Nebbie magiche su "Zio Vania,,

Nebbie magiche su "Zio Vania,, CECOV ALL'ALFIERI Nebbie magiche su "Zio Vania,, La commedia messa in scena da Bosetti per lo Stabile di Trieste - La tradizione di Ripellino « / personaggi dì Zio Vania — osserva Angelo Maria Ripellino nella sua introduzione alla commedia eli Cecov — sona una consorteria di bislacchi ». Nello spettacolo presentato all'Alfieri dallo SI abile di Trieste, « bislacco » ricorre spesso, e un po' la cifra della rappresentazione. E la « bislaccheria » della versione, che con la noia si regonesca è tipica della prosa e soprattutto della poesia ripclliniana, contagia se non determina la messinscena di Giulio Bosetti, innalzando il traduttore a una diunità, e a una responsabilità di drammaturgo che il irò, quello italiano almeno perché in altri paesi sono moneta cori-ente, raramente gli riconosce. Non che Bosetti sia rimasto irretito da tutte le suggestioni del Ripellino: straordinarie sulla pagina, esse avrebbero rischiato in palcoscenico di stravolgere nel grottesco e annegare nell'accidia (anche se questa era la mira, non troppo segreta, del traduttore) personaggi o situazioni che esiterei a riconoscere, come suggerisce Ripellino, nell'acceso simbolismo e nello stralunato espressionismo del quasi contemporaneo Sogno strindtaerghiano (191)1. il testo di Cecov è del 1896). Altrimenti il tronfio Professore, la cui mostruosa nullaggine rende ancora più inani i sacrilici che la figlia Sonia e il cognato Vania hanno compiuto per mantenerlo sulla cattedra, diventerebbe davvero il protagonista. Altrimenti il crepuscolarismo dell'ultimo atto, che in particolare nella scena finale è tra le eia cEtea-1 nfrusaglie più superflue del teatro cecoviano, avreb- be dovuto essere sospinto jverse un derisorio melodram I ma, al quale già il lesto propende (e basterebbero i due colpi di rivoltella che Vania nel terzo atto spara a vuoto contro il suo « grande scienziato»), non so con quale vantaggio per lo spettacolo ma con indubbio sconcerto per il pubblico che, almeno alla prima, tossicoloso e intempestivo negli applausi e nelle ghignate com'era, sembrava già abbastanza imbarazzato. Ciò non toglie che Bosetti, nella parte dello sconfortato medico Astrov incapricciatosi della giovane moglie del Professore senza accorgersi della querula ammirazione di Sonia, abbia nei primi due atti dato a se stesso e specialmente a Ferruccio de Ceresa (Vania) un'impostazione buffonesca non sempre accettabile. Vestiti dapprima più da clowns che da stravaganti 0 trasandati gentiluomini di campagna, entrambi poi, nelle notturne diatribe tra un fievole andirivieni di candele, potrebbero essere anche due vagabondi beckettiani:" De Ceresa con il pizzo e i capelli alla Pampurio, Bosetti con uno sciatto abbigliamento che fa il paio con l'incongruo cappellaccio ficcato sul suo capo all'inizio. Tra i due, il meno persuasivo 6 il De Ceresa, ora troppo cupamente allucinato, ora troppo scioccamente gaio. Sono i primi rilievi che s'allacciano alla mente assistendo a una rappresentazione che da un lato eccede in un demonismo volutamente e giustamente meschino, dall'altro prende troppo alla lettera le famose indicazioni sul vaudeville dello stesso Cecov (le quali hanno già confuso e guastalo le idee a non pochi registi), ma che non ò stata allestita a vanvera, lutt'altro, ricca com'è di meditate soluzioni e di acute intuizioni. E non imporla, anzi c'è da congratularsi con lui, che Bosetti si sia ricordato delle aeree e lattiginose regie di Kreie:a e della scenografia luminosa di Svoboda, e aggiungerei di un eccellente Piccolo Euolf diretto da Aldo Trionfo al quale il Bosetti aveva partecipato come interprete. Non solo suggestiva, ma significante è ad esempio la cornice scenografica fissa di Giancarlo Bignardi — una selva di tronchi che rampolla elalla « Tracimerei » forestale di Astrov — e il commento sonoro, veramente cecoviano ma non stanislavskiano (i grilli, o cicale che fossero, del Teatro d'Arte...), di Giancarlo Chiaramello con quei 1 onli, sibili e raschi misteriosi che scandiscono i momenti «magici» dello spettacolo allo stesso modo che le luci isolano talvolta le effusioni più liricheggianti dei personaggi. E, nonostante le smorfie e i risolini, viene abbastanza fuori quel senso di accorata e rassegnata desolazione che incombe come una coltre grigia sulla provincia cecoviana e che è appena temperata dal « commercio con l'avvenire — che come felicemente dice Ripellino — è la prerogativa di tutti i personaggi eli Cecov ». Quanto alla recitazione, senza far confronti con quella, minuziosamente naturalistica, dell'edizione viscontiana del 1956, o dell'ultima, di due anni fa, suggerita da Sharofl in uno spettacolo che pochi hanno visto (altre ricordevoli edizioni di Zio Vania sono forse soltanto la prima del 1922 della compagnia Palmarini e dieci anni dopo dello stesso SharofI), essa c nel complesso omogenea e di buona qualità sia nelle figurine di contorno (Alberto Galloni, Angela Lavagna, la Ridoltì e il Pieri) sia negli interpreti di primo piano. Tra questi, con il vigoroso Bosetti e il già citato De Cerosa, Paola Bacci porla con la prescritta indolenza la fredda bellezza di Elena e Mario Erpichici, pagliaccesco « cattedratico ». gassmaneggia ironicamente a tutto spiano. A Giulia Lazzarini poi, che ripete regolarmente ad ogni stagione il suo bravo exploit, non saprei rivolgere migliore elogio eli. questo: la Sonia di Cecov è ■brutta, peggio scialba, 4strc(v nemmeno la vede, lo dice "lei stessa. Ebbene, con pochissimo trucco, soltanto stilandosi i capelli in due bande lisce e per il resto parlando .con il volto, l'attrice riesce ;icl apparire brutta come in altri spettacoli le riesce, quando deve, ad essere bellissima. Alberto Blandi

Luoghi citati: Trieste