La "guerra del petrolio" è finita? di Gianfranco Piazzesi
La "guerra del petrolio" è finita? DOPO LA FIRMA DELL'ACCORDO DI TEHERAN La "guerra del petrolio" è finita? Nella conferenza di Teheran, le compagnie petrolifere hanno accettato quasi tutte le richieste avanzate dai Paesi produttori. Ma hanno davvero ottenuto in cambio, per i prossimi cinque anni, la sicurezza dei rifornimenti e una relativa stabilità dei prezzi? A leggere il protocollo di Teheran sembrerebbe di sì; ma l'Algeria tratta ancora con i francesi, mentre la Libia, che non ha partecipato alla conferenza, considera gli accordi sottoscritti in Persia del tutto inadeguati. E la Libia produce 160 milioni di tonnellate di greggio, il 17 per cento del consumo mondiale. Il suo petrolio è di ottima qualità, di facile estrazione, e non è gravato da eccessive spese di trasporto. Dopo la chiusura del Canale di Suez s'è fatto addirittura prezioso. I militari libici, dicono gli inglesi, sono « giovani, duri e rivoluzionari »: non amano l'Occidente e credono di poter trattare da posizioni di forza. Il primo ministro ripete ad ogni occasione che se gli americani non accettano i suoi prezzi possono andarsene: la Libia già dispone di ingenti riserve monetarie e potrebbe imporre una serrata senza risentirne. Invece gli interlocutori non sono altrettanto forti. In Libia operano due compagnie americane, ma « indipendenti », che lavorano nel petrolio da pochi anni e non controllano altri giacimenti da cui attingere, in caso di rottura dei negoziati. La guerra del petrolio non è finita: a Tripoli, non a Teheran, si combatterà la battaglia campale. Se i libici, come è possibile, riusciranno a strappare condizioni vantaggiose, tutto può essere rimesso in discussione. Che valore avranno allora gli accordi di domenica scorsa? Gli altri Paesi arabi manterranno la parola? L'« Economist » ha scritto: « Trattiamo con un gruppo di Stati politicamente instabili e che nel mondo degli affari non hanno una buona reputazione ». I risultati della conferenza di Teheran, in se stessi abbastanza positivi, non possono ancora indurre all'ottimismo. L'incognita è grossa. Eppure in Persia gli occidentali avevano presentato uno schieramento impegnato e compatto. Alle grandi società americane, inglesi e olandesi, un tempo sovrane del mercato, si erano affiancati i gruppi indipendenti degli Stati Uniti e del Giappone. Nixon aveva offerto il suo pieno appoggio; e Pompidou, pur non rinunciando a trattare direttamente con l'Algeria, con cui la Francia ha « legami particolari », si era detto d'accordo. Questa armata massiccia, che esprimeva i più importanti interessi economici e politici del mondo occidentale, era stata definita la « Nato del petrolio ». E infatti ha condotto una guerra di contenimento, non certo di aggressione. Non sta a noi analizzare quali conseguenze avrà sulla nostra economia il nuovo prezzo del greggio, e quale impulso verrà impresso dalle royalties più elevate allo sviluppo dei Paesi arabi. Ma fin da ora emerge un fatto, che forse è di importanza storica. Nonostante il grande spiegamento di forze, gli occidentali per la prima volta sono rimasti sulla difensiva. Fino a ieri i managers del petrolio sembravano onnipotenti; amavano sottolineare il carattere sovrannazionale delle loro società e talvolta si ponevano davvero al di sopra dei governi. Questi demiurghi dell'economia usavano ripetere: « Se le compagnie petrolifere non esistessero, bisognerebbe inventarle. Siamo noi a fornire gli strumenti più moderni ed efficaci per impedire che il naturale conflitto d'interessi tra i Paesi produttori e consumatori degeneri in guerra aperta». Ma oggi essi non possono più ergersi come mediatori, se pure, lo sono mai stati, e il conflitto emerge in tutta la sua potenziale gravità. L'associazione produttori, di cui fanno parte i Paesi arabi, il Venezuela e l'Indonesia, controlla il 64 per cento delle riserve mondiali fli greggio e il 50 per cento della produzione, in massima parte assorbita dal mondo occidentale e dal Giappone. E intanto gli Stati Uniti e l'Europa sono sempre più assetati di petrolio, che è ormai la principale fonte di energia e la più importante materia prima. Gli Stati Uniti producono 625 milioni di tonnellate di greggio e in caso di necessità sono autosufficienti; nella stessa situazione si trova l'Unione Sovietica con 353 milioni di tonnellate. Invece l'Europa occidentale consuma 560 milioni di tonnellate all'anno e ne estrae soltanto 16 milioni. E' giunto il momento di concentrare sforzi e investimenti per la ricerca del petrolio in Europa, altrimenti corriamo il rischio di trovarci alla mercé d'un colonnello rivoluzionario o d'un emiro del Golfo Persico. Gianfranco Piazzesi (A pag. 13: Commenti da Roma, Bruxelles e Londra e previsioni sul prezzo della benzina).
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