Guinea, 12 anni di complotti di Sandro Viola

Guinea, 12 anni di complotti Un regime che governa con la tortura e la repressione Guinea, 12 anni di complotti Per paura dei « nemici interni », Sekou Touré non si allontana più da Conakry - Il 22 novembre scorso, quando i «commandos» degli esuli sbarcarono nel paese, l'esercito era disarmato: il dittatore temeva un «putsch» - Ora ha stretto i freni: centinaia di arresti e molte esecuzioni prima delle 91 condanne a morte che hanno inorridito il mondo - «Speriamo — ha detto Léopold Senghor — che, in un momento di lucidità, il Presidente guineano pensi alla clemenza » (Dal nostro inviato speciale) Dakar, 1 febbraio. Dodici anni di complotti, attentati, arresti, processi, esecuzioni: la Guinea di Sekou Touré non differisce, in questo, dalla maggior parte dei Paesi della nuova Africa. Un mese e mezzo fa, le truppe sparavano in Costa d'Avorio contro la popolazione di alcuni villaggi in sommossa; il 25 gennaio l'esercito defenestrava in Uganda il presidente Obote; sette persone sono state impiccate in Nigeria la settimana scorsa. E le prigioni di Dakar, di Nairobi, di Accra, di Kinshasa (per non fare che qualche esempio) sono da anni stracolme di prigionieri politici. Gli esperti hanno da tempo analizzato il fenomeno di questa turbolenza. Praticamente tutti i regimi africani non hanno, poiché mancano di strutture, una base popolare: il consenso politico riguarda solo le élites dirigenti e il distacco tra queste élites e le masse re sta totale. Alla fragilità strutturale si aggiunge quasi ovunque la lacerazione del tribalismo, il sovrapporsi delle antiche rivalità di gruppo a quelle politiche Questa fase sembra inevitabile in Paesi la cui fisionomia geografica, etnica e politica è casuale (uscita com'è dai calcoli contorti delle ex potenze coloniali) e nei quali gli adulti in grado di leggere e scrivere sono tuttora una piccola minoranza. Labilità del potere E' la labilità del potere, che si sostiene solo sugli apparati repressivi, a incoraggiare le avventure politiche, i colpi di Stato, i putsch militari (circa venti in dièci anni). Tali avventure hanno per protagonisti piccoli gruppi d'elite che per una ragione o per l'altra (tribale, ideologica) sono esclusi dai privilegi che la nuova Africa concede alle sue classi dirigenti. Non di rado, poi, questi gruppi vengono incoraggiati dai di fuori: dall'ex potenza coloniale, che si vede sfuggire il controllo d'una certa situazione, o dal gruppo finanziario, dal monopoiio industriale, messi in difficoltà dalla linea politica o dal troppo temperamento d'un leader. Basterà citare due casi: il Congo e il Biafra. Se questo è il quadro su scala continentale, bisogna dire tuttavia che la situazione della Guinea ha connotati particolarmente marcati. Sul piano intemazionale, i tredici anni dell'indipendenza di Conakry sono stati un seguito ininterrotto di tensioni diplomatiche: con gli altri Stati dell'Africa occidentale (Costa d'Avorio, Ghana, Senegal), con i Paesi dell'Ovest (Francia, Stati Uniti, Germania Federale) e persino con quelli dell'Est (espulsione dall'ambasciatore sovietico nel '63). Quanto al piano interno, le convulsioni sono state ancora più clamorose: dieci complotti denunciati dal '60 in poi, centinaia di arresti, molte esecuzioni capitali, sino ai fatti della settimana scorsa, che hanno riempito di sdegno e di costernazione l'opinione pubblica dei Paesi sviluppati. Quali sono le cause locali, particolari, di tanta esagitazione? Sekou Touré è il dittatore ormai sfiorato dal¬ la follia di cui si è parlato in questi giorni? A Dakar sono in molti, dietro la spinta di una frase di Senghor («Speriamo, aveva detto il Presidente senegalese alla notizia delle 91 condanne a morte, che Sekou Touré. nei suoi momenti di lucidità, riconsideri la possibilità di un gesto di clemenza»), ad accreditare la tesi d'un capo politico ormai vaneggiante, che ha soltanto « momenti dì lucidità ». Un giovane -scrittore guineano, che risiede qui a Dakar, diceva ieri sera: « Il clima di Conakry è ormai scespiriano, Sekou Touré mi fa pensare al finale del Macbeth ». Naturalmente le cose non sono così semplici. La Guinea paga col marasma di oggi il prezzo d'un'indipendenza che è stata assai più tormentata delle altre indipendenze africane. Il « no » di Sekou Touré alla Comu¬ nità franco-africana nel '58 (con tutti i vantaggi che ne sarebbero derivati per la Guinea) è l'inizio d'un cammino diffìcile, disseminato di errori, ma di cui è giusto tenere presenti le ragioni ideologiche. Queste ragioni erano l'indipendenza totale, l'opzione socialista, il rifiuto d'uno sviluppo economico integrato agli interessi occidentali. Che fosse un cammino diffìcile lo dimostra la caduta degli altri due regimi, che avevano tentato di percorrerlo in questa parte dell'Africa: il Ghana di Nkrumah e il Mali di Modibo Keita. Anche questi due paesi erano presto sprofondati, come la Guinea di oggi, nella disorganizzazione e nei fallimenti economici. Perché le scelte africane sembrano obbligate: o la « povertà » tanzaniana o le economie liberali. E le economie liberali in Africa sono basate sui profitti stranieri. La Guinea di Sekou Touré è riuscita, invece, a reggersi. La rivalità tra sovietici e americani per il controllo del paese e delle sue miniere di bauxite si è tradotta in un massiccio appoggio economico, specie da parte degli Stati Uniti, che ha salvato la Guinea dalla fame. Il « socialismo » e la grande foga tribunizia del leader hanno richiamato la assistenza dei Paesi comunisti, ma soprattutto hanno creato in questi anni, in Africa, una sorta di rispetto per l'esperienza guineana. La base del regime Ma se questa serie di circostanze ha consentito a Sekou Touré di non cadere, come Nkrumah e Modibo Keita, non ha impedito tuttavia che la Guinea divenisse (come dice il giovane scrittore citato più avanti) un «universo concentrazionale». La delazione, la repressione, la tortura sono i fondamenti del regime di Conakry. Basta che un guineano scriva una lettera all'estero, indirizzata a un nome europeo, perché venga chiamato alla polizia, interrogato e magari messo in prigione. Figurarsi che cosa può accadere a chi sia sospettato d'opposizione al regime. Secondo la vecchia tecnica stalinista, poi, l'opposizione interna viene accomunata, identificata coi nemici esterni. L'ex collaboratore, il ministro che cercano di dissociarsi dagli errori del capo o che accennano a dissentire dai suoi programmi, sono « agenti dell'imperialismo, mercenari, quinta colonna » e come tali vengono liquidati fisicamente. E' così da anni, e la situazione tende a peggiorare sempre più. Le difficoltà interne crescono e, invece di diminuire, cresce lo scontento e con lo scontento la repressione. Il partito unico, il Pdg, forse il più strutturato dei partiti africani, è ormai soltanto un apparato di controllò. La tensione, il timore del complotto (Seku Touré non è mai uscito dalla Guinea negli ultimi sette anni) dominano tutti i settori della vita del paese. Il costo delle forche Il 22 novembre, quando un paio di centinaia di fuorusciti guineani, appoggiati dai comandi portoghesi della Guinea Bissau, tentarono di sbarcare a Conakry, l'esercito non era armato. Era disarmato da oltre un anno per timore di un putsch. Questo circolo vizioso (difficoltà interne, scontento, repressione), oltre alla minaccia delle molte migliaia di fuorusciti, che hanno dimostrato di poter trovare appoggio in alcune capitali occidentali, sono alla radice degli avvenimenti di gennaio, il processo assurdo e le impiccagioni in pubblico. Ma le forche di Conakry rischiano di costare molto care a Sekou Touré. L'isolamento cresce, i nemici interni ed esterni possono contare ormai sul favore con cui l'opinione pubblica internazionale accoglierebbe la caduta del dittatore. Quanto al « modello guineano » (l'opzione socialista, l'indipendenza economica), è divenuto in questi anni, sotto Ja crosta della violenza e del dispotismo, irriconoscibile. Sandro Viola p