Stampa italiana da Cavour al '22 di A. Galante Garrone

Stampa italiana da Cavour al '22 Stampa italiana da Cavour al '22 ! Valerio Castronovo: « La | stampa italiana dall'Unità | al fascismo », Ed. Later- za, pag. 467, L. 5500. ! Ci sono vari modi di fare j la storia del giornalismo. La | stampa può essere conside- | rata come un momento della storia della cultura e del costume. In questo senso la guardò Walter Maturi, quando a^<e: «Come l'uccello di Minerva -picca il volo al tramonto, la libera stampa italiana, alla vigilia di essere imbavagliata dal fascismo, viveva allora il suo periodo più brillante ». Oppure, essa può esser vista come un documento di lotte politiche e sociali, come specchio di ideologie, interessi, passioni contrastanti. Il problema diventa allora quello di interpretare il senso spesso recondito degli articoli di giornale e delle stesse notizie, di saperli leggere, se necessario, controluce (e in questa lettura critica fu maestro Salvemini, allorché dall'estero studiò la stampa fascista per capire la realtà del nostro paese). Ma c'è anche un altro modo, non certo più agevole, di fare la storia della stampa: quello di esaminare i giornali come fenomeno economico e sociale, nelle loro caratteristiche e dimensioni di impresa (dapprima artigianale, poi sempre più complessa), e nelle loro connessioni col potere politico e con i grandi gruppi finanziari e industriali. In questa direzione prevalentemente si muove l'ultimo libro di Valerio Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo. Cultura e affari Si sono volutamente lasciati in ombra altri filoni di ricerca: sul valore e l'importanza dei giornali come fatto culturale o espressione di determinate correnti e partiti politici, sulle figure di alcuni grandi giornalisti, qui solo sommariamente ricordati, sul modo con cui certe parole d'ordine e direttive dei gruppi economici si tradussero nei concreti atteggiamenti della stampa, e sull'influenza specifica che questi ultimi ebbero negli ambienti politici e parlamentari, e sull'opinione pubblica. (Una siffatta indagine qui è avviata solo per il breve periodo del- l'ultimo ministero Giolitti: e ci fa sentire il desiderio che il Castronovo. apprezza tissimo specialista di storia del giornalismo, estenda an- cora e approfondisca le sue fruttuose ricerche), Accennerò solo ad alcuni dei temi trattati. Ottime le pagine sulla meschinità prò vinciate del nostro giornalismo nei primi due decenni dell'Unità, sulla modestia delle attrezzature e le molte ragioni (analfabetismo, difficoltà di comunicazioni, povertà di interessi ecc.) che ostacolavano la diffusione della stampa. Impressiona il dislivello fra le tirature complessive nel nostro paese e quelle, ad es., della Francia. Che i governi di allora, per mezzo di prefetti, procuratori del re e questori, prendessero di mira la stampa di opposizione, specialmente con l'arma dei sequestri, lo si sapeva bene. Pressioni da Roma Meno noto (e il Castronovo lo illustra) è il sistema di favoritismi e appoggi finanziari a cui l'autorità ricorreva per sostenere e « imbeccare » la stampa governativa. Potremmo aggiungere, a riprova, un fatto qui non ricordato: che alla vigilia delle elezioni del 1874 il ministro Cantelli pensò perfino di creare un'agenzia per comunicare ai giornali amici della provincia le notizie e i commenti, quasi un'anticipazione delle famigerate « veline » del Minculpop! Esattamente è rilevato il subitaneo slancio espansivo che la stampa italiana trasse dai grandi avvenimenti che scossero emotivamente l'opinione: prima di tutto le imprese africane di fine secolo, e poi la guerra libica. Se, a partire dal 1886-87, i nostri giornali cominciarono a prendere una fisionomia più moderna, non fu tanto perché si vollero adottare i modelli della grande stampa straniera, specialmente anglosassone, quanto perché si scoperse l'importanza del giornale come strumento di opinione, quale cassa di risonanza e insieme stimolo « moltiplicatore ». Non è un caso che proprio al 1886 risalga, con l'iniziativa di Perrone, collegato al gruppo siderurgico dell'Ansaldo, il primo ingresso dei forti gruppi . economici nel mondo del giornalismo politico. E qui comincia una storia che, se era già nota nelle sue linee generali, nel libro è esemplarmente documentata, alla luce di fonti archivistiche in parte inedite: la storia della progressiva conquista delle grandi testate ad opera dei più potenti gruppi industriali, bancari, finanziari. La rivelazione più interessante del libro concerne il finanziamento del « Pooolo d'Italia » da parte dell'Uva nel 1919: il che, come giustamente osserva Guido Quazza nella sua lucida prefazione, smentisce la tesi di un Mussolini ancora « rivoluzionario ». Poi, fu lo squallore dell'imbavagliamento e dello strangolamento di tutta la stampa italiana, iniziato con le distruzioni, le violenze, gli assalti alle sedi dei giornali socialisti, e proseguito con le leggi di eccezione, contro le quali invano si levò la protesta coraggiosa di un Ruffini o di un Salvatorelli. E fu anche — spettacolo più penoso — il ruere in servitium di tanti giornalisti. Di uno di loro, scriveva in quegli anni Mario Borsa: « Ha sempre avuto il solo torto di correr dietro alla sua penna, la quale correva ora a destra ora a sinistra, pur di correre, senza una bussola per orientarsi, trovare la buona strada, e mantenervisi ». A. Galante Garrone

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