Giocare d'azzardo con le parole

Giocare d'azzardo con le parole L'introduzione alla linguistica di Terracini Giocare d'azzardo con le parole Chiunque parli è in bilico tra le regole astratte e la sua difficile libertà Benvenuto Terracini: « Lingua libera e libertà linguistica ». Introduzione alla linguistica storica, Ed. Einaudi, pag. 305, L. 1800. Se il nostro secolo ci ha provvisti in campo linguistico del più assortito vocabolario tecnico, c'è chi ha saputo non deviare troppo dai moduli della lingua corrente, e scrivere libri importanti e d'impegno teorico addirittura preminente in forme piane e conversevoli, rivolto con simpatia al lettore comune. C'è chi esprime le proprie concezioni con una serie di termini scientificamente definiti in precedenza (vedi Bally Greimas, ecc.), staccati spesso completamente dall'uso; al contrario, a rileggere un libro notissimo di Benvenuto Terracini, Lingua libera e libertà linguistica (uscito nel '63 nei « Saggi » di Einaudi, e ristampato ora in edizione economica con una bellissima introduzione di Maria Corti), vien latto di pensare a Spitzer, o a Vosster, linguisti che come lui hanno preferito elaborare la lingua corrente. Viaggio sentimentale Ma Terracini, se non fosse stato il grande linguista che sappiamo, poteva riuscire di certo uno scrittore di vaglia. E nel suo genere lo è stato, da scienziato, per quel suo modo istintivo di scrivere, acutissimo e sensibile nel seguire docilmente le movenze del pensiero nell'atto stesso in cui svolge e acquista chiarezza dimostrativa; il che ha fatto di Lingua libera un libro bellissimo, oltre che un classico della teoria linguistica. Più che teoremi e deduzioni, sono lampi successivi di intuizioni a punteggiare le tappe salienti di un lungo « viaggio sentimentale » intorno al concetto di lingua ed alla sua fenomenologia: ed attestano la singolare evidenza con cui il ragionamento scientifico si presentava ad una mente che non aveva fiducia nel linguaggio già confezionato delle formule convenzionali. Il libro (che consta di cinque saggi) ripercorre icammino scientifico di una generazione di linguisti passala attraverso esperienze culturali decisive nella storia di oltre mezzo secolo: la maturazione di concetti natentro l'ambito della vecchia scuola comparativa, il contatto con certe scuole francesi, l'evasione idealistica, la linguistica storica, l'inserimento della linguistica necampo delle discipline umanistiche, i contatti con lfilologia e la critica lettera a i a a l a ¬ ria. E, da ultimo, c'è un Terracini sugli avamposti, tra le prospettive dei nuovi indirizzi strutturalistici, che egli cerca di assorbire, senza rinunzie, nel tutto suo storicismo. Il dialogo garbato, anche quando sia polemico e fermo, il confronto continuo ed inquieto con le posizioni altrui, conferiscono al libro un sapore autobiografico inconfondibile. All'interno della vasta operosità di Terracini, Lingua libera è. a nostro avviso, il culmine intellettivo, la fase più svolta, eliminatrice di ogni equivoco individualistico. Il concetto di libertà non cela implicazioni semplicisticamenle creative, dissolvendo la linguistica nell'estetica, nella « soggettività » pura; né la libertà è schiacciata dalla « norma ». che per alcuni sembrava rappresentare il momento soltanto coercitivo per l'attività del soggetto. Reazione ed insieme sviluppo della linguistica idealistica, il libro assorbe di quella scuola (Vossler, Spitzer) le istanze più vive, come mostra tra l'altro il suo vero protagonista, che non è I la lingua comunicazione e j strumento, ma il parlante stesso ricreatore del proprio linguaggio. Un parlante però storicizzato, in perpetuo equilibrio e rapporto variabile tra tensioni interiori e condizionamenti sociali, che lotta e svolge la propria attività linguistica per uscire dal chiuso della soggettività, ed è ora dominatore, ora invece soverchiato, variamente condizionato dalla norma linguistica, dalla lingua-istituto. Nel libro si trascorre attraverso le varie gradazioni di un fenomeno cangiante, dal mezzo anonimo e collettivo di comunicazione come il rigido stile di massa della letteratura popolare atteggiata ad ossequio umile della tradizione, alla più libera lingua del poeta cólto: che è però, anch'essa, un tipo di libertà sui generis. E Lingua libera prende le mosse proprio dal concetto opposto, vivissimo sempre nella coscienza del parlante, di lingua-prigione, o sentimento di schiavitù, che implica d'altra parte un sentimento di liberazione; non c'è parlante o scrittore — ci mostra Terracini — che in qualche modo non superi l'inadeguatezza, come non c'è lingua che non racchiuda in sé i mezzi per attuare la liberazione da schemi normativi. La norma linguistica non è già freno, ma mezzo per esprimere la propria storicità. Terracini si ferma a lungo ad esemplificare il concetto sull'italiano delle Origini, mitrito e reso valido dall'ideale sempre presente del latino, nato perciò sotto il culto della forma, e ci riporta a Dante ed all'incerta compagine del fiorentino dei primi secoli, per mostrarci come essa, anziché limitare, assecondi la libertà di uso del poeta. Dante e il nuovo Dante fu pure scrittore di « avanguardia » che sentì fortemente la necessità del neologismo; ma non ci dà mai l'impressione di foggiare una parola nuova, poiché il nuovo in lui nasce fasciato d'antico, e l'innovazione egli pare spesso ritrovare rifacendosi al « modello » latino; il latino insomma gli porge il senso etimologico del volgare: e, anziché un freno, diviene (se collegato allo spirito preumanistico impersonato in Dante) uno dei tratti innovatori della sua lingua. La j sita libertà non si attua che entro i limiti della norma, anche perché la libertà linguistica non riguarda tanto la singola espressione, i singoli materiali sia pure nuo- vissimi, ma l'espressione nel suo complesso: quello che si dice « forma interna » o « tonalità » espressiva, cioè quell'attitudine espressa dal soggetto attraverso una particolarissima visione che egli ha delle cose e della realtà, la unicità di una specifica forma mentale espressa nel linguaggio. E' una concezione grosso modo idealistica portata però ìlei libro al massimo grado di duttilità e di complessità, entro una problematica che parte da molto lontano; e tra le righe, c'è un dialogo continuo con Devoto, Nencioni; sullo sfondo, la concezione saussuriana di langue; che Terracini rifiuta, perché il sistema non gli pare esistere astrattamente in sé, in una condizione d'indipendenza nei confronti del soggetto, ma vivere « unicamente in funzione dello spirito di chi lo maneggia, soprattutto della sua personalità storica: semplice, armonico, ricco di precisi valori interiori, quando questa si profila netta; oscillante, confuso, aggrappato all'esteriorità del tipo, quando essa personalità si presentastoricamente, o comunquespiritualmente, incerta e ne-biliosa ». Più che le regole astratte del gioco linguistico, è messo a fuoco il giocatore, con le sue astuzie, i suoi nervile sue debolezze: una concezione dunque agonistica dell'atto linguistico, esemplificata nel libro su passi di varia letteratura (da fra Giordanoda Rivolto a Dante, Michelangelo, Manzoni. D'AnnunzioReborai e magistralmenteenucleata là dove si intendadelineare la «persona storica»del parlare, che è poi la posizione dello scrittore sospeso tra spontaneità e tecnicasoggettività e norma, socialità e individualità. Gian Luigi Beccaria