E' morto Leandro Faggin

E' morto Leandro Faggin Grave lutto per tutto il ciclismo E' morto Leandro Faggin Quattro titoli mondiali e due olimpionici • Aveva 37 anni- Si era ritirato 14 mesi fa alle prime avvisaglie di un male incurabile - Lascia la moglie e due bambini PADOVA, lunedì mattina, (c. p.) Leandro Faggin, più volte campione del mondo di ciclismo su pista, è morto Ieri mattina a Padova, In seguito ad un male Incurabile. Faggin, che aveva 37 anni, essendo nato a Padova nel 1933, aveva chiuso l'attività agonistica quattordici mesi fa, al primi accenni di una malattia di cui lui solo non conosceva la drammatica gravità. Un'operazione all'Intestino gli aveva consentito una fallace ripresa, permettendogli di assumere la direzione del Centro Coni di Padova per l'addestramento del giovani ciclisti. Tre gior¬ ni fa 11 male lo ha aggredito nuovamente ed In forma Irrimediabile. Leandro Faggin si è spento Ieri mattina alle 7,30, lasciando nel dolore la moglie Luisa ed 1 figli Michele di nove e Carlo di sei anni. I funerali si svolgeranno domattina nella chiesa di S. Paolo a Padova. Faggin, In quasi 20 anni d'attività, aveva vinto quattro titoli mondiali, due olimpionici e dodici Italiani. treal, poi aveva deciso di lasciare l'attività. I trentasei anni cominciavano a pesare. Diventò direttore sportivo di una squadretta di dilettanti, rientrò nei ranghi senza far chiasso, come era suo costume. Proprio in questt giorni gli era stato affidato l'incarico di istruttore del Centro di addestramento per II ciclismo creato dal Coni a Padova, Faggin si preparava al nuovo lavoro con l'entusiasmo di un ragazzo. Poi il ricovero in ospedale e la fine. Ha lasciato molti titoli all'Italia, ma soprattutto un insegnamento per i giovani. Per quei giovani che non hanno mai avuto il coraggio di dargli del « tu ». m. car. Piccolo, un po' gracile, l capelli rossi e radi, il volto grinzoso ravvivato da occhi furbi, mobilissimi: gli ornici lo chiamavano affettuosamente « la vecchietta », molti tuoi colleghl gli davano ancora del « lei ». In borghese, non sembrava un atleta; in bicicletta, diventava un robot: stroncava gli avversari mantenendo la stessa pedalata fino all'ultimo metro, dominava grazie ad una regolarità eccezionale. Vinceva sfide che sembravano ormai perse «soffrendo » come pochi corridori sanno fare. Per anni ha stupito i tecnici, non se stesso. Per Faggin, il ciclismo era come una scienza esatta: non beveva, non fumava, non faceva le ore piccole nei night. Voleva avere la coscienza a posto, sempre: quando perdeva, non faceva drammi, perché sapeva di aver dato il massimo. Ha corso per quasi vent'annl, è stato il miglior inseguitore del mondo, ha vinto più coppe e medaglie di tanti altri ben più famosi di lui. Non ha mai amato la celebrità, non ha mal voluto essere un « divo », non ha mai rilasciato dichiarazioni clamorose e spavalde per farsi della pubblicità. Quajido lo intervistavamo, a volte arrossiva. E sembrava stupirsi: « Perché vi rivolgete proprio a me? ». Era Vanti-divo per eccellenza. A conoscerlo poco, sembrava quasi scorbuitico: pareva che gli desse noia avere tanta gente attorno a lui, dava l'Impressione di trovarsi a disagio vicino al cronisti o davanti alle telecamere. Non aveva nemici, non poteva averne; e si sceglieva gli amici con cura, e con loro diventava un altro, si apriva. Il denaro sembrava non interessargli molto, non polemizzava con questo o quell'organizzatore per strappare qualche mlgialo di lire in più. Voleva che fossero gli altri a giudicarlo, non dava mal giudizi su se stesso. Quando Ita saputo la tragica notizia, Guido Costa ha detto: t< E' come se mi venisse a mancare un figlio ». Non sono parole dettate dalle circostanza, il et. del pistards azzurri era legato a Faggin da un legame più forte dell'amicizia. Con Faggin, il mondo della pista non perde soltanto un grande campione, pede un «maestro ». Un uomo che per il ciclismo italiano poteva fare ancora molto, moltissimo. Faggin aveva disputato la sua ultima gara in Canada nel settembre dello scorso anno. Aveva vìnto la « Sei giorni » di Mon¬

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