Federconsorzi sono a tutfoggi assoggettati all'uso del finanziamento obbligatorio ai partiti e costretti, dopo i ferramenti a fondo perduto, a negoziati ed esborsi aggiuntivi volta per volta. Si dice che il primo esempio sia stato fornito dal Movimento sociale italiano, che in marzo del 1960 presentò i conti a Fernando Tambroni: per dargli il voto di fiducia, l'onorevole Arturo Michelinl avrebbe allora chiesto 12 milioni di lire al mese di sovvenzione per la società Editatici, a responsabilità limitata, proprietaria editrice del Secalo d'Italia, quotidiano del msi. e poi contratti con li Spi (Società per la Pubblicità in Italia) coperti dalla garanzia dell'Eni, del Monopolio tabacchi, del Monopolio banane (ancora esistente allora), dell'lri e di altre aziende statali o a partecipazione statale, e finalmente l'impegno pubblico di pagare le spese della campagna missina per le elezioni amministrative di quell'autunno (6 novembre). Macchine costose in realtà i partiti politici sono costosissime macchine che hanno la struttura di grandi complessi industriali: « Apparati formidabili, filiali in ogni piccolo paese, bilanci pazzeschi — diceva un giorno Cesare Merzaaora scandalizzato ad Alberto Cavallari rop. cii. pag 41) —. Sono paragonabili, a monopoli od oligopoli di proporzioni favolose (...) Sono eie fantiache companies che devono affrontare un problema di costi sempre crescenti e perciò sempre più condizionate dai problemi del ruianzlamento. Sono macchine per fare soldi e perciò sempre meno eilìcie.i . politicamente. Invece di comandare nel quadro di uno Stato, spesso ubbidiscono ai loro finanziatori». Non sempre, tuttavia, come abbiamo già visto nel caso del povero Enrico Mat¬ t tei. vano sostenitore di Gronchi. Inoltre sembra che le spese del congresso democristiano di Napoli in gennaio del 1962 siano state sostenute dagli industriali elettrici privati, i quali poi si videro nazionalizzare le loro aziende (il 6 dicembre 1962 con legge n. 1643) proprio dal governo Fanfani che successivamente risultò da quel congresso. Attorno a Segni Però, in compenso, essi ricevettero altissimi indennizzi e in pili l'elezione a presidente della Repubblica di Antonio Segni, nonottante la fiera battaglia contraria condotta da Mattei. E' anche da dire che partiti senza dubbio pertinenti all'area della cosiddette destra economica — come il pli ed il pdium — nei giorni della preparazione della nomina di Segni avevano fallo sapere icfr. La Stampa del 26 aprile 1962. prima pagina) che essi non si sarebbero opposti «ad una conferma di Gronchi che si fosse presentata come una valida alternativa alla candidatura di Saragat ». Mi sembra in questo modo dimostrata l'incertezza delle valutazioni possibili sulle preferenze dell'alta finanza e della grande tecnocrazia nel merito dell'elezione di un presidente della Repubblica in Italia. Si tratta di forze certamente potentissime, che tuttavia Arascono spesso per elidersi a vicenda nel gioco inteso a imporre l'uno o l'altro candidato. In ordine sparso Nulla, infatti, appare più vero dell'esistenza di un (or.tratto di interessi fra i grandi monopoli e ola/opali: ne deriva una cerca elasticità ideologica della destra economica che i diversi partiti politici sono abilissimi a sfruttare riuscendo a garantirsi una relativa propria indipendenza, checché ne penti Cesare Menagora e checché Guido Carli possa andare a raccomandare a un presidente del Consiglio pretnearicato. Era quindi nel giusto Angelo Cotta, il quale disse a Cavallari: « Noi non stentiamo a fare una politica solo perché troviamo dall'altra parte governi non disposti ad ascoltarla. Stentiamo a farla anche perché molti Industriali preferiscono non farla», e cioè non arrivano ad avere una visione unitaria che dal più al meno li condizioni e li interessi tutti. Essi pertanto scendono a combattere al coperto ma in ordine sparso, spe. :t sparando gli uni contro gli altri a vantaggio uomini politici molto più furbi di loro, l'anali in tanta concorrenza trovano conferma della verità del vecchio adagio secondo il quale l'occhio del padrone ingrassa il cavallo. Nello stesso modo la gran finanza fa ingrassare i partiti anche al momento dell'elezione di un Presidente della Repubblica. Vittorio Gorresio «I precedenti articoli della seconda parte dell'Inchiesta sono stati pubblicati 11 IT e 30 mario, 11 1°. 3. 6 e 10 aprllol. Roma. Il governatore della Banca d'Italia. Carli, e il ministro Colombo ad una cerimonia in Campidoglio (Foto Team)