Lo psichiatra accusato: se mi condannano la camicia di forza tornerà nei manicomi di Michele Tito

Lo psichiatra accusato: se mi condannano la camicia di forza tornerà nei manicomi Inchiesta negli ospedali psichiatrici: case di cura o autentiche prigioni? Lo psichiatra accusato: se mi condannano la camicia di forza tornerà nei manicomi Il prof. Basaglia, ex direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, cominciò nel 1961 un esperimento-pilota, senza i letti di contenzione, aiutando i malati a superare i conflitti, considerandoli prima di tutto uomini liberi - Ma tre anni fa un infermo, tornato in famiglia per una licenza, uccise la moglie - Ora la magistratura ha incriminato lo studioso perché « ha messo in oblio i dettami della scienza » - Basaglia dice: «Possiamo, perjuno che uccide, condannare alla morte civile migliaia di uomini, possiamo tornare ad essere carcerieri implacabili?» (Dal nostro inviato speciale) Gorizia, febbraio. Adesso anche gli stregóni hanno paura. Sulle cattedre universitarie e degli ospedali psichiatrici la certezza che la follia può essere guarita sembrava una conquista. Caduti i tabù, divenuto il mondo meno tragico e la vita meno dominata da paure irrazionali, le malattie mentali si sono attenuate: «E' la prova, dicono, che l'atteggiamento del gruppo sociaie influisce direttamente sulle reazioni del malato ». C'è un rapporto stretto tra le manifestazioni della follia e la società che circonda il malato. Così, è nata la crociata degli psichiatri. Sulle cattedre universitarie, uomini che hanno percorso tutte le zone di confine tra la follia e la normalità hanno da tempo, tutti, rovesciato il discorso antico: non della violenza del folle bisogna aver paura, ma della violenza che sul folle, ogni giorno e ogni minuto, tutti insieme esercitiamo: questa violenza non fa guarire. Servitù atroci Si sono invece divisi, costretti dalla pratica quotidiana, gli uomini che, nei manicomi, hanno direttamente che fare coi malati. Nessuno accetta più il ruolo di carceriere nella « fossa dei serpenti », ma il manicomio è un'istituzione antica, con le sue regole, le sue restrizioni e le sue servitù, anche atroci. C'è chi si sente disarmato di fronte alla mancanza di mezzi, alla crudeltà delle famiglie, alla forza delle abitudini e al prevalere dell'ambiente. Nonostante gli scandali degli anni scorsi e le proteste che vengono da molte parti, non possono far altro: accettano l'uso dei letti di contenzione e la pratica delle camicie di forza, si Irassegnano al manicomio, che ìaccoglie i malati per rinchiu- derli e rinuncia in pratica a guarirli: « E' più sicuro ». C'è chi porta fino in fon- |I dj s| lI cI ì g1 ej cj | sg r i I mini a noi affidati perrhé il e ì mondo esterno non abbia - | problemi, perché non si sena i ta responsabile? A Parma, a Reggio Emi- - | lia, a Perugia, a Torino. I do la coerenza alle conquij ste della scienza: se la ma| lattia mentale cambia a seI conda dell'atteggiamento delI la società e se può essere ì guarita, il manicomio deve 1 essere davvero una casa di j cura, non può esercitare sui j ricoverati alcuna violenza, de| ve essere « aperto », deve aiutare a superare i conflitti, studiandone la nascita e deve perciò essere in contatto col mondo estemo: il malato è un uomo come gli altri e deve rimanere libero. Questa è l'esperienza dell'ospedale « aperto » cominciata a Gorizia nel 1961, sotto la guida del professor Franco Basaglia e di una équipe di giovani psichiatri, formatisi in America, in Inghilterra e in Olanda, là dove da un secolo esistono ospedali, i quali ignorano le camicie di forza e le cure punitive, che sembravano inevitabili. E' un'esperienza contestatrice. I reparti si aprivano poco alla volta, uno dopo l'altro, e ogni volta appariva più chiaro che non c'è scelta: o c'è la libertà completa per il malato o tutto è inutile. Finché un solo reparto rimane chiuso, con le sue griglie e le sue finestre sbarrate, c'è la paura e la sfiducia nei malati; essi hanno paura d'essere respinti nel reparto chiuso, non recuperano la fiducia nel mondo, che può sempre rinchiuderli, ridurli definitivamente a «pezzi di scarto della società ». Non è efficace neppure il metodo di cura: non si saprà mai se il malato agisce per paura della punizione o per propria libera scelta. E, via via, la difesa del malato nel manicomio ha portato all'accusa verso le strutture della società: nel manicomio, dicono a Gorizia, giungono gli uomini malati di I cui la società vuol disfarsi, e noi dovremmo servire alla bisogna, sacrificando gli uo- iiiiiiiiimiuiiiiii 11 mmimmmmmmmmiimimiimmi l'esempio di Gorizia ha fatto scuola. In quasi tutti gli altri ospedali psichiatrici italiani, con l'eccezione tli Roma e di alcune città del Dmrdqruiifzsnzmvittoria degli l Sud, si tenta adesso, con più o meno cautela, di far qualcosa. Ovunque i direttori avvertono: « Non siamo qui per fare i carcerieri »; ovunque i giovani psichiatri incalzano: « Non siamo qui per reprimere i malati e farli scomparire dal mondo, siamo qui per guarirli e restituirli al mondo, anche se la società non vuole ». Dieci anni sono trascorsi dai primi tentativi del professor Basaglia: sono stati dimessi dai manicomi migliaia di degenti, e a Gorizia, in pratica, sono usciti, liberi, tanti uomini e donne quanti ne sono entrati all'ospedale, dichiarati glia riti. Era la stregoni. Ma nel 1968 ci fu il caso Milkus. Era un ex partigiano che nel '51 aveva tentato il suicidio, travolto da manìa depressiva come altri ex partigiani (ce ne sono tre solo a Gorizia), che avevano creduto a tutto, pienamente, ed avevano sentito come una i sconfitta personale, come un irrimediabile fallimento, la nascita di un'Italia diversa da come l'avevano sognata. Quasi guarito, andava spesso in licenza per un giorno o due, accompagnato da un infermiere, a trovare la famiglia. Ci andava da anni, senza mai un incidente. Nell'agosto del '68, qualcosa lo restituì alla follia, questa volta omicida, e uccise la moglie, a coltellate. Ora il procuratore della Repubblica di Gorizia ha incriminato il professor Basaglia, direttore dell'ospedale e il suo assistente, Antonio Slavich: Milkus non doveva uscire dal manicomio, il professor Basaglia « ha messo in oblìo i dettami della scienza ». Coi suoi metodi ha fatto correre un rischio troppo grosso alla società. Così è nata la paura degli stregoni. Il dramma Ora il professor Basaglia dirige l'ospedale psichiatrico di Parma, è turbato, sa d'es sere al centro di un dramma che è il dramma di una so cietà: possiamo, dice, per uno che uccide, condannare alla morte civile migliaia di uomini, possiamo rinun dare alle pratiche che voglio- no guarire, possiamo torna- re ad essere carcerieri im placabili di gente fragile, per conto di un mondo che non vuole problemi? A suo tempo protestò la Società di psichiatria, ora protestano anche i malati: negli ospedali d'Italia si raccolgono firme di solidarietà, si stendono telegrammi a Basaglia, e si diffonde il panico: « Professore, gli scrivono, non abbia paura, non ci faccia tornare al letto di contenzione ». Basaglia cerca le cause dell'accusa: egli non è responsabile, era in vacanza quando Milkus fu fatto uscire. « Cosa deve fare il direttore di un ospedale psichiatrico? Dar ordine di non far uscire mai i ricoverati? Ma i rischi rimangono: anche all'interno dell'ospedale può succedere qualcosa. Li deve rinchiudere nei repartì come si faceva una volta? Ma i manicomi italiani sono pieni di storie ignorate di delitti, suicidi e ferimenti dovuti all'esasperazione dei sistemi punitivi. Bisogna, allora, stringere tutti i malati, i più gravi e z. meno gravi, nelle camicie di forza? Cosa diventa il nostro mestiere? Come possiamo sperare di guarire? Dobbiamo tornare alla pratica di non dichiarare mai nessuno guarito per evitare ogni rischio? ». Da Perugia, il professor l sinedrio, che dirige l'ospedale psichiatrico, incalza: « Non è possibile. E' un atto intimidatorio ». Il procuratore della Repubblica non parla, ma le sue ragioni sono quelle di una società prudente e diffidente: Milkus non aveva capacità di intendere quando commise il delitto, c'è stata negligenza nel lasciarlo uscire, la negligenza è dovuta forse ai sistemi di cura, alla liberalità in uso all'ospedale di Gorizia. Dal '68, regolarmente, ogni venti giorni, dall'estrema destra veniva chiesta, nel Consiglio provinciale di Gorizia, un'azione contro l'equipe del professor Basaglia, il suo ospedale appariva come un pericolo pubblico: « Questo pugno di contestatori e di sovversivi mette in circolazione gli assassini ». La magistratura rifiuta le motivazioni politiche delle denunce contro l'« ospedale aperto », considera solo il caso del delitto di un folle. « Se sarò condannato, dice Basaglia, una conquista sarà perduta, in tutti i manicomi si tornerà ai metodi di una volta, ci sarà soltanto la repressione, migliaia di uomini scompariranno per sempre nelle "fosse dei serpenti". Chi vorrà più correre il rischio, sia pur lontano? ». « Continueremo, dicono a Gorizia, abbiamo il giuramento di Ippocrate. Quando riterremo che uà malato può uscire lo faremo uscire ». Nello studio del professor Agostino Pirella che ora dirige l'ospedale di Gorizia sono raccolti tutti i suoi collaboratori, sono reduci da una assemblea dei malati: « Si è diffuso il panico, emerge l'ansia. Ci dicono: non ci abbandonerete, non torneremo come prima? Ora tutto è diventato più difficile, mentre nessuno sa dire quando c'è davvero un delitto della follia ». Inquieti, i malati hanno discusso in assemblea, lungamente, dell'aggressività, hanno raccontato di se stessi, sempre si son trovati in un urto col mondo esterno, e il loro dramma non è la malattia, è la guarigione: «Cosa sarà di noi quando usciremo? ». Ve ne sono che tornano all'ospedale spontaneamente: « Mia moglie ha paura di me e ì miei figli sì vergognano, non trovo più amici, se non mi riprendete mi ammalo di nuovo ». n Hanno paura a Ve ne sono che raccontano la scena di quando, usciti dall'ospedale, tornarono nella piazza del paese; sembra la scena dell'uscita dal carcere di Ester, l'adultera marchiata con la « A » fiammeggiante sul petto dalla comunità puritana di Salem della « Lettera scarlatta » di Hawthorne. C'erano tutti, guardavano rigidi e duri, e si allontanavano via via che l'adultera si avvicinava. E altri parlano del lavoro che non trovano, delle donne che li sfuggono, dell'amore per sempre negato, e capiscono: «Hanno paura, questa paura ci schiaccia, e la colpa è anche nostra, ci portiamo dietro un complesso di inferiorità ». I più anziani, quelli che hanno conosciuto i vecchi metodi, non hanno più speranze. « Noi non siamo uomini. Non Io saremo mai più ». E, quando riferiscono come persero la loro qualità di uomini, sembrano descrivere l'ingresso in un Lager tedesco, come la racconta Primo Levi: « Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la casa, le abitudini, i suoi abiti, tutto infine: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenze e bisogno, dimentico di dignità e discernimento: perché accade facilmente a chi ha perso tutto di perdere se stesso ». L'ultima analisi Un folle guarito può uccidere come chiunque, ma gli stregoni rifiutano di ritenersene responsabili. Mostrano i registri: su 450 ricoverati, 250 sono donne, e di queste un centinaio sono ragazze-madri: le famiglie le hanno respinte, il loro mondo le condanna. L'ultima che è entrata in ospedale s'era data al bere, si presentò un giorno in un sanatorio a Verona e lanciò la sua sfida: « Sono una donna, sono una ragazza-madre, e voglio sposare il principe azzurro ». L'elenco degli ultimi « rientrati »: storie di uomini innamorati, che non ritrovano la loro donna, di mariti cui la moglie si nega, di padri cui i figli sfuggono, e di operai cui il padrone dice ogni giorno: « Sta' buono, fa' passare un po' di tempo, poi vedremo se ci sarà lavoro ». Ricordano il vecchio attore de « L'ultima analisi » di Bellow: molti non sarebbero in ospedale se potessero abbandonarsi sul divano dello psicanalista « sul quale si trattano soltanto i problemi di coloro che hanno un reddito alto ». « Sapete quanti sono i malati dimessi che circolano tra noi? Centinaia di migliaia. La percentuale dei reati da loro commessi è inferiore a quella dei reati dei cosiddetti normali. E poi: era folle o no quella vecchia di Roma che si suicidò quando le fu negata la pensione perché la figlia avuta in gioventù non era legittima? ». Mostrano le statistiche del prefetto: nel '68 e nel '69, tra i dimessi a Gorizia (alcune migliaia) c'è uno che si è suicidato e tre denunciati per furto. E' tutto. Ma la paura, sottile, stringe gli stregoni: « Non sappiamo più. se nella gente rimane il terrore del folle, cosa accadrà. La paura irrazionale degli uomini fa aumentare il pericolo, e cresce il rischio per tutti ». Michele Tito I dccnrfldlsdl Due infermieri soccorrono un ricoverato colto da crisi in un manicomio (Foto Team)