Ottocento ribelle di Lorenzo Mondo

Ottocento ribelle Romanzieri del Nord dopo Manzoni Ottocento ribelle Narratori settentrionali delP800, a cura di Folco Portinaro Ed. TJtet, pag. 1250. Per chi, oltre a godere delle buone letture, abbia gusto alla rete sottile dei rimandi culturali, alla nascita c allo sviluppo di una nuova sensibilità, non saprei consigliare di meglio che l'antologia di Narratori settentrionali dell'800 raccolta da Folco Portinari: alla sorpresa d'incontrare autori poco meno che clandestini si unirà, per molti, quella di scoprire alle origini talune delle querelles che turbano a fasi ricorrenti il nostro mondo letterario. Nel suo denso saggio introduttivo Portinari afferma che « un onesto tentativo di sistemazione della narrativa italiana post-manzoniana, dopo il romanzo storico cioè, dovrebbe recare in apertura almeno una breve antologia di Didimo Chierico »: vale a dire del Foscolo più maturo, mediatore di Sterne e non soltanto di quello. E Foscolo compare come protagonista, in verità assai poco emblematico, in un capitolo graziosissimo dei Cento anni di Rovani. Ugo partecipa ad una caccia data dal principe Eugenio dove il selvatico è solo un pretesto, si ostina a voler sottrarre una dama virtuosa alle attenzioni del viceré; e così giunge appena in tempo ad allentare una scudisciata « sul tergo afrodisiaco » dell'Antonietta Arese che lo tradisce. Non ci lasceremo distrarre dall'arguzia ambrosiana di Rovani e neppure, in sede di magistero letterario anziché galante, dalla presenza di un Foscolo ancora appassionatamente ortisiano; quale traspare nell'enfasi di certo romanzo epistolare e nell'at'tcggiarsi stesso di certi personaggi ad eroi della sventura. Resta indubbio che, alla definizione d'una tendenza di rottura e di rinnovamento nel romanzo del secondo Ottocento, quello che conta è il Foscolo essayst, sempre più scettico e sorridente verso la categoria del sublime. Il resto 10 metteremo sul conto dell'incertezza, della miopia prospettica di chi, privo d'una sicura tradizione, vorrebbe superare Manzoni pur sentendone ancora la suggestione. E insieme col Foscolo, e attraverso di lui, si fa incetta indiscriminata di autori stranieri, da Sterne a Dickens, da Jean Paul ad Heine. Più che nel Rovani, bloccalo di fronte all'esigenza di rappresentare la realtà contemporanea, l'ipotesi di un nuovo romanzo italiano si può cogliere nelle Memorie del presbiterio di Praga e nel Viaggio di un ignorante di Rajberti: da una parte le storie parallele e sovrapposte, la scoperta del frammento in funzione di suspense, la coloritura espressionistica della parola; dall'altra soprattutto il recupero del dialetto, 11 rilancio della lezione alta ma appartata di Porta. Ma è con Tarchetti, pur così sbadato per quanto riguarda lo stile, che l'antologia sembra accendersi e fiammeggiare; tanto che Portinari, insieme con un ampio specimen da Una nobile {olita, non sa resistere alla tentazione di darci per intero il romanzo Fosca. Toccava a questo piemontese di San Salvatore Monferrato, aggiornando il feroce individualismo di Alfieri, scrivere nell'Italia unita la più implacabile requisitoria contro gli eserciti e la coscrizione obbligatoria: « Così si uccide un uomo — conclude — e si forma un soldato - la nazione lo tollera; vi ha di più, la nazione vi applaude, illusa come un fanciullo insensato dalla vista dei pennacchi azzurri, delle sciabole lucida, e dal suono delle trombette: i pochi onesti fremono e tacciono ». Ma in questo obiettore di coscienza, ben oltre l'assunto dimostrativo, affiora poi un interesse ossessivo per il sangue e la malattia che rasenta di sadismo. Si veda la descrizione, ad orrore montante, della battaglia della Cernaia, che è davvero un capitolo mirabile nel suo scomposto e violento turgore. Certi particolari di rara evidenza alla Delacroix, non si dimenticano più: come i cavalli protesi nell'ultima carica, « il venire relato di vene rigonfie », o sprofondati nel fango ma ancora vivi, « coll'occhio velalo e immobile ». Nella stessa direzione, il cedimento del protagonista di Fosca alla passione isterica d'una donna 1 tida, quasi per una sorta di possessione sabbatica, rappresenta un modo inconsueto di acquisire l'anomalo c il morboso alla poesia. Sono esperienze e interessi che, sotto specie di omaggio alle scienze positive, vengono contrabbandati anche, ma in modo più distaccato ed elegante, in certi racconti di Camillo e Arrigo Boito, come Un corpo e L'alter nero: qui, nella mublcuvEdanSqprgdgMcdvtadvecpesvcqFcc1vlsdnisvsf mortale partita a scacchi tra un bianco e un negro è possibile scorgere un riflesso dell'appena conclusa guerra di secessione americana, e dunque un interesse aperto, non provinciale, alle cose del mondo. E si veda in Senso, sullo sfondo d'un Risorgimento grigio, antieroico, il profilo pre-dannunziano della contessa Livia Serpieri: anticipi piuttosto inquietanti per chi si trova su posizioni di rifiuto, se non di rivolta, contro l'ordine borghese. Con Faldella e con Cagna, di cui ci vengono forniti integralmente Madonna di fuoco, Madonna di neve ed Alpinisti ciabattoni, diamo sul versante della più avventurosa e festevole rivolta linguistica; non altra, se essi sempre si ritrovano ai margini dell'idillio; ma si veda, almeno nel primo, l'asciutto vigore con cui rappresenta un episodio crudele di isterismo collettivo. Grandi signori del pastiche, entrambi rimandano e fanno rimpiangere Carlo Dossi, il nume assente di questo volume (gliene sarà dedicato, come giusto, uno apposta in questa bella collana diretta da Fubini). E certo il discorso critico di Portinari viene a mancare de! più solido appoggio. 11 Dossi, che non s'arresta davanti alle più audaci alchimie linguistiche, che capovolge e smaschera l'ordinato assetto dell'età umbertina (sia pure nelle postume Note azzurre) è il solo in cui la pienezza stilistica non rampolli sull'assoluto vuoto ideologico, sappia contrastare le tentazioni dell'idillio. L'antologia si conclude con il Lucini di Gian Pietro da Core. « Mi laureai in leggi il '92, col massimo profitto di avermi fatto comprendere la inutile menzogna delle medesime »: da questa spavalda autopresentazione apprendiamo che qualcosa di nuovo è maturato nella società italiana, la sanguinosa rivolta contadina del romanzo prende ormai nome e colore di socialismo. Eppure, tra le esaltate perorazioni da comizio o da almanacco del popolo, nella paludata e febbrile esuberanza delle immagini, accade spesso di sentire, quasi, il riso sommesso del vituperato Manzoni: sarà la cadenza affabile di un dialogo d'osteria, o il sogno torbido di Don Luigi Francesco D'Osio Piranzo (che sembra già un nome gaddiano) dove Lucini si ricorda di Don Rodrigo, saranno le varie scene di violenza e di massa. Tulto un inutile dimenarsi dunque? Risponde Portinari per Lucini e compagnia: «Aver capito clic a Milano, accanto al nume Manzoni, si poteva scegliere, in alternativa, la lezione di Cananeo; l'aver capito che, comunque, dopo il discorso Del romanzo storico, si doveva porre in termini contemporanei il problema della narrativa, e in termini di compromissione, di impegno verso la storia e la realtà; l'aver capilo infine che il problema della lingua non poteva apoditticamente ridursi nella sicurezza della coinè toscana, queste intuite esigenze, lacerale dì contraddizioni, rappresentano l'apporto attivo ». Spiace soltanto che manchi in così ricca antologia (insieme con Fogazzaro, De Marchi, Gualdo, Calandra, che troveranno maggiore spazio altrove) una testimonianza su Roberto Sacchetti. Lungo la traccia seguila da Portinari, la polemica antifilistea del Cesare Mariani ci stava bene; ed ancor più le pagine di Entusiasmi sulle cinque giornate di Milano, con quel finale maupassantiano di sconfìtta: così amaro, così disperalamente trasognato. Lorenzo Mondo La eorsa dei cavalli nella Milano della Scapigliatura (da una stampa d'epoca)

Luoghi citati: Italia, Milano, Praga, San Salvatore Monferrato