Pompidou in Africa di Carlo Cavicchioli

Pompidou in Africa ANALISI Pompidou in Africa (Viaggio in cinque paesi francofoni, per riattivare la cooperazione « minacciata da sclerosi») Parigi, 1 febbraio. Georges Pompidou comincia dopodomani una lunga tournée politica in cinque Stati dell'Africa « francofona »: Mauritania, Senegal, Costa d'Avorio, Camerun e Gabon. E' il suo primo viaggio presidenziale in questo continente, e il suo terzo all'estero (fu in America nel febbraio 1970 e in Russia nell'ottobre scorso) da quando è stato eletto. Egli può contare serenamente su accoglienze pubbliche calorose e trionfali: i paesi dell'itinerario sono stati scelti con prudente cu~ra, sono quelli che non presentano rischi per Parigi. « Pompidou va solo a predicare ai convertiti », ha scritto il Guardian. Così quiete sono le prospettive, che si è potuto condire il programma pure con un pizzico di mondanità: il Presidente sarà accompagnato dalla bionda e giovanile moglie, munita di un guardaroba di modelli estivi attinti alle ultime collezioni francesi, in maniera che le folle africane ne abbiano un saggio in anteprima. La tournée esotica « preanestesizzata » si limita a nazioni del litorale: non toccherà il Ciad né la Repubblica Centroafricana, « insidiosi — osserva eufemisticamente Le Monde — per il continuo nervosismo dei presidenti, Francois Tombalbaye e Jean-Bedel Bokassa. Né toccherà il Congo-Brazzaville, malgrado l'identificazione mitica di questi luoghi con il gollismo di guerra, perché Pompidou non desidera certo scoprire il paese sotto i drappi scarlatti del regime "marxista-leninista" fondatovi nel 1970 dal comandante Mariem Ngouabi... ». Lo scopo della peregrinazione è di far chiara mostra dell'interesse speciale che la Francia concede ai quattordici stati froncofoni del continente, popolati di 46 milioni d'abitanti, e di riaffermare il carattere privilegiato della cooperazione di Parigi. Ma, sotto le vesti leggere della festosità, il viaggio è un evento politico importante, e secondo taluni commentatori segnerà una svolta nelle relazioni franco-africane. Dopo l'uscita del generale De Gaulle dall'Eliseo (e in coincidenza con una crisi finanziaria che, quattro mesi più tardi, sfociò nella svalutazione del franco del 12 per cento e in provvedimenti di austerity) i leaders dell'Africa « francofona » hanno preso a interrogarsi, inquieti, sul futuro degli investimenti parigini, dei disegni cooperativi, dell'assistenza tecnica. Gli aiuti, se rapportati al bilancio nazionale, sono diminuiti dall'I,60 per cento nel 1960 allo 0,71 per cento lo scorso anno. Rilevando questa ed altre contrazioni — mancanza di una politica a lungo termine, scarsa assistenza culturale a dispetto della lingua comune, meno borse di studio ai negri che desiderano formarsi a Parigi — Le Monde ha diagnosticato che la cooperazione franco-africana è minacciata di sclerosi. Finora Pompidou non aveva avuto il tempo di chinarsi sui dossiers del Continente nero, e aveva continuato a lasciarli nelle mani non lievi di Jacques Foccart, misterioso confidente di De Gaulle e « personaggio alquanto sinistro » (la definizione è del Guardian). Foccart parteciperà alla tournée, ma è già stato « promosso » ad altro incarico, alieno ai problemi delle ex colonie: lo hanno pure nominato comandante della Legion d'onore, « il che — dicono i suoi amici — puzza un pochino ». Il Presidente, insomma, sta adesso assumendo direttamente sotto il proprio controllo i dossiers trascurati: ed ha iniziato una revisione progressiva di tutta la politica africana, prestando orecchio alle critiche discrete dei leaders francofoni più leali e fedeli a Parigi, parecchi dei quali hanno avuto di recente l'impressione che «sovvenzioni doni e prestiti, nella misura e nelle forme attuali », siano soltanto « la garanzia e la condizioni di un patto coloniale di nuovo genere, nettamente vantaggioso per i Paesi industriali ». Carlo Cavicchioli qsnngssscfldsnmsScf

Persone citate: De Gaulle, Francois Tombalbaye, Georges Pompidou, Jacques Foccart, Jean-bedel Bokassa, Pompidou