Tanti amici per Montale di Massimo Mila

Tanti amici per Montale Incontro con il poeta al Circolo della stampa Tanti amici per Montale L'autore di « Satira >. ha letto un suo inedito - Un vivace intervino di Massimo Mila: « Perché un poeta così moderno ama la musica vecchia?» - «Pe <■ usativi personali. Voi*"*.; fare il cantante» L'incontro con Eugenio Montale era stato annunciato per le 18. e già alle cinque e un quarto, davanti alla sede del Circolo della stampa, si eraro formati i primi capannelli. Erano giovani, ragazze con le copie di « Satura » sotto il braccio. Sopra, le persone previdenti avevano cominciato a prendere posto da qualche minuto. Si e riempito il grande salone centrale, tutte le salette circostanti, l'atrio, le scale, il bar. Quando il vecchio poeta si è presentato, al braccio di Domenico Porzio, è scoppiato un lungo applauso. Dopo l'uscita del suo quarto Ubro di versi. Montale aveva ricevuto parecchi inviti, in Italia, e aveva detto di no a tutti, perfino a un grande teatro di Milano. Ha voluto fare un'eccezione soltanto per Torino: la citta dove, quarantasei anni or sono, avevano visto la luce gli « Ossi di seppia », nelle edizioni di Gobetti. Ma forse non pensava di trovare tanto entusiasmo per la sua poesia nei nuovi giovani. Il poeta si e seduto al tavolo sorpreso, quasi interdetto. E ha ascoltato in silenzio gli interventi dei vari interlocutori; compresa la fine analisi di Lorenzo Mondo, che ha sottolinealo la continuità della poesia di Montale, anche' nelle novità, nelle apparenti rotture stilistiche di « Satura ». ultima cantica di un unico poema. E' venuto il turno di Renzo Glovampletro. che ha fermato l'attenzione dell'uditorio con la lettura di alcuni fra 1 più colloquiali degli « Xenia », soprattutto con le poesie più erosive sulla «Storia». Il pubblico sentiva quelle parole cosi dense di significato attraverso la magia dell'attore, la sua partecipazione era trasparente negli sguardi di tutti. Eugenio Montale sembrava assorto, solo con se. Ma poi ha preso la parola Massimo Mila, a lo ha co- stretto a venire allo scopar-1 gto. Il musicologo ha finto di .drivolgersi semplicemente al musicologo, e ha finito per coinvolgere, e provocare, il poeta. «Montale per me è soprattutto un collega, nella critica: dove ci dividono due concezioni assai diverse, lo sostengo la musica moderna, lui la attacca: ama quel repertorio che lui stesso, scherzosamente, definisce della musica brutta. Ora to gli voglio chiedere: come poeta, si sente antico o moderno?». Un momento di Imbarazzo nella sala, qualcuno, ammiratore troppo zelante, sembra avere perfino uno scatto di impazienza verso un cosi irriverente interlocutore. Ma Mila ha calcolato bene l'effetto: « Perché se nella musica lui si ritiene all'antica, to dico che nella poesia non c'è nessun autore moderno come Montale. Per gli uomini della mia generazione gli "Ossi di seppia" e le "Occasioni" erano la poesia dell'avvenire: non del passato ». Adesso il pubblico respira. Ma Mila non sembra ancora contento, e ritorna all'attacco. Ricorda un recente articolo di Montale, in cui, a proposito della poesia francese del Trecento, il poeta non si lascia sfuggire una frecciata contro quel « fiammlnghlsmo » di cui sarebbe malata la musica contemporanea. « lo invece amo questo fiamminghismo — dice Mila —. E il fiammingo più fiammingo della poesia moderna è proprio lui. Eugenio Montale, nelle ultime liriche di "Satura"». Il critico musicato è spietato, scava la poesia nota per nota, rovescia le strutture apparenti dei versi per mettere a nudo i compiacimenti metrici formali, gli endecasillabi in agguato anche sotto i versi all'apparenza più discorsivi, trova le rime che erano sfuggite perfino all'autore. Provocato con armi cosi sottili, e au un terreno cosi esclusivo. Montale è costretto a rispondere. Se qualcuno temeva che le battute di Mila fossero state troppo pungenti, il poeta dimostra di essere stato il primo a gradirle. « E' vero — dice — a me piace quella musica che Mila trova brutta. Mi piace il repertorio operistico dell'Ottocento, tn quegli esempi che la critica moderna ritiene t peggiori. Ma io amo quel repertorio per motivi personali, biografici. Non bisogna mal dimenticare che to ho cominciato come can tante, anche se sono un cantante fallito: e proprio tn quelle opere "peggiori" trovavo le mie parti. Non si rinnegano le proprie origini. Quando uno si è sentito Jago o Scarpia poi non fa volentieri l'Ulisse di Daltaptccola». Si ferma un attimo, sorride indulgente verso se atesso: « Il vecchio gigione che <" In me sopravvive ancora». Nessuno ha avuto il corag- gio di rivolgere direttamente domande al Montalo poeti, ma egli si rendo conto di do- ver soddisfare !« curiosità presente in mille occhi. E comincia a dare notizie sul suo lavoro, spiega come e nata questa Satura dopo un silenzio durato 14 armi, dal brevi epigrammi che egli cominciò a pubblicare sul suo giornale, in fondo agli elzeviri; ricorda il valore di diario che rappresenta per lui questo libro: « Da non leggere a pagine slaccate, ma tn modo continuativo, perché è una confessione sola». Montale accenna alla possibilità che questa quarta raccolta abbia un seguito e, infine, si decide: cava di tasca un foglio, legge una composizione inedita. Le pie- f e che trascolorano. La vo ce del poeta è affaticata, la lettura rotta dalia difficoltà di orientarsi in quell'originale con tante varianti, deve fermarsi, tornare indietro. Ma la suggestione e straordinaria: è una poesia ambientata in un Levante insieme chiaro e magico, doye il paesaggio dei cedri del Libano si è sostituito al tradizionale Mediterraneo di Liguria; solcata di risonanze musicali interne, di allacciamenti appena suggeriti. Il pubblico è tutto fermo, segue le mani del poeta che tremano mentre cercano un verso scritto sopra l'altro. E. alla fine, è l'applauso della riconoscenza. Giorgio Calcagno Montale, di Levine (Cop>rt*]>l N.Y. Kivlcw ut Bool». Opera Muntll e per l'Italia La Stampa)

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