Vita e morte di un killer di Michele Tito

Vita e morte di un killer SICARI, AVVENTURIERI E CAPI DELLA MAFIA Vita e morte di un killer Si può finire come un sicario di mezza tacca al bordo della strada - Ma c'è anche chi ottiene la «end di lusso» che aveva sempre sognato Michele Cavataio fu crivellato di pallottole al termine di una battaglia, con i suoi uomini al fianco, sotto la luce dei riflettori puntati dai nemici La stessa madre aveva paura di questo grande uccisore: eppure era entrato nel mestiere perché, debole e goffo, una ragazza lo aveva beffato Dal nostro inviato speciale 1 Palermo, marzo. L'uomo ucciso all'alba di giovedì scorso sulla soglia della propria casa, alla pe riferia di Palermo, era un killer di poco conio. Si chiamava Francesco Di Martino, aveva cinquantaquattro an ni e ancora era un gregario. Solo una volta aveva potuto vedere il capomafia. Pietro La Torretta. La sua morte è stata quella che spetta agli uomini di * mezza lacca »: colpito mentre metteva in moto il, proprio motorino, è rimasto con le gambe incastrate nelle ruote, il-viso affondato nel fango. Il primo podere Era nato povero, da gio vane aveva lavoralo negli agrumeti di Uditore. Un giorno gli fu detto che era sotto la protezione di Pietro La Torretta e si trovò a possedere un podere. Pietro La Torretta conquistò le aree fabbricabili e Di Martino si trovò ad essere guardiano di cantieri edili e campiere di fonti di personaggi importanti. Non doveva lavorare, bastava che si sapesse intorno che c'era lui. il oro tetto di La Torretta. Per anni non gli si chiese niente: quando gli wicque la prima figlia ed ormai non poteva rifiutarsi fu chiamato dal luogotenenti di La Torretta: un guardiano protetto da nemici del capo venne ucciso, altri due mafiosi di bande rivali furono fulminati. Ma quando Pietro La Torretta fu eliminato dal dominio di Palermo e i grtr. di capi erano dispersi, cht in prigione, chi al confino, chi soppresso da nemici, e tra vecchia e nuova mafia c'erano intrighi, tradimenti e un continuo farsi e disfar si di bande. Francesco Di Martino — •? parere di mol ti — sognò di diventare un capo. Fu invitato a rimane re al suo posto di complice oscuro. Poteva ora assoldare killers per conto proprio. Li cercò, non li trovò: l'hanno ucciso quando aveva perduto ogni speranza e aveva detto agli amici: « Io ho la mia terra, voglio coltivarla e basta a. Nessuno lo vendicherà. Un killer nasce in tanfi modi. Ma l giovani che si reclutano a Mesi, a Raffadali. a Ravanusa. nelle campa gne di Trapani e negli antt chi bianchi paesi arroccati sulle Nebridi, scelgono la sicurezza nell'obbedienza. Sanno che c'è un tirocinio da tare, credono nella malìa e nelle sue gerarchle. Quando diventano guardaspalle c'è la ricchezza: quando si muore prima, la fedeltà della vittima merita alla sua famiglia la protezione dei potenti. Gli ultimi killers uccisi si chiamano Francesco Sutera. « ti duro »: Giovanni Donè. umile e servizievole: Salva tore Bevilacqua, legatissimo alla vecchia madre, vessato da uno zio autoritario: lavorava per duemilacinque cento lire al giorno ed era \ felice quando lo chiamavano per un'Impresa notturna, a diecimila lire per notte. Nessuno di loro aveva più di trent'anni. ma avevano mogli molto belle: se l'erano scelte con l'aiuto dei caplmafla e le avevano sedo' le col loro mestiere Fruii- e- sco Tumminello era giunto t a quarantaquattro anni, e aveva guadagnato il diritto a scegliersi l'arma di cut servirti:, aveva tata pistola per Vestu.e. p-icot - con.la fodera bianca, e una per l'inverno, grande, col fodero di pelle. L'esilio americano Può accadere che un capo decada, come Gaspare Mannarino che, patente a Caslellammar? del Golfo, fu costretto a fuggire chiudesti namente in America. Un cugino. Johe Bananas. lo costrinse al ruolo di killer e gli impose di uccidere uomt- ni della banda di un altro |cugino: « Se vuoi vivere qui. questa è la legge. I Mannarino sono tutti infami ». Don Gaspare fu impiegato come cuoco ol « Cypres Garden » di Brooklyn e nel dicembre scorso sparò contro tre siciliani. La polizia americana |cercava un siciliano immi- jgrato clandestinamente: tro- no in un vicolo di Brooklgn Idispute Mannarino, tatto Iuccidere, a sessant'anni. dal suo protettore Johe Bananas perché s'era illuso di torna- re ad essere un capo. | Michele Cavatalo è invece il timbolo della riuscita. La sua fine, il 10 dicembre scorso, è stata come l'aveva sognata: la sua famosa «Cobra special» in pugno, ucciso non a colpi di lupara, mà da decine di pallottole di mitra, al termine di una battaglia, con gli amici a fianco e gli avversari dt fron te. Insieme a lui morirono negli uffici di un'impresa edile, quella "ra. cinque perso*. I nemici, erano ce ! nuli a- cercarlo ,\-ir.ero.si. , travestiti da agnini :i poli iis e il duello durò a 'ungo, noi <■'/ buio di un vicolo d.i periferia, ma alla luce intensa di riflettori che gli assalitori avevano appositamente acceso. Era il grande uccisore di cui raccontano che anche la madre avesse paura: per vent'anni aveva mandato denaro alla famiglia d'origine, poverissima, per vent'anni la madre Ta veva respinto: « Non è vero — dicera — non è denaro di mafia, è denaro di san gue ». Aveva subito molti processi, oli attribuiscono almeno diciotto delitti certi. Non veniva dalle campagne. Nel IH il rione dell'AC quasantn era abitato da po verissima gente. Era in pe- riferia. la periferia di una eiffó devastata dai bombar damenti. Sorgevano, distan fi l'uno dall'altro, edifici cu pi. slabbrati, circondati di /aneto e di pozzanghere. Mi chele Cavataio giocava nei corti!' scuri dei caseggiati ed era sempre, nei giochi. Il | più debole, sempre il perdente. Cercava le ragazze, ne era respinto perchè goffo e. quasi sempre, inutilmente violento. Lo deridevano per la sua lesta grande e la sua già grossa pappagorgia. Un giorno si presentò a una ragazza con una pistola nelle mani. « E' nuova di zecca, posso sparare ». La ragazza gli strappò la pistola di mano e gliela puntò contro: « Vuoi provarti? — gli disse ! ironica — ^uori.c'è tanto da , fare,,se sei un .uomo». Michete Cacatalo riprese la pistola, scappò di corsa e la ragazza apprese, verso sera, che aveva ucciso un uomo. Un capo moderno Michele Cavataio aveva diciassette anni. C'erano, a quell'epoca, quattro cosche che si contendevano il controllo di Palermo. I capi del| la mafia erano ancora I pionieri che. dalle campagne, venivano a Palermo a tentare la conquista dello città. Tra tutti il più prestigioso era Pietro La Torretta, un capo duro ma generoso coi suoi e circondato dalla fama di « moderno »: era. cioè, un uomo che non aveva verso 1 giovani le diffidenze det mafiosi, e non imponeva loro, come lutti gli altri tacevano, le prove lunghe, mortificanti di un tirocinio interminabile. A don Pietro si rivolse Michele Cavataio. e gli si presentò carico d'armi: mostrò una pistola, un mitra, un fucile, pugnali. Mostro tutte queste cosa a don Pietro che seguiva immobile, impassibile la scena. Erano in una baracca nei pressi del porto, il capomafia era circondato da tre o quattro « guardaspalla »: Michele l'aveva raggiunto non si sa come, era entrato spalancando la porta della baracca, una pistola tn pugno, e aveva detto: « Salute, io sto qui ». Poi. mentre mostrava le armi, perse via via il coraggio, e dinanzi a don Pietro freddo e muto cominciò a balbettare. « Sono al vostro servizio — cercò di dire — nessuno sa usare le armi come me » Don Pietro si rivolse a uno dei suoi e domandò chi fosse quel ragazzo. Nessuno lo sapeva, e ti capomafia trasse dalla tasca il portafogli, pre se alcuni biglietti da mille e li mise in mano a Michele « Non so che vuoi da me. e roba che non mi interessa, ma se hai bisogno di soldi, eccoli a. Un altro capomafia. An- . a ..■•'.'o La Barbera, senti par lare di Michele Cavatalo, e cercò di averlo con se. Il ragazzo ebbe un colpo di genio: non si fece assoldare. si tenne a dispostztone e tra rapine, furti, processi, assoluzioni attendeva il momcn io giusto Aveva pensato di organizzare utux propria baud di killers e poi offrirsi al miglior offerente: aveva venticinque arni quando disse a Pietro La Torretta: .. Non mi Importa di essere un ca ponr.uìa. ma mi vendo caro ». L'accordo era ancora difficile e Michele immaginò un delitto clamoroso per farsi valere. Il mercato ortofrutticolo era governato de Gaetano Garatolo. cui Salvatore Caraollo faceva la guerra. Michele andò a cercare Gaetano Garatolo. lo prese sottobraccio e si mise a passeggiare con lui tra i padiglioni del mercato. Passeggiavano e conversavano. Una raffica case Garutolo: Michele che Il era astaco rimà&é incolume, ostentò sorridendo la propria calma. Tutti capirono che egli aveva organizì zato l'assassinio, e capirono j che era un killer ormai da ; inquadrare. Lo assunse Salvatore Ca! raollo. che era un mafioso j all'antica, con i suoi riti, il culto delle gerarchie e una nostalgia per la campagna che lo assaliva ogni tanto e lo rendeva meno duro nelle lotte per il dominio della città. Distribuiva il denaro a seconda dei bisogni del suoi fedeli, si fermava dinanzi agli affetti familiari dei suoi uomini. Esitò una volta a dar l'ordine di uccidere, esitò una seconda volta: allora Michele Cavataio lo abbati donò. Questa volta fu Pietro La Torretta a pregarlo di lavorare per lut, e dovette piegarsi alle sue condizioni: i luogotenenti del capomafia venivano scavalcati, il prtmo luogotenente era lut. Michele: gli veniva ricorosctuta una certa libertà di agire in proprio: era padrone di avere le frequentazioni, anche femminili, che gli piaceva. Fu cosi che Palermo conobbe le sparatorie di nuovo tipo della Une degli Anni Cin quanta e dei primi degli Anni Sessanta e le vecchie regole furono sconvolte e nelle strade dei quartieri nuovi si moriva per mitra e per tritolo. Arati prestigiose Michele Cavataio. processato, assolto, latitante, pene trava ovunque, assumeva la gestione della mensa dei can tieri navali, e controllava 1 cantieri. Ci sono molte leggende intorno a lut e torse è anche una leggenda quella che riferisce delle sue letture preferite- leggeva molti libri che narrano dei grandi capitani di ventura del Rinascimento: « Io sono — raccontano che dicesse — còme Giovanni dalle Bande 1 Nere». E curava una colle- zione d'armi modernissime. Egli stesso, dicono, raccontava d'aver fatto piangere un ufficiale dei carabinieri che aveva visto una sua pistola a caricatore multiplo venuta dall'America. L'ufficiale l'aveva studiata e lungo e. sconfortato, aveva detto: « Come possiamo combattervi? Queste armi noi non le avremo mai ». Al centro del conflitto tra vecchia e nuova mafia. Michele attendeva che i grandi scompcrisserc. « Come facevano 1 soldati romani? Eleggevano i loro imperatori. Il vero capo lo nominerò io ». E' lui il killer che ha sconvolto tutte le regole antiche, è il solo che si sia rifiutato di rispettare la norma secondo cui le vedove e l figli degli amici uccisi vanno proletti e aiutati, è stato il primo ad abbandonare gli abiti modesti dei mafiosi di origine contadina. «Ritorna presto» Si fidava di un uomo solo, di Angelo Taormina: con lui fu sorpreso nell'ottobre del '63 in una galleria sotterranea cui si accedeva attraverso una botola che si apriva dietro un armadio della sua villa di campagna. Da sei ore l carabinieri stavano perquisendo la casa, scoprirono per caso la botola e intimarono a Michele Cavataio di uscire. Non ci fu risposta. I carabinieri spararono alcuni colpi all'imboccatura della galleria, inutilmente. Allora annunciarono che avrebbero lanciato una bomba a mano, e si udì la voce di Michele che diceva: « No, questo no. aspettate ». // killer venne fuori con le mani alzate; nella galleria c'erano pistole, mitra e due radiotelefoni per l contatti con l'esterno. Alla scena aveva assistito, impassibile e muta, la donna di Michele. Angela Lombardo. Era la ragazza che nel '46 gli aveva strappato la pistola di mano: avevano vissuto insieme, avevano avuto due figli e attendevano, per sposarsi, che Michele si ritirasse dal lavoro. Non abbracciò neppure il suo uomo che i carabinieri portavano via: « Ciao — gli disse — allora mi raccomando, a presto ». Invece Michele rimase cinque anni in carcere: quando usci lo attendevano per conferirgli la dignità di capo. Dopo il carcere Ci fu un gran banchetto in un ristorante fuori Palermo. La leggenda vuole che il grande killer ri/lutò tre volte le insegne del comando mafioso: « lo faccio come Cesare — raccontano che disse — tanto mi uccideranno lo stesso ». Afa a Palermo era ormai tutto cambiato. Michele si aggirava nelle strade, percorreva i mercati e le strade dei quartieri nuovi, i luoghi delle sue imprese, ma non trovava più i veri capimafla di un tempo, gli uomini cui offrire i propri servigi. Sapeva essere un esecutore, non un signore della mafia: si smarrì in delitti inutili, rapine, furti, ricatti senza fortuna, finché fu mandato al soggiorno coat\o, vicino a Roma, e viveva come un tranquillo cittadino: al suoi raccomandava soltanto di non fare amicizie coi vicini. Aveva sposato Angela Lombardo, alla presenza di pochi intimi, nella chiesa dell'infanzia, Sant'Antonio. Nessuno saprà mai perché si trovava a Palermo la sera del 10 dicembre scorso, ad attendere nemici implacabili, il mitra tra le mani. Lo colpirono una trentina di pallottole, ma non morì subito. Cadde in ginocchio, sentì che non aveva più forza per usare il mitra e sparò con la pistola americana. Altri colpi lo raggiunsero, piombò col viso sul pavimento, ma continuò a sparare: sparava e urlava bestemmie, finché non rimase inerte. Gli assalitori gli spararono ancora, a bruciapelo, quand'era già morto: due pallottole gli trapassarono il cranio da parte a -yzrte. Aveva quarantun anni, era killer da 23 anni, il pia forte e fortunato, per molto tempo, che vi sia mai stato. Le ultime parole che aveva detto alla moglie, prima di partire da Roma, furono queste: «Non si sa mai, i ragazzi devono studiare; e pensa ai vestiti, sempre bei vestiti ». Ai funerali, ancora Incredula, la moglie diceva: <t Può darsi che tomi ». Forse lo vendicheranno. Sono ora in circolazione molti dei killers assolti al processo di Catanzaro, ove Michele aveva sfidato giudici e testimoni. Certo altri giovani cercheranno d'imitarlo: la fine di Michele Cavataio è quella ambita dal nuovi killers che vivono un povero briciolo di sogno americano: la chiamano « la end di lusso ». Michele Tito Palermo. La morie oscura di Francesco Oi Martino, caduto in un agguato quando già si era ritirato dagli « affari » (Foto Labruzzoi